Riccardo Staglianò, il Venerdì 26/4/2013, 26 aprile 2013
CIPRO, LA CAVIA
NICOSIA. Il volo Roma-Nicosia è praticamente vuoto. La circostanza non sembra ipotecare il buonumore del personale di bordo della Cyprus Airways, la compagnia di bandiera sussidiata dallo Stato, che rischia il fallimento. Continuano invece a essere pieni, secondo l’unità econometrica cara al nostro ex-premier, i ristoranti del centro.
Senza prenotazione è stato impossibile, per tre sere di fila, trovare un tavolo al modaiolo The Market Company. Isolani che danzano sulla tolda del Titanic, commenta qualcuno. Se fate due passi per Makarios avenue, la risposta locale a via Montenapoleone, il quadro cambia. Il nuovo marchio che ha spodestato tutti gli altri è Enoikiazetai, «affittasi», il franchising della miseria. Le tante vetrine vuote sembrano lampadine fulminate in quella che fu la sfavillante arteria dello shopping d’alto bordo.
Una meritata quaresima dopo un troppo lungo carnevale finanziario, con tenori di vita allegramente fondati sul debito? O la parabola del piccolo, sacrificabile capro espiatorio scelto da Angela Merkel per mandare un messaggio di rigore al resto d’Europa. Anche a costo di infrangere l’ultimo tabù, quello della santità dei conti correnti privati. Perché, più o meno colpevole che sia, Cipro è senz’altro la cavia del più radicale esperimento della troika: i bail-out, i salvataggi esterni, diventeranno l’eccezione. La regola, d’ora in poi, sarà il bail-in. Chi rompe l’economia paga (di tasca sua). Slovenia, Portogallo, Italia siete avvertiti.
La tragedia cipriota si è consumata in tre atti. Di fronte al dissesto del sistema bancario dell’isola, sabato 16 marzo il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea e la Commissione europea si accordano per concederle un aiuto da 10 miliardi di euro. È il loro quinto salvataggio dall’inizio della crisi. I soldi sono però subordinati a un inedito prelievo forzoso del 6,7 per cento sui conti correnti sotto 100 mila euro e del 9,9 per cento su quelli superiori. Il presidente Nicos Anastasiades scongiura i connazionali: è l’unico modo per evitare la bancarotta. Il 19 marzo però il parlamento rifiuta l’accordo. È la prima volta che Bruxelles suggerisce di mettere le mani nei depositi e la prima che le dicono no. Tra scene di disperate corse ai bancomat, il governo si inventa un piano b che il 25 marzo riceve il suggello europeo. Chiuderà Laiki Bank, la più esposta. I conti sotto 100 mila euro saranno trasferiti alla Bank of Cyprus. Chi ha di più, compresi tanti imprenditori, perderà l’eccedenza. Chi ha obbligazioni della banca, tantissimi risparmiatori, si ritroverà con carta straccia. I conti della Bank of Cyprus invece saranno tassati e congelati. Chi aveva un milione, per dire, oggi ha la disponibilità di 100 mila. E alla fine ne perderà una quota ancora da definire, tra il 40 e il 60 per cento.
Per capire la magnitudine dell’intervento considerate che l’insieme delle banche cipriote era arrivato a valere otto volte il Pil del Paese, e che le due banche «punite» ne costituivano da sole più di metà. Una catastrofe. Che si aggiunge a quella, datata 2011, quando da un giorno all’altro il sistema creditizio aveva perso 5 miliardi di euro, pari a un quarto dell’intera economia, per l’esposizione sui bond greci divenuti spazzatura. Ancora una volta: se la sono cercata o sono vittime del nuovo corso della pedagogia economica di Berlino?
Se c’è uno che proprio non vuole saperne dell’accusa di aver vissuto collettivamente oltre i propri limiti, quello è l’ex presidente George Vassiliou. Un ottantunenne infaticabile cui, dopo dodici ore tra collegamenti tv e incontri a porte chiuse, avanzano energie per inalberarsi. «Casino economy noi? Neanche per idea» mi dice nell’attico del palazzo della sua società di consulenza che domina la capitale, «i russi non vengono per riciclare il denaro, ma perché siamo una piazza piena di gente preparata, di diritto inglese e un sistema fiscale favorevole alle imprese». Che qui pagano solo il 10 per cento, secondo uno schema che aveva fatto la fortuna dell’Irlanda. Inutile ricordargli il recentissimo studio della Bce per cui, quanto a ricchezza privata, le famiglie cipriote arrivavano ai primi posti, staccando quelle tedesche (265 contro 50 mila euro). «Abbiamo forse più case, magari ereditate, un po’ come voi. Ma quanto a denaro da spendere, è tutta un’altra cosa».
