Vittorio Da Rold, Il Sole 24 Ore 25/4/2013, 25 aprile 2013
LUBIANA MANOVRA LE BANCHE E L’ECONOMIA TORNA ALLO STATO
Privatizzazioni slovene, addio? Forse, almeno a guardare il rapporto Ue sulle cause della crisi di Lubiana, dove Bruxelles punta il dito sul "frutto avvelenato" delle privatizzazioni fatte a tambur battente negli anni 90, un passaggio di proprietà fatto attraverso una rete poco trasparente e spesso incestuosa, di controlli incrociati tra banche pubbliche e società tornate al mercato, consentendo de facto il mantenimento del controllo pubblico sull’economia di gruppi di potere spesso legati alla vecchia nomenklatura comunista della ex Jugoslavia.
Un gioco a incastri opaco e dai contorni oscuri che non ha permesso la giusta allocazione dei capitali. Una crisi derivata da prestiti eccessivi di banche statali, oggi tutte in perdita, fatti ai dirigenti delle ex aziende pubbliche, diventati imprenditori con il Management o il Leveraged Buy Out, che ora però non riescono a restituire i troppi soldi presi in prestito perché confidavano in profitti stellari e fatturati in ascesa. Così tutto torna alla casella di partenza: allo Stato.
Un dato per tutti: le prime dieci società inserite nell’indice principale della Borsa di Lubiana sono sotto controllo pubblico, con potenziali gravi danni per gli azionisti di minoranza e la tutela dei loro diritti di investitori. Spesso, inoltre, lo Stato ha una minoranza di blocco che non consente scalate ostili o il miglior rendimento delle risorse mantenendo al comando gruppi manageriali che preferiscono mantenere lo status quo senza rischi.
In un recente rapporto della Commissione nazionale per la lotta alla corruzione in Slovenia, si sostiene che le maggiori banche locali, di cui tre pubbliche tra le prime quattro, hanno elargito nello scorso decennio enormi somme di crediti, ora ritenuti tossici, che ammonterebbero a un quinto del Pil.
Le direzioni delle banche avrebbero spesso preso decisioni in base a rapporti politici e personali, «in un’atmosfera di corruzione politica strutturale». La relazione sulle banche slovene, in gran parte di proprietà dello Stato, stima i crediti in sofferenza a 7 miliardi di euro.
Emblematico - per la Commissione europea - il caso di Intereuropa, società di servizi logistici, in mano pubblica al 51%, attraverso una fitta ed intricata ragnatela di incroci azionari di ben dieci società (finanziarie, fondi statali, assicurazioni e banche) tutte riconducibili alla longa manus del Tesoro sloveno. Un meccanismo opaco, legato a gruppi di controllo interni «senza incentivi ad aumentare la profittabilità o la ristrutturazione delle società», dice il rapporto Ue.
Questi scambi azionari con banche o fondi statali provocano effetti paradossali nell’economia reale, come nel caso del gruppo leader della distribuzione al dettaglio Mercator o della birra Pivovarma Lasko, in cui la quota di azioni statali è salita sopra la soglia della minoranza di blocco dopo che le banche pubbliche hanno trasformato in azioni i crediti in sofferenza. Così le società un tempo privatizzate e ora in crisi sono state ri-nazionalizzate in modo strisciante, provocando però nuove perdite alle banche pubbliche che a loro volta hanno chiesto capitali freschi al Governo. Una catena della crisi che ha fatto deragliare i conti pubblici al punto che il Tesoro sloveno non va sul mercato dall’ottobre scorso.
Altro esempio di statalizzazione strisciante. La banca NKBM ha ricevuto 170 milioni di ricapitalizzazione dallo Stato ma per evitare un esborso eccessivo e che la quota pubblica venisse diluita Lubiana ha chiesto a tre società pubbliche di acquistare le nuove azioni della NKBM proporzionalmente alla quota statale. Nel 2012 uno di questi "cavalieri bianchi", le Poste slovene, che detiene il 6,6% di NKBM, ha svalutato per 5 milioni il valore delle azioni bancarie appena acquistate. E a pagare, alla fine del tortuoso giro, sono i contribuenti.
«La ragione principale per cui le banche pubbliche non sono state vendute è perché hanno servito gli interessi delle élite finanziarie e politiche del Paese», ha ammesso l’ex ministro delle Finanze, Janez Sustersic.
Per questo la Commissione Ue ha chiesto di privatizzare le maggiori banche slovene, oggi in mano pubblica, e di far retrocedere lo Stato dall’economia per uscire dalla crisi in cui versa il Paese. Ma non sarà facile.