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 2013  aprile 29 Lunedì calendario

QUANDO L’ANAGRAMMA DIVENTA PROGRAMMA

IL NUOVO governo si presenta e il nome del nuovo premier contiene, in anagramma, il metodo di composizione scelto per le larghe intese: Enrico Letta = «centro e lati». Agli Interni, alla vicepresidenza e al contrappeso, Angelino Alfano il cui anagramma pare un proverbio, un po’ tautologico: «la fola è inganno». Se le due parole del momento sono il sostantivo «condivisione» e l’aggettivo «diviso» mette un po’ di preoccupazione l’anagramma arcigno di Maurizio Lupi: «alzo più i muri» (e speriamo non siano le Infrastrutture di cui si occupa il suo prossimo dicastero). Anche il suo amico in ciellinità ed ex collega di partito, Mario Mauro è finito alla Difesa ma ha le stesse intenzioni edificatrici: «io armo mura». Dalla Pubblica amministrazione risponde ecumenico Giampiero D’Alia, dell’Udc: «dialogare, ma pii». Più rassicurante l’idilliaco anagramma di Nunzia De Girolamo (politiche agricole): «O lingua di romanze!», che ci ricorda la notorietà per la cronaca rosa delle strette intese che l’onorevole Pdl ha anzitempo stabilito con un collega del Pd.
C’è anche gente il cui anagramma non pare lasciar trasparire grossi entusiasmi per l’incarico ricevuto. Andrea Orlando, per esempio, finisce all’Ambiente e si chiede: «Andando là, erro?». E per la navigata Emma Bonino continua a valere un altrettanto navigato anagramma:
vado agli Esteri, pare dire, «ma non mi beo». L’outsider Enrico Giovannini (Lavoro) ha posto condizioni di qualità: «i governi canini, no». Beatrice Lorenzin (Salute) pare temere più che altro «tenzoni cerebrali». Dario Franceschini (rapporti con il parlamento) dichiara in anagramma una massima di comportamento per politici professionisti:
«Cariche fanno dir sì». Il montiano Enzo Moavero (affari europei) non scende né sale né entra, ma al governo ci resta. La sua esperienza diplomatica gliene ha fatte vedere di tutti i colori «Manovre: è zoo». Si sposta solo di dicastero Anna Maria Cancellieri (Giustizia), per la quale continua a valere l’inquietante »minaccia nera nell’aria».
Ci sono quelli felici: il forbito Gaetano Quagliariello (Affari Costituzionali): «io: la loquela raggiante». Graziano Delrio (Affari Regionali) ribadisce di essere devoto al suo capocorrente: «Renzi? Già l’adoro». L’accademica Mariachiara
Carrozza (Università e Ricerca) si sente parte di una «razza chic, oramai rara» (ma chissà se l’anagramma la conosce poidavveromegliodinoi). Quattroanagrammi esortano al pragmatismo: Fabrizio Saccomanni (Economia) rassicura: «in banca ci sforziamo». Carlo Trigilia (alla Coesione territoriale) pensa di stare vicino al territorio e ai suoi rappresentanti: «giri tra i local». Flavio Zanonato (Sviluppo economico) si mostra convinto dei benefici della tenacia: «Volontà fa azion». La campionessa Iosefa Idem (Pari opportunità) ottenuta la poltrona incita sé stessa: «sedia: mo’ fai». Per anagrammarla è necessaria una banalizzazione ortografica (si chiama infatti Josefa). Conserva invece la sua vezzosa Y il nuovo ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray, cui l’anagramma attribuisce un carattere molto soddisfatto di sé: «a somma ybris» (o hybris: orgoglio e anche superbia). Due ritocchi ortografici molto vistosi, purtroppo, per la ministra dell’Integrazione CécileKyenge. A patto di trasformare il suo nome in «Cécile-Chienge», l’anagramma ci dice che i luoghi comuni imperano ancora in materia di rapporti tra persone di diverse provenienze: «genie: è cliché». E il primo commento con cui il leghista Matteo Salvini ne ha salutato la nomina non fa che confermarlo. Buon lavoro innanzitutto a lei.