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 2013  aprile 29 Lunedì calendario

WIGGINS LA MAGLIA ROCK

Il divoratore di minuti, il mangiatore di tempo Bradley Wiggins era un bambino malato di Giro d’Italia, la corsa che tra una settimana comincerà probabilmente a vincere. «Pedalavo sui rulli in casa, nel centro di Londra, perché mia mamma non mi avrebbe mai dato il permesso di uscire in bici nel traffico. E mentre pedalavo, guardavo le videocassette del Giro». Le andava a comprare a Soho, il sabato mattina, insieme ai giornali italiani: «Quei fogli erano vecchi di giorni, ma non importava. Volevo sapere come stava andando la corsa, c’erano tutti i miei idoli». Le leggende nascono quando ne sai poco, e devi immaginarle.
Un poster di Miguel Indurain sul muro, in maglia rosa in mezzo alla neve. Una specie di epica della fantasia, quella che nutre i ragazzini quando si tratta di fare i conti con le passioni che resteranno in sella tutta la vita. Aveva dodici anni, Wiggo, quando non poteva pedalare in strada, ma al velodromo sì: e sull’anello di Heme Hill cominciò a formarsi la vocazione a girare in tondo, ossessivamente, per sconfiggere gli altri e un orologio. Si chiama “inseguimento” ed è la specialità più simbolica del ciclismo: tu, solo, contro il tempo che passa.
Ne è passato parecchio: il bambino Bradley è diventato il trentatreenne “sir Wiggins”, caricando gloria sul tubo della bici, medaglie d’oro olimpiche, addirittura un Tour de France, primo britannico della storia, nel 2012. Vestito di giallo, con un tocco di campana ha dato il via
alle Olimpiadi di Londra, città ormai piena di biciclette anche grazie a lui, emulato dai bimbi nei parchi e imitato dai temerari del bike sharing urbano, funziona ormai da due anni con inarrestabile successo.
Ora Wiggins vuole il Giro che parte sabato da Napoli, corsa assai adatta a lui con una novantina di chilometri a cronometro, e comunque Bradley va forte pure in montagna. «Ma il Giro è molto più difficile del Tour, ci sono le impennate, ci sono più avversari anche se la mia squadra è fortissima e andiamo lì per vincere». In ordine non troppo sparso se la vedrà con Nibali, Hesjedal, Evans, Gesink, Sanchez, Basso. Soprattutto con Nibali, anche se il baronetto londinese già li eclissa tutti in quanto a ingombro del personaggio, stile e suggestione mediatica.
Si sa come funziona oltre Manica, dove gli atleti diventano mode scorrendo sullo stesso binario degli artisti. E Wiggo è una specie di rock-star della bici, tifosissimo del Liverpool e seguace ossessivo della cultura “mod”: basettoni anni Settanta, frangetta alla Paul Weller (“the Modfather”), Ray-Ban neri, scarpe altrettanto nere a punta, collezione di Lambrette, toppa biancorossoblu della Raf sulla manica del giubbotto, dentro le cuffie la musica a palla di Oasis, Who e Small Faces. Nel ciclismo
conformista, uno come Wiggins è una massa dirompente.
Personaggio spigoloso a cominciare dai lineamenti del volto scavato, gelidi occhi azzurri, corpo asciutto, maniere non proprio ortodosse. Quando Elisabetta II gli spedì una lettera di complimenti dopo la vittoria al Tour, alla moglie Catherine estasiata riuscì a rispondere: «Fuck the Queen!», non male per un Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico. Dev’essere proprio la sua dialettica, se ai cronisti che gli domandarono che effetto facesse la prima maglia gialla, rispose «fucking enormous», una figata pazzesca o giù di lì. In compenso, la figata pazzesca della prima maglia rosa l’ha già vissuta nel 2010, quando vinse il prologo di Amsterdam, ovviamente a cronometro, e restò in testa per un giorno. L’anno prima era arrivato settantunesimo, ma al Tour si piazzò quarto: aveva usato il Giro per allenarsi e perdere sette chili. Il peso è stato a lungo un problema, anche se guardando il suo corpo da acciuga non si direbbe: «Dopo le Olimpiadi di Atene, dove vinsi una medaglia d’oro, caddi in depressione e cominciai a bere, anche tredici pinte di birra di seguito». Ingrassò nel corpo e gli si contrasse il cuore, quasi affogando in una pozza nera dalla quale lo risollevò la nascita d e l f i glio Brad j u nior. Poi, quasi tutto è cambiato anche se l’ombra non smette di accompagnarlo, a moltissimi grandi ciclisti succede.
Bradley Wiggins non ha avuto una vita facile. Nel 2008 suo padre Gary morì misteriosamente in un vicolo di una cittadina del Galles del sud, e dopo cinque anni mancano ancora le risposte. Anche Gary era un corridore: Bradley nacque occasionalmente in Belgio, a Gand, perché il padre (australiano) era impegnato nella Sei Giorni. Nel sangue gli girano globuli e biciclette, sempre in tondo come nel velodromo. Per gli italiani, Wiggo sarà una scoperta affascinante, dopo anni di ciclismo slavato e dopato, e speriamo che almeno lui non ci deluda: preparate le basette di peluche da appendere alle orecchie, gli inglesi lo fanno da un anno.
«L’Italia mi piace molto, il pubblico sulla strada è esaltante, qui si respira la storia dello sport». Epico, ma solo quando gli garba. Per lo più è secco e crudo, musone e irriverente. Vive con moglie e figli in una cascina tra Manchester e Birmingham, e una volta gli chiesero dove impiegasse il tempo libero. «Quando non corro spalo merda, come tutti i contadini del mondo».