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 2013  aprile 25 Giovedì calendario

RETI E PENSATOI, IL PONTIERE IN «STILE ASPEN»

Enrico Letta è un pontiere per vocazione, uno scientifico cultore del cosiddetto «networking», parola che i più maligni traducono, brutalmente, con «l’arte dell’inciucio». In realtà il presenzialismo trasversale del premier incaricato ha una radice antica, democristiana, morotea. Nella metà degli anni Settanta fu il suo maestro Beniamino Andreatta a inventare uno dei primi pensatoi (oggi si dice «think tank») all’italiana, fondando Prometeia a Bologna (1974) e poi l’Arel a Roma (1976), con ospiti fissi come Giuliano Amato, Giorgio Ruffolo, Romano Prodi, Paolo Sylos Labini e tanti altri. Il giovane Enrico (classe 1966) si aggiungerà alla compagnia negli anni Novanta e alla fine del decennio sarà già pronto per adattare lo stesso schema agli anni Duemila. Ancora oggi Letta figura come segretario generale dell’Arel. Nel frattempo ha dato vita ad altre due associazioni: il «think-net» VeDrò (2005) e TrecentoSessanta (2007), «luogo di riflessione giovane e informale» (ma con buona pace della gioventù il sito si apre con una citazione di Andreatta, naturalmente).
Una delle specialità di Letta è miscelare le reti di base con la frequentazione dell’establishment politico ed economico del Paese, senza trascurare aperture europee e americane. Non sorprende, dunque, ritrovarlo sulla poltroncina di vice presidente dell’Aspen Institute Italia (dove è arrivato nel 2003), sullo stesso gradino di John Elkann (presidente Fiat), Paolo Savona e Lucio Stanca. Sopra di lui il presidente Giulio Tremonti e, ancora più su, i presidenti onorari Giuliano Amato, Gianni De Michelis, Carlo Scognamiglio, Cesare Romiti. Un campionario di potere della Prima e della Seconda Repubblica.
Aspen, un nome che spesso viene associato a riunioni misteriose, traffici di favori e influenze: il retrobottega che conta davvero. È così? Aspen Institute è una creatura statunitense. Nasce nel 1950 nell’omonima località montana del Colorado e, contemporaneamente, a Washington. Politici e imprenditori cercano luoghi di sintesi nell’America del boom economico. E Aspen diventa uno di questi. In Italia sbarca nel 1984, come veicolo dei rapporti transatlantici. Il peso dell’associazione cresce negli ultimi dieci-quindici anni. Oggi vive del contributo di 151 soci sostenitori, praticamente tutte le principali imprese italiane, banche e multinazionali: da Eni a Fiat, a Deutsche Bank (c’è anche Rcs MediaGroup che edita il Corriere della Sera). I bilanci sono riservati, ma le risorse a disposizione certamente non sono inferiori a 5,2 milioni di euro l’anno, poiché la quota associativa risulta ammontare a 35 mila euro per i dodici mesi.
L’attività ruota sul trio Amato-Tremonti-Letta. Sono stati loro, per esempio, gli animatori dell’ultimo «Seminars for leaders» tenuto a Venezia nell’ottobre scorso. Due giorni di confronto tra imprenditori, banchieri, politici, sindacalisti, accademici e qualche giornalista. Elenco sterminato: Ignazio Visco, Alessandro Profumo, Franco Bassanini, Susanna Camusso, Giuseppe Vegas, l’economista americano Martin Feldestein, Enzo Moavero Milanesi, Massimiliano Fuksas e così via. Tutti ligi al «metodo Aspen»: discussioni libere, ma a porte chiuse.
Mancanza di trasparenza, di fiducia nell’opinione pubblica? La critica ci può stare. Ma per molti partecipanti può essere un’occasione preziosa per misurarsi e misurare fino in fondo le posizioni altrui, senza le forzature, le esagerazioni dei talk show televisivi.
Giuseppe Sarcina