varie, 29 aprile 2013
ENRICO LETTA PER IL FOGLIO DEI FOGLI DEL 29 APRILE 2013
Enrico Letta, pisano, 46 anni. Politico. Vice-segretario del Pd. Nuovo premier.
«Finalmente un presidente del Consiglio della mia età» (tweet di Jovanotti). [1]
Coetaneo del primo ministro inglese Cameron, appena sei mesi in più dell’olandese Rutte, 11 anni in meno dello spagnolo Rajoy, 12 della Merkel, 16 del francese Ayrault. Soprattutto, 23 anni in meno di Monti, trenta di Berlusconi («ma la stessa pettinatura», secondo Aldo Cazzullo), 27 di Prodi. E 28 in meno di Giuliano Amato, bruciato all’ultimo nella corsa per Palazzo Chigi. [2]
«È colpa degli occhiali, tutti credono che sia un intellettuale. Invece sono solo miope». [3]
«Emblema del tanto invocato ricambio generazionale della classe dirigente» (Goffredo De Marchis), «cattolico, progressista e al tempo stesso moderato» (Roberto Zuccolini), «fedele, cordiale, intelligente, sobrio, grande mediatore, piace persino a destra» (Mattia Feltri). [4]
La madre, Anna Bianchi, origini sassaresi, fu vicina di casa di Francesco Cossiga. [5]
«Non sono una mosca bianca. E nemmeno il primo della classe. A scuola ero sempre un gradino al di sotto dei più bravi. Ho solamente avuto, fin dagli anni del liceo, una grande passione per la politica». [4]
Alla fine degli anni Settanta il padre Giorgio, insegnante di Matematica all’Università di Pisa, è invitato per tre anni a Strasburgo: «Per me quella è stata la svolta, specie nel biennio 1975-77. Ho imparato la precarietà, anche col cambiare scuola. Ho imparato un’altra lingua. E quali sono le cose che restano e quelle che passano».
La mattina del 16 marzo 1978, quando le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro: «Ce lo dissero in classe, poco dopo le nove. Uscimmo da scuola in silenzio, anche se forse non avevamo colto fino in fondo la portata dell’evento». Il padre lo conduce a via Fani, il luogo dell’agguato e dello sterminio della scorta: «Moro era ancora prigioniero. Fu allora, avevo dodici anni, che in me nacque il primo forte sentimento politico». [6]
Quattordicenne si iscrive al Movimento studenti dell’Azione cattolica «e consacra il sabato pomeriggio nientemeno che alla lettura collettiva dei documenti del Concilio Vaticano II» (Sebastiano Messina). [7]
Si laurea in Diritto internazionale, poi un dottorato in Diritto delle comunità europee alla Scuola superiore di studi universitari e perfezionamento “S. Anna” di Pisa, la stessa da dove sono usciti Amato e Maccanico.
«Proprio Amato lo conosce, simpatizza con lui. E a quel periodo risale l’amicizia di Enrico (intatta nel tempo) con Filippo Andreatta, figlio di Beniamino. Cioè il riferimento politico di Prodi, nonché fondatore dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione che per anni fu catena di trasmissione e di collegamento tra l’universo della Dc e il mondo dell’impresa e del lavoro. Proprio l’Arel è la pista di decollo di Enrico Letta, che lì entra come ricercatore nel 1989 (e oggi ne è il segretario generale)». [8]
Con il governo Ciampi dell’aprile 1993 è nominato capo della segreteria di Beniamino Andreatta, titolare degli Esteri. Da quel momento è una continua ascesa. Dal 1996 al 1997 segretario generale del Comitato per l’euro del ministero del Tesoro, bilancio e programmazione economica.
Nel 1998 toglie ad Andreotti (35 anni) il primato di ministro più giovane nella storia della Repubblica italiana: D’Alema, arrivato a palazzo Chigi, lo insedia a 32 anni alle Politiche comunitarie. Festeggia la nomina offrendo agli amici trippa e champagne alla Bottiglieria di via del Gesù. [7] Il giorno del giuramento, colto di sorpresa, non ha gli abiti da cerimonia. [6]
Nel 2000 è ministro dell’Industria nel secondo governo D’Alema e conserva lo stesso incarico, aggiungendo il Commercio Estero, nel governo Amato. Nel 2001 è deputato, si iscrive alla Margherita. Per due anni transita al Parlamento europeo poi tra il maggio 2006 e il maggio 2008 è sottosegretario a Palazzo Chigi con Romano Prodi, proprio come zio Gianni con Silvio Berlusconi.
«Negli anni al governo, raramente Letta è uscito allo scoperto per dire la sua quando la sua coalizione si è divisa. Fece eccezione a ottobre del 2006, quando l’allora ministro Vincenzo Visco si mise in testa di aumentare al 45% l’ultima aliquota Irpef sui redditi sopra i 150 mila euro. “Ora basta, qui si sta esagerando”, sbottò in una riunione. Era il periodo nel quale, in una intervista per un libro, Letta sperava che non si dovesse giungere a un governo di grande coalizione perché avrebbe “certamente coinciso con una logica di emergenza nazionale”». [9]
Nel 2007 terzo alle primarie del Pd con l’11% dei voti (dietro a Veltroni e Bindi). Nel 2009 invece si schiera con Bersani e l’assemblea nazionale del partito lo elegge vicesegretario.
«Aula di Montecitorio durante il dibattito sulla fiducia a Monti nel novembre 2011. Pensando che restasse riservata, Enrico scrisse al premier una letterina recapitata a mano da un commesso: “Mario, quando vuoi dirmi forma e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficialmente, sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! Allora i miracoli esistono”. La cosa si riseppe all’istante perché un fotografo immortalò la lettera e l’ingrandimento ne rivelò il contenuto». [5]
Quando è stato convocato per ricevere l’incarico da Napolitano si è presentato al Quirinale da solo, alla guida di una Fiat Ulysse grigia.
Non è il premier italiano più giovane di sempre. Giovanni Goria divenne premier nel 1987 a 44 anni. Letta, che di anni ne ha 46 (ne farà 47 il prossimo 20 agosto) è in seconda posizione insieme ad Amintore Fanfani, che divenne primo ministro nel 1954. [10]
Vicepresidente dell’Aspen Institute Italia dal 2004 e uno dei 18 membri italiani della Trilateral Commission fondata da David Rockefeller nel 1973 per favorire la cooperazione tra Nord America, Europa e Asia. Ha fondato l’associazione Trecentosessanta che dal 2005 organizza VeDrò, «il workshop dei quarantenni che si tiene a ogni fine estate in Trentino, diventato negli anni il trionfo delle larghe intese bipartisan». [11]
Ottimi rapporti con il presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli. «Con Prodi il legame resiste ma, spiega uno che li conosce bene, “il Professore non ha mai davvero scelto Enrico come delfino, troppo aperto al dialogo e avverso al rischio, sempre restio a candidarsi a qualcosa”». [2]
Nipote di Gianni Letta. «Così democristiani da assomigliarsi nell’anima. Su un piano privato l’affetto ovviamente c’è. “Sono legato a zio”, ha detto in varie interviste il nuovo premier, “è un rapporto importante”, “ho un’alta stima”. Forse anche perché negli anni ha dimostrato di essere “la salvezza di Berlusconi” – e da questo punto di vista meriti e peccati un po’ si confondono». [12]
«Mi piacerebbe essere più tranchant, più di rottura di quanto caratterialmente io sia, ma il Dna è quello che è». [8]
Sposato in seconde nozze con la capocronista romana del Corriere della Sera Gianna Fregonara (vedi l’articolo di Alessandro Sallusti a pagina due). Tre figli: Giacomo, Lorenzo e Francesco.
Da una decina d’anni abita a Testaccio, al “Cremlino”, il palazzone sul Tevere così ribattezzato perché negli anni d’oro del Pci ospitava una tra le sezioni più grandi della città. [13]
Alto 1 metro e 85.
Milanista. Gioca a tennis e a Subbuteo.
«La politica è come il Subbuteo. Chi ha la mano pesante perde». [14]
Considera gli anni ’80 un periodo straordinario. Per la musica: più gli U2 e i Dire Straits che gli Spandau Ballet e i Duran Duran, che «servivano soprattutto per cuccare». Per i romanzi di Kundera e Vazquez Montalban. Per i film: i suoi preferiti sono Blade Runner, Indiana Jones e in genere tutto Spielberg. Per gli oggetti: il cubo di Rubik, lo skateboard, il frisbee, gli Swatch di cui è stato collezionista; e poi il vespone bianco cui tolse i “bomboloni” e, presa la patente, l’A112 e la Y10. [2]
Una passione per Dylan Dog: «Avrei voluto essere come lui: intelligente e molto corteggiato dalle donne».
Note: [1] Mario Ajello, Il Messaggero 27/4; [2] Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 25/4; [3] Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 25/4; Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, Catalogo dei Viventi 2009, Marsilio; [5] Giancarlo Perna, il Giornale 27/8/2012; [6] Mattia Feltri, La Stampa 25/4; [7] Sebastiano Messina, la Repubblica 25/4; [8] Paolo Conti, Corriere della Sera 25/4; [9] Alessandro Barbera, La Stampa 25/4; [10] Raffaello Masci, La Stampa 25/4; [11] Dario Ronzoni, Linkiesta 24/4; [12] Filippo Ceccarelli, la Repubblica 25/4; [13] Giovanna Vitale, la Repubblica 26/4; Francesco Borgonovo, Libero 25/4.