Rita Cirio, l’Espresso 26/4/2013, 26 aprile 2013
DOPPIO SERVILLO
[Beppe e Toni Servillo]
Al Piccolo di via Rovello, coproduttore di "Le voci di dentro" di Eduardo De Filippo, la lista d’attesa per trovare un posto è da aeroporto internazionale. Neanche Veronica Lario è riuscita a entrare, pare. In platea c’è invece l’icona e memoria storica del teatro, Valentina Cortese, divertita, bella, elegante e benedicente. Sul palcoscenico due fratelli, Toni e Beppe Servillo, interpretano due fratelli meno solidali di quanto siano loro nella vita. E per Beppe, efficace quanto Toni, che qui è anche regista, e persino più "eduardiano" per via di quella sua magrezza concava, è la prima volta a teatro. A Milano fino al 28 aprile, lo spettacolo sarà a Roma, al Teatro Argentina, dal 7 maggio.
Cinquantenni, cresciuti a Caserta, Beppe e Toni sono nel mondo dello spettacolo dagli anni Ottanta. Beppe cantante e frontman degli Avion Travel ha vinto nel 2000 il Festival di Sanremo. Toni regista e attore di teatro, è uno degli attori di cinema più camaleontici, richiesti e premiati anche in campo europeo, Efa (Oscar europeo) nel 2008 come miglior attore. Concordi anche nelle risposte di questa intervista quasi corale: Beppe riservato e laconico, Toni dall’eloquio fluente e forbito.
Avete fatto in tempo a conoscere Eduardo?
« A conoscerlo di persona no, perché eravamo troppo giovani (Toni del ’59, Beppe del ’60, ndr.). Ma come molti della nostra generazione abbiamo visto Eduardo a teatro quando quasi per rito ci portavano i nostri genitori al San Ferdinando. Lo spiavamo insieme a nostro padre quando usciva dal camerino e si intratteneva nella piazza davanti al teatro. Cosa ancora più importante per la nostra generazione, averlo conosciuto nei riti televisivi. La famiglia allargata a nonni e zii si riuniva a vedere le commedie di Eduardo in tv. Poi alle nostre spalle si ritrovavano le stesse situazioni delle commedie. Ed è la ragione per cui molti nostri coetanei hanno confuso il teatro con la vita e viceversa. Il critico Giuseppe Bartolucci, in piena temperie di teatro sperimentale, ci intimava: stasera vi porto a vedere Eduardo che fa Ciampa nel "Berretto a sonagli" e "Sik Sik l’artefice magico". Sono stati il suo testamento spirituale».
Ricordo che in camerino mi disse: «Se vuole restare, adesso mi faccio il trucco da vecchio». Considero un privilegio aver assistito al rito. Ma se ricordate anche voi, al termine delle registrazioni tv delle sue commedie, Eduardo ringraziava con le spalle alle telecamere, certo non per poca creanza, ma per segnalare che quello era teatro filmato, il teatro vero era un’altra cosa.
« Certo, anche se per fortuna è l’unico autore attore drammaturgo di cui abbiamo a disposizione repertorio testuale e repertorio eseguito, e c’è uno scarto molto affascinante tra i due e comunque ha lasciato una testimonianza di quanto si possa arricchire una interpretazione rispetto alla scrittura».
Scarto che si ritrova anche nelle "Voci di dentro".
«Per fare un esempio eloquente, l’invenzione di Zi’ Nicola va assaporata a teatro, non c’è film o ripresa tv che possa restituire la forza tutta scenica della muta saggezza di questo personaggio che sta appollaiato in alto su un soppalco».
Personaggio che è l’emblema stesso della commedia con quel suo alfabeto Morse di petardi e fuochi d’artificio, unico suo modo di comunicare con un mondo sordo.
«C’è addirittura una traduzione francese che si intitola "Zi’Nicola". Tra l’altro fu l’ultima commedia interpretata in Inghilterra da Sir Ralph Richardson ed Eduardo andò a vederlo. E poi c’è questo senso di smarrimento del protagonista che si muove tra sogno e realtà e dove il sogno produce le cose».
È una commedia etico-junghiana .
«Giusto. La drammaturgia di Eduardo oggi è più moderna di tanto teatro dell’assurdo che non ci aiuta più a capire il mondo».
Quasi superfluo chiedervi perché avete scelto proprio questo testo.
« Due ragioni, una formale e una tematica intimamente legate. Scritto nel ’48, contiene il racconto di una società nel suo precipizio morale e nella totale mancanza di chiarezza e il mutismo di Zi’ Nicola è legato a questo».
Testo scritto di getto, leggenda dice in 17 ore, così mi raccontò Eduardo. A proposito di Zi’ Nicola, oggi voterebbe Grillo o non voterebbe affatto?
«Non voterebbe per niente! (i due fratelli quasi all’unisono, ndr.). Per lui l’umanità è sorda. E il personaggio di Alberto Saporito (il protagonista) sta diventando come lui. È un testo che lancia un allarme da grande moralista qual era Eduardo».
Si parlava di teatro in tv. Ci credete?
«"Sabato domenica e lunedì" è stato affidato a un sodale come Paolo Sorrentino che ha fatto un lavoro straordinario, perché ha un occhio complice e originale. E poi se non ci credessimo, non avremmo potuto goderci le commedie di Eduardo, gli spettacoli di Strehler e quelli della Compagnia dei Giovani, la "Bettina" allestimento goldoniano di Luca Ronconi con una magnifica regia televisiva fatta da lui stesso».
Voi come i De Filippo avete anche una sorella...
«E anche un altro fratello, ma fanno una loro vita non nel teatro».
I De Filippo litigarono una volta per tutte. E voi?
«No, noi no, forse solo da ragazzi qualche volta».
E quindi i dissensi restano solo nella finzione scenica di questo testo.
«Anzi è ancora più seducente così e Beppe è proprio il contrario del personaggio che interpreta».
Siete cresciuti a Caserta e proprio nella reggia Toni faceva le prove di alcuni suoi spettacoli. Come vivete il suo degrado?
«Ho fatto le prove e il debutto del "Misantropo" nel teatrino di corte. È uno dei monumenti che subiscono il degrado per una generale crisi di mancanza di fondi, ma resta uno dei cinque più visitati d’Italia con un parco più bello di quello di Versailles. E una ricchezza negli arredi e nei quadri, rari vedutisti, un presepe di terracotta settecentesco, oltre a un grande repertorio di arte contemporanea, Warhol, Beuys, donate da Lucio Amelio».
Visto lo spettacolo e la bravura e l’aderenza eduardiana di Beppe, è scontato chiedere come mai avete deciso di recitare insieme.
«È un’occasione che pazientemente abbiamo aspettato cercando di metterci al servizio di questo testo. E poi Beppe è un cantante attore con esperienze anche nel cinema. Ci sembrava seducente per noi e per il pubblico il cortocircuito tra finzione e realtà e poi il teatro è anche una faccenda di famiglie, non solo napoletane».
Tra i tanti premi di Toni ce n’è uno che mi commuove più di tutti, intitolato a un originale regista napoletano, Gennaro Vitiello, e vorrei che Toni raccontasse alle giovani generazioni chi era.
«Gennaro è stato un regista molto importante a Napoli. In una città che ha una tradizione teatrale nobile ma anche sufficiente a se stessa, pregio e limite insieme, che può portare alla ripetizione manieristica di un repertorio, Gennaro ha portato invece l’Europa, mettendo al centro del suo interesse soprattutto Brecht e dentro il teatro napoletano una curiosità anche per altri repertori. E poi Vitiello metteva insieme l’alto e il basso negli spettacoli, ben prima che diventasse una moda».
Gli sono debitrice di avermi fatto avvicinare a forme di teatro popolare come il dramma sacro e la sceneggiata, e tracce di questa restano anche nel vostro spettacolo .
«Con una certa misura nella regia ho cercato di farle emergere perché credo che l’aspetto più ferocemente tragico di questo testo sia nel suo contraltare anche farsesco perché i tempi che viviamo sono anche di tragica farsa, dimensione in cui si trova coinvolto il protagonista anche nella sua qualità di testimone».
È curioso che quasi in contemporanea nei due teatri del Piccolo ci siano due spettacoli, "Il Panico", regia di Ronconi, e il vostro, che accentuano con una scena su un piano inclinato il momento che stiamo vivendo.
«Oltre allo stare un po’ in bilico, mi interessa avvicinare molto la scena al pubblico. Per guardare più da vicino qualcosa che è forte in questo testo, il mostruoso che si annida nell’ovvio, nell’evidente».
Chiedo a Toni se ha mai avuto la tentazione di fare il regista anche al cinema.
«Non mi è mai passato per la mente. Rispondo con le parole del divino Mastroianni, senza averne il talento: al cinema un attore viene talmente coccolato, è così bello vivere quella felice condizione di non responsabilità. A teatro invece vivo ogni sera la doppia responsabilità di attore e regista, un peso felice, ma un peso. Il regista di cinema assomiglia di più a uno scrittore, ne ho visti pochi di grandi attori che sono stati anche grandi registi».
Woody Allen, per esempio.
«Orson Welles, Chaplin ma sono delle tali eccezioni… Io non sarei in grado».
Mi sono chiesta come mai non si possa praticamente fare un film di un certo impegno senza Toni Servillo. Ipotesi: perché è molto bravo oppure perché forse non costa così tanto…
«Be’, sono una persona agiata ma non ho ancora partecipato a quelle produzioni che ti consentono di diventare ricco».
Terza ipotesi: Servillo è uno di quegli attori che se un regista lo sceglie va sul sicuro perché partecipa e condivide molto della costruzione del film.
«Credo che la ragione sia questa, ma attenzione, il film è sempre del regista. Chi mi ha scelto al cinema mi conosce a teatro e sa che oltre a quello che posso dare come attore, posso portare un contributo che volendo può arricchire dal punto di vista drammaturgico. ( Beppe annuisce, ndr.)».
Sempre Servillo sempre Servillo: ha mai avuto occasione di dire di no?
«Non ho mai fatto un film mercenario, ne ho fatti una ventina e mai uno solo per mero lavoro, ho detto molti no, ma sono orgoglioso dei sì. Detti spesso a molte opere prime, Sorrentino e Molaioli per esempio. Quando scelgo un film c’è un orizzonte artistico comune».
Servillo come il Volontè dei nostri tempi?
«Credo che gli attori della mia generazione abbiano guardato a Volontè e a Mastroianni, seppure così diversi, come attori che avevano la capacità di illuminare un film. Come un grande direttore della fotografia può avere una sua dimensione autorale dando una certa luce al film, cosa che un regista non può fare, dal punto di vista emotivo, intellettuale e morale, così un attore può illuminare un film. La più bella immagine della giustizia ferita, umiliata, che questo Paese ha conosciuto nella sua storia reale e che il film ci ha regalato, è l’immagine del giudice di "Porte aperte" che Volontè ci ha dato nel film di Amelio, quella straordinaria figura di giudice».
Che Volontè aveva modellato direttamente sulla figura e sul portamento di Sciascia, autore del libro, e si aveva l’impressione che l’attore ne avesse introiettato anche la forza morale.
«Eduardo e Volontè facevano corrispondere il mestiere alla loro persona.Oggi invece spesso anche in altri campi c’è questo iato enorme, la persona che sei non corrisponde al mestiere che fai e viceversa. E poi avevano un rigore morale che si traduceva in felicità espressiva. Noi siamo attori, dobbiamo comunicare piacere, emozioni. Siamo attori, non ideologi».