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 2013  aprile 29 Lunedì calendario

IN PAESE: "GIGI, DOVEVI COLPIRE LORO"

È nata nella quiete di queste case, tra l’affetto dei 2100 abitanti, la sconfitta di Luigi Preiti, poi è discesa a cercar respiro a Rosarno, il paese natale, ed è risalita a bruciarsi negli spari davanti a Palazzo Chigi.

E adesso qui, dal bar al chiosco, dalla piazza del municipio al cortile delle case popolari, raccontano l’uomo «buono e lavoratore» si ricordano d’aver pena per i due carabinieri ma in tanti scandiscono «bravo Gigi»: il vinto che per l’ultima ribellione doveva «aspettare mezz’ora, che arrivassero i politici».

Non si accetta il crollo impietoso di un amico senza scaricare su qualcuno dolore e ira. E allora la piazza - la piazza piccola e quieta a una ventina di chilometri da Alessandria - si libera al fragore delle piazze nazionali e al tuono del sacrificio mancato: «Spiace per quei due innocenti feriti, ma lui non voleva colpire loro, forse si sono accorti di qualcosa ed è successo tutto d’improvviso». Gigino non è un eroe, nessuno qui è così sprovveduto da dirlo, ma incarna la disperazione e la rivolta esemplare che tanti si disegnano nei pensieri senza l’incosciente animo di realizzarla.

L’immigrazione ormai lontana nel tempo è storia comune a quest’uomo e a mezzo paese. «I primi arrivarono nell’immediato dopoguerra», dice il sindaco Giancarlo Sardi. Dopo quell’ondata, la seconda. In questa c’è anche Luigi Preiti, nato a Rosarno nel 1964, ci sono il fratello Arcangelo, che si stabilisce a Novi Ligure, lo zio Domenico ora attonito: «Ci sentivamo, mai segni di squilibrio». Al paese sono rimasti papà e mamma con l’altro figlio, Michelangelo. Luigi è un buon muratore , abile, assiduo. Ha una storia d’amore con Tiziana, un po’ più giovane, si lasciano, incontra Ivana Dan, oggi quarantenne, figlia di un impresario edile. Si sposano, hanno un bimbo che chiamano come uno zio, Michelangelo, e che oggi ha 11 anni. Vivono in una villetta sulla circonvallazione, in affitto.

Tre anni fa il matrimonio si impantana, fino alla separazione. Luigi lavora nei cantieri del cugino Pasquale. Ma sull’edilizia picchiano i freni di una crisi già avviata. Ivana e il piccolo ottengono un alloggio popolare nel centro del paese. Lui, solo ma non solitario, piegato dalla mancanza di lavoro ma speranzoso di una salvezza dall’arte del biliardo e dal frastuono delle monetine delle slot machine, si offre per interventi veloci nelle case di amici del bar. Piero, Mariella e tutti gli altri davanti al caffe Roma, con i tavolini dirimpetto a casa di Ivana, hanno un ricordo del suo aiuto per una parete, una scala, una finestra.

Nel marzo 2011 la bilancia si piega del tutto: l’affitto, le bollette sono un piatto pesantissimo, mentre è vuoto quello dei piccoli lavori, delle sperate vincite alle macchinette che invece prosciugano. Luigi parte per Rosarno, scende dai genitori, dove non c’è affitto da pagare ma affetto in cui avvolgersi sì. E affetto riporta a Predosa. Torna dal piccolo Michelangelo, è l’aprile scorso quando con orgoglio è in chiesa per la prima Comunione.

Il paese non ne perde le tracce, sa di lui attraverso i parenti. Il fratello Arcangelo: «Chiamo regolarmente i miei genitori e sempre chiedevo di lui, dicevano che tutto andava bene». Ieri Arcangelo era davanti alla televisione, guardava la diretta sul giuramento dei ministri: «D’improvviso tutto quel trambusto, le notizie sugli spari, sempre più precise. Sono caduto dalla sedia». C’erano segnali di inquietudine? «No. Era triste, certo, da quando non aveva lavoro, ma non sapevamo di problemi forti». Si è procurato una pistola: «Non ho idea di come abbia fatto. Non siamo una famiglia che usa armi. Ora che capisco che cosa è successo non posso che chiedere scusa ai carabinieri, alle famiglie, a tutti».

Dicono al «Roma» che sabato sera Ivana Dan era lì con gli altri per un festicciola. Poche ore dopo la notizia cui è duro credere: «Non lo avrei mai potuto pensare capace di un gesto di questo genere». E il ricordo, al di là degli screzi e della separazione, è di «un padre che adora suo figlio». E’ stato da lei, a fine mattina, il questore di Alessandria, Filippo Dispenza. A lungo nel pomeriggio la donna ha parlato con i vertici dei carabinieri, per tratteggiare stili di vita e onde del pensiero di Preiti. Ieri sera ha portato il ragazzino a mangiare una pizza. «Crescerà nel rispetto del padre», ha detto. Michelangelo ha salutato le telecamere.

I tavolini al chiosco si riempivano ancora di parole sulla crisi. Il sindaco Giancarlo Sardi, davanti al Municipio cui un anno fa sconosciuti appiccarono il fuoco devastandone un piano: «Ovunque si insinua l’ansia di domani. Qui abbiamo aziende medio -grandi, ma sono ferme, per fortuna non licenziano, ma non assumono, l’edilizia è immobile, il Comune stesso non può più affidare quei lavori che un tempo davano 200-300 mila euro in un anno. Sempre più vengono in Comune a chiedere aiuti che non sappiamo come dare». In questo scenario lui vedeva la mattinata di ieri come «un giorno di speranza». Ma questi operai, casalinghe, disoccupati davanti al bar ci vogliono vedere una sorta di «occasione mancata» per una mano che impugnava con disperazione la propria sconfitta.