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 2013  aprile 25 Giovedì calendario

SECESSIONE RISCHIOSA. LA SCOZIA RIMARREBBE FUORI DALLA STERLINA —

La guerra della sterlina surriscalda gli animi degli indipendentisti scozzesi. Manca ancora del tempo al referendum che, a metà del settembre 2014, deciderà le sorti del Regno Unito e scioglierà il rebus della secessione di Edimburgo da Westminster. Però uno dei nodi è venuto al pettine: quale valuta adottare nel caso di addio?
Euro. Pound inglese. Pound scozzese. Non è scontata (e facile) la scelta monetaria, visti gli interessi in gioco. Premesso che, allo stato attuale delle cose, i sondaggi sono unanimi nel ritenere assai improbabile l’opzione indipendentista da parte degli elettori, anche se il fronte del sì ogni giorno che passa conquista un consenso in più, è evidente che gli schieramenti devono dare dimostrazione di avere le idee chiare e di indicare senza indugi le prospettive economiche della separazione. Negli ultimi giorni sono volate parole pesanti fra Londra, Downing Street numero 11 la casa del Cancelliere dello Scacchiere custode delle politiche di bilancio britanniche, e il ministero delle Finanze scozzese nella persona di John Swinney che in base agli accordi di devoluzione governa circa l’8% delle risorse fiscali ma che diventerà il 100% se gli eredi di Braveheart vinceranno.
La sostanza è questa: George Osborne, assieme al numero due del Tesoro Danny Alexander, uno conservatore l’altro liberaldemocratico ma con la benedizione dei laburisti (dato che i tre partiti si fiancheggiano per il no) hanno detto che non è immaginabile andarsene dal Regno Unito continuando a riferirsi alla Banca d’Inghilterra come all’unico istituto centrale condiviso da Edimburgo e Londra: se la Scozia se ne va, allora se ne vada fino in fondo. Quindi, altro istituto di emissione, altra valuta. La sterlina agli inglesi. Gli scozzesi provvedano come credano ma non con il pound britannico. «Nessuna unione monetaria di stile europeo e nessuna unione fiscale» hanno ingiunto i due tesorieri, Osborne e Alexander. «Problemi di asimmetria». L’8% o giù di lì della popolazione dell’Isola britannica e della sua economia (la Scozia) non può condizionare la Gran Bretagna.
Chiaro che il dirimpettaio di Edimburgo, John Swinney, non poteva ingoiare il rospo. E allora ha risposto per le rime: «Tattiche allarmiste per condizionare gli elettori». Il fatto è che i secessionisti scozzesi hanno compiuto una discreta revisione delle loro posizioni. Ma la ragione è comprensibile. Fino a che l’eurozona sembrava reggere agli sconquassi mondiali l’idea era sposarne la valuta e di mandare al macero la sterlina, poi la situazione è precipitata e hanno pensato a qualche correzione di fantasia.
«Conviene a noi e conviene a loro». Per John Swinney non c’è che dire: l’unione monetaria fra Scozia e Londra è la soluzione migliore per i conti e per la bilancia commerciale delle due nazioni anche perché quei 40 miliardi di sterline garantiti all’Inghilterra dal petrolio estratto nei mari scozzesi non sarebbero soggetti alle fluttuazioni e alle speculazioni dei cambi e dei tassi. A dargli manforte è sceso in campo anche un arbitro indipendente: l’americano premio Nobel dell’economia Joseph Stiglitz.
E’ la guerra della sterlina. Edimburgo insiste. E Londra è sorda. Se i «ficcanaso di Bruxelles», sempre pronti a fare le pulci a tutti, sono fantasmi da allontanare (per Downing Street), figuriamoci se potrà mai essere accettata una unione monetaria e fiscale in cui Edimburgo ha il diritto di manovrare le leve valutarie di Londra. O secessione vera. O niente.
Fabio Cavalera