Luca Lippera, Il Messaggero 29/4/2013, 29 aprile 2013
IN UN ALBERGO ALLA STAZIONE LA NOTTE PRIMA DELL’ORRORE
Stanza 522, quinto piano, affaccio interno, letto senza spalliera, armadio incombente, una sedia, un cestino, sei metri quadrati sì e no. Luigi Preiti, il disoccupato che ha sparso sangue sul battesimo del nuovo governo, ha aspettato il momento dell’azione in una pensioncina a pochi metri dalla Stazione Termini. Il posto si chiama «Hotel Concorde», la strada è via Amendola, e tutto - la povertà degli arredi, la banalità del posto, l’anonimato della zona - fa venire alla mente un giallo di Frederick Forsyth che ha fatto epoca: «Il giorno dello Sciacallo», storia e misteri di un fantomatico attentato al presidente francese Charles De Gaulle ad opera di un killer appostato - fucile a canocchiale - in una soffitta disabitata degli Champs Elysees.
Via Amendola è una traversa di via Cavour dalla parte della stazione. La zona, piena di alberghetti a basso costo, è il classico porto di mare che assorbe le migliaia di persone che gravitano quotidianamente attorno a Termini: turisti, gente in cerca di un’occasione, immigrati, sbandati, ambulanti, prostitute e soprattutto persone di cui nessuno noterà mai la presenza. Preiti era arrivato a Roma sabato pomeriggio con un treno dalla Calabria. L’ex muratore, vissuto per anni in Piemonte, vicino ad Alessandria, era tornato dai genitori in provincia di Gioia Tauro dopo aver perso il lavoro.
SABATO L’ARRIVO
La pensione dista non più di duecento metri da Termini. L’uomo, probabilmente, non voleva farsi notare e si è ficcato nel primo posto che gli è capitato a tiro. «È arrivato verso le tre di sabato pomeriggio - ha rivelato all’agenzia Ansa il portiere dell’albergo, un indiano - Non aveva prenotazione e ha chiesto se avevamo una stanza. È stato fortunato: c’era ancora la cinquecentoventidue al quinto piano. L’ultima camera disponibile. È molto piccola: letto singolo, piccolo comodino e bagnetto».
È lì che Preiti ha aspettato, ha rimuginato, ha ripassato il piano, ha controllato e ricontrollato la pistola: caricatore pieno, carrello oliato, tutto perfetto, tutto pronto. Probabilmente l’ex muratore esasperato dalla perdita del lavoro e dalla mancanza di un qualunque prospettiva ha fatto anche un sopralluogo a Palazzo Chigi. «Sabato pomeriggio - ha detto il portiere ai carabinieri - è uscito verso le cinque. È tornato un paio d’ore più tardi e non è più uscito. Non ha chiesto la sveglia e non ha fatto neppure colazione. Quando abbiamo rifatto la stanza, ho controllato se nel secchio ci fosse qualche residuo di cibo. Niente. Neppure una bottiglietta dell’acqua. Secondo me, non ha neppure mangiato».
LA PISTOLA ACCANTO
La notte di Preiti chiuso nella stanza 522, l’anticamera del delitto, il luogo della vigilia, si può solo tentare di immaginarla. Gli occhi rivolti al soffitto e alle pareti, la pistola pronta, la consapevolezza che niente - dopo - sarebbe stato come prima. Eppure qualcosa, dentro, ha spinto l’ex muratore calabrese a perseguire fino alle estreme conseguenze l’idea originaria: «Sparare ai politici», come ha ammesso dopo la cattura. «Non odio nessuno in particolare - ha detto a uno dei magistrati che lo hanno interrogato negli uffici del Nucleo Investigativo dei carabinieri - ma sono disperato. Ho voluto fare un gesto eclatante in un giorno importante».
LE ULTIME ORE
Preiti, dopo l’arrivo, non ha ricevuto telefonate e non ha chiesto di usare internet. L’«Hotel Concorde» ha un computer per i clienti. Ma il disoccupato calabrese, evidentemente, aveva deciso di isolarsi. Dal mondo divenutogli ostile, da quello della rete, da tutto e da tutti. «Sabato mattina - ha rivelato un cugino - ha lasciato la casa dei genitori a Rosarno senza dire dove fosse diretto e cosa dovesse fare». Alle nove e mezzo di ieri mattina si è presentato alla portineria della pensione e ha chiesto di pagare il conto: una sola note. «Ha detto che partiva - racconta ancora l’indiano Handi - Era ben vestito. Portava una giacca blu. Sembrava tranquillo». Andava a sparare, un uomo senza orizzonte, e quindi senza paura.