Se lui è il padre nobile della politica nazionale, il coetaneo Nicos Shacolas ne è l’omologo imprenditoriale. Edilizia, grande distribuzione, telecomunicazioni: sembra tutto suo. A occhio non è l’uomo giusto da cui ottenere autocritiche. Dice: «Il nostro modello, con enfasi sul credito, ha avuto successo per decenni. Se errori ci sono stati sono del governo precedente, di sinistra, che ha speso troppo e finanziato aziende inefficienti. Per non dire dell’imbelle accettazione delle perdite dei bond greci». Tuttavia, da pragmatico uomo d’affari, non si scoraggia: «Il turismo l’anno scorso ci ha fruttato 2 miliardi di euro. Quest’anno crescerà del 7 per cento. Investiamo in infrastrutture, alberghi, servizi e ripartiremo». Incidentalmente ha interessi in tutti questi settori. Gli viene in mente anche una ricetta più rapida: «Una legge prevede la concessione della cittadinanza (con tutti i vantaggi di diventare comunitario) a chi investe almeno 3 milioni nell’isola. In tre anni, attraendo 5 mila nuovi cittadini, incasseremmo 15 miliardi di euro, un 50 per cento in più del pacchetto della troika». Che possa diventare una scorciatoia per l’Europa di businessmen senza scrupoli non lo preoccupa: «Chi è preposto ai controlli, li farà».
Per previsioni del tempo economico meno ottimistiche basta rivolgersi agli economisti. Che hanno quasi tutti studiato negli Stati Uniti, quando il governo facilitava l’espatrio con borse di studio. Marios Zachariadis, della University of Cyprus, è uno di loro. Spiega: «A differenza della Grecia, che aveva un mostruoso debito pubblico, da noi era il 47 per cento del Pil sino al 2008. Poi è arrivata la crisi, le banche hanno abbassato il costo del denaro e abbiamo accumulato il debito privato più alto del mondo, tre volte superiore alla ricchezza prodotta». Era il periodo delle spese pazze, in cui si sono vendute il doppio delle auto di lusso del triennio precedente oppure si faceva la fila per un freddo, un caffè shakerato da sei euro, in qualche baretto pretenzioso di Makarios avenue. Fine del mea culpa. Dal momento che anche Mario Draghi avrebbe le sue responsabilità: «Perche la Bce ha fatto pagare il prezzo intero ai correntisti ciprioti "risparmiando" le filiali greche delle stesse nostre banche, dove giacevano 50 miliardi di euro? Includendo anche loro si sarebbe distribuito più equamente il peso dell’operazione che ora rischia di ucciderci. Ma Francoforte ha preferito sacrificare noi, che siamo piccoli». Per compensare si sono dovuti imporre – altra prima storica nella Ue – i controlli sui capitali. Il capitale circolante, quello che serve alle aziende per vivere, è ridotto a un rivolo. E la disoccupazione è passata dal 5 al 14 per cento. «Gli stipendi dei dipendenti pubblici, compresi i professori universitari con più anzianità come me» ci dice nel salotto della sua splendida casa di famiglia Louis Christofides, «negli ultimi due anni sono stati decurtati del 20-25 per cento». Dopo una vita a insegnare in Canada si immaginava un atterraggio più morbido. Ma è la mancanza di liquidità per le aziende a preoccuparlo: «Uno scenario devastante. Se non iniettano denaro fresco, qui si ferma tutto». L’austerity, già iniziata dopo il contagio delle obbligazioni di Atene, adesso prenderà velocità. Alla Sygma, una tv locale, non ricevono più gli stipendi. I negozi offrono saldi fuori stagione. Una situazione economica deteriorata che faceva del piccolo Paese il paziente zero ideale per testare la nuova cura. Dice Christofides: «L’idea di intaccare i depositi privati tra i banchieri europei girava da tempo. Anzi, era stata applicata sull’Amagerbanken danese due anni fa. Ovvero si era imposta ai titolari di obbligazioni una riduzione del 40 per cento dei loro diritti. Un proto bail-in accolto tra gli allarmi degli specialisti, ma senza rivoluzioni». Si poteva bissare su scala più grande.
E risiamo a oggi. Dimitris Georgiades è un giornalista economico del quotidiano Politis. Neppure lui parla in astratto quando parla di tagli: «L’anno scorso ne abbiamo avuti tre sullo stipendio, per un totale del 30 per cento. Tantissimo. Però è anche vero che nell’ultimo decennio la nostra paga era quasi raddoppiata». Ora soffrono, però prima si sono divertiti. «Con l’entrata nell’Eurozona nel 2008 abbiamo cominciato a credere di essere ricchi, che bastava prendere a prestito e spendere». Un’illusione tragicamente diffusa. Non sarà lui a lamentarsi della medicina amara: «Certo che siamo diventati una cavia per l’ultimo esperimento della troika; la buona notizia è che cercheranno di farlo funzionare per dimostrare che è possibile applicarlo altrove». Gli ultimi dispacci da Strasburgo sembrano confermare la tesi dell’inizio di una nuova èra. La prossima legge sulle crisi bancarie di cui si ragiona al Parlamento europeo potrebbe ufficializzare il ricorso al prelievo dai grossi conti, ha detto di recente il relatore Gunnar Hokmark. Cipro dunque non sarebbe l’eccezione. Il bail-in è il nuovo bail-out. Correntisti europei prestate attenzione.
Riccardo Staglianò