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 2013  aprile 28 Domenica calendario

LA PRIMA MINISTRA NERA D’ ITALIA "SUPERIAMO INSIEME LO IUS SOLI"

«Io sarei l’Obama italiana? Non riesco ancora a realizzarlo, però devo confessare che non mi dispiacerebbe. Dopotutto io e il presidente americano combattiamo le stesse battaglie. Io mi impegnerò per introdurre lo “Ius soli”, il diritto di cittadinanza per tutti i figli degli stranieri nati in Italia, e per superare la Bossi-Fini».

Cécile Kyenge Kashetu, 48 anni, oculista di origine congolese (è nata a Kambove ed è arrivata a Roma nel 1983 per laurearsi in Medicina al Gemelli), l’accento emilian-bersaniano di chi da trent’anni vive e lavora in provincia di Modena, da oggi sarà la prima ministra di colore della storia italiana. Salutata dalle proteste della Lega e dagli auguri del calciatore Mario Balotelli – «La sua nomina rappresenta un grande passo in avanti verso una società italiana più civile» – prenderà il posto di Andrea Riccardi al ministero per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione. «Già il fatto che la mia nomina susciti così tanto clamore dà l’idea di quanto sarà duro il lavoro che mi aspetta», scherza lei, prima di lanciare il suo primo tweet ministeriale: «Cambiamento concreto per l’Italia, la sua società e il modo di vedere l’integrazione come risorsa per il Paese. La mia voce è quella di tutti». Poi veste subito i panni istituzionali: «Non ho ancora visto la lista dei ministri ma ho sentito che ci sarà anche qualche esponente del Pdl. Sono sicura che saremo capaci di trovare un terreno di condivisione e di dialogo per perseguire gli obiettivi per cui siamo stati nominati. Io, per quanto mi riguarda, posso solo dire che quando inizio a fare una cosa non mi fermo fin quando non l’ho portata a termine».

La dottoressa Kyenge, moglie e madre di due figlie adolescenti, è stata eletta il 24 febbraio scorso alla Camera per il Partito democratico. Prima però ha fatto la gavetta: consigliere di circoscrizione a Modena nel 2004, poi consigliere provinciale e responsabile regionale delle politiche dell’immigrazione del suo partito. Ieri la telefonata di Enrico Letta ha sconvolto il suo pomeriggio di chiacchiere con un’amica. E probabilmente anche i suoi piani per i prossimi mesi. «Ho fatto giusto in tempo ad avvisare mio marito, poi mi sono arrivati qualcosa come 300 messaggi in mezz’ora e il telefonino ha iniziato a squillare senza sosta». Entrata nei Ds nel 2004 dopo anni di impegno nel mondo delle Ong, oggi militante della sezione del Pd di Castelfranco Emilia, Cécile ha imparato a fare politica in mezzo ai vecchi comunisti emiliani. Feste dell’Unità, tortellini e tavole rotonde sui diritti dei migranti. «La mia nomina valorizza anni di impegno non soltanto miei ma di tutto un gruppo che da anni, insieme a Livia Turco, lavora in silenzio all’interno del Forum Immigrazione del Pd, dando voce alle istanze della società civile. Si vede che Letta e gli altri dirigenti l’hanno colto: è un bel segnale».

Nel pantheon della neo-ministra c’è spazio per Enrico Berlinguer, ma i suoi punti di riferimento sono Nelson Mandela e soprattutto Wangari Muta Maathai, la biologa e ambientalista kenyota, premio Nobel per la Pace del 2004. «Purtroppo Wangari è una figura poco nota in Italia ma se ho deciso di impegnarmi in politica è anche per seguire il suo esempio. Nel 2007, prima che morisse, ho avuto il privilegio di incontrarla a Nairobi e spero, nel mio piccolo, di portare avanti il suo lavoro. Wangari non è stata solo un’ambientalista. È stata una donna che si è battuta per proteggere i valori fondamentali dell’umanità e per dimostrare che oggi il mondo è incredibilmente interconnesso, e che per affrontare i problemi è necessaria una prospettiva globale». È in questa prospettiva che dal 2010 Cécile guida l’associazione «Primo marzo», che ogni anno organizza lo sciopero degli immigrati, e che lotta contro il caporalato e per il superamento dei Centri di identificazione ed espulsione. «Nei mesi scorsi ho visitato il cimitero di Lampedusa. Il mio primo pensiero come ministro va alle persone che sono sepolte lì. Fra quelle tombe senza nome ho provato un dolore fortissimo. È una ferita che come italiana ho l’obbligo di rimarginare».