Riccardo Luna, la Repubblica 26/4/2013, 26 aprile 2013
LE OFFICINE DELLE CREATIVITÀ CONQUISTANO L’ITALIA “COSTRUIAMO IL FUTURO CON LE STAMPANTI 3D”
SONO palestre per inventori. Laboratori di creