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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

COME SI SPRECA UN MARE DI PETROLIO


È COMINCIATO IL CHAVISMO senza Hugo Chávez. Il potere è adesso nelle mani di Nicolàs Maduro, il più cubano tra i fedeli dell’ex presidente morto di tumore. È assai probabile che i difetti, le storture, le deviazioni anti-democratiche del chavismo saranno ancora più evidenti e divideranno ancor di più il Venezuela. La nomenklatura che si è installata in tutti i gangli del potere negli ultimi 14 anni difficilmente farà un passo indietro.
CHI OGGI CONTROLLA il potere - nell’esercito, nella burocrazia, nella politica, nel sindacato e nelle professioni - ha avuto la possibilità di arricchirsi senza troppa fatica. C’è un sistema semplice per diventare molto, molto ricchi nel Venezuela di oggi. Si va in banca, si comprano dollari americani dicendo che servono per importare qualcosa (manca quasi tutto) e per ogni banconota americana si pagano 6 bolivares e 40 centesimi, il tasso di cambio ufficiale. Che però è finto e destinato solo a quei pochi che sono autorizzati a comprare dollari. Poi si prende la valuta americana e si ricambia in bolivares nel mercato del dolar paralelo, dove per ogni banconota da un dollaro si ricevono 25 bolivares. Voilà, il capitale iniziale si è quadruplicato.
NATURALMENTE, NON TUTTI i venezuelani possono fare questo giochetto, poco faticoso e molto remunerativo. Bisogna far parte della "boliborghesia", ovvero la nuova borghesia bolivariana che ha sostituito la vecchia classe dirigente democristiana implosa e scomparsa per l’incapacità di costruire una società moderna. I boliborghesi hanno sostenuto il chavismo nell’operazione più difficile della sua leadership: la creazione del consenso.
SE PER FARE SPAZIO alla nomenklatura è stato aumentato il numero dei ministeri dai 16 del 1999 ai 31 del 2013 cui vanno aggiunti il primo ministro e sei vice primi ministri, per la massa dei venezuelani si sono aperte le porte dell’impiego pubblico. Nel 1999 erano 900 mila, su una popolazione di 29 milioni di persone, oggi sono 2 milioni e 300 mila. Non sono posti di lavoro produttivi, ma solo un macigno sui conti pubblici. Aumentare i dipendenti statali del 155 per cento è servito a creare un consenso smisurato e una massa di manovra politica ed elettorale che è stata utilizzata in ogni occasione per sostenere il regime.
TUTTO CIÒ È STATO POSSIBILE perché il Venezuela galleggia su un mare di petrolio, la fonte di tutte le ricchezze di chi lo governa. Il Paese sudamericano ha le più grandi riserve di petrolio (quasi 300 miliardi di barili) e supera addirittura l’Arabia Saudita (265).
I ricavi del petrolio sono stati usati per creare consenso, sotto la bandiera della lotta alla povertà. Che è sicuramente diminuita, ma non allo stesso livello di altri paesi (Brasile e Perù). I soldi del petrolio venezuelano sono stati buttati letteralmente dalla finestra perché non hanno prodotto un moderno sistema industriale, né una società dei servizi e non hanno favorito l’arrivo di investitori.
L’ORO NERO È STATO SPRECATO e male utilizzato. Prima dell’avvento del chavismo venivano estratti 3 milioni e 480 mila barili al giorno, mentre oggi la produzione è scesa a 2 milioni e 357 mila. L’industria petrolifera è passata da 40 mila a 120 mila addetti, con la produttività crollata del 342 per cento, dagli 87 mila barili al giorno per addetto ai 19 mila e 641. Il chavismo non si è minimamente occupato della modernizzazione del Paese e delle infrastrutture. Un esempio? Il Venezuela ricco di petrolio non ha l’autosufficienza nella raffinazione della benzina che è costretto a importare.
QUANTO PUÒ DURARE un regime che amministra lo Stato in questo modo? Molto perché il monopolio nel controllo dell’unica ricchezza mette fuori gioco chi non indossa la divisa del chavismo. Ma le crepe possono aprirsi all’improvviso. La prima si è manifestata proprio con l’elezione di Nicolàs Maduro che ha vinto con il 50,78 per cento dei voti (quasi 273 mila voti in più dell’avversario Capriles) mentre solo pochi mesi prima di morire Hugo Chávez aveva conquistato la sua quarta presidenza con il 55,1 per cento e un milione e mezzo di voti in più rispetto allo sfidante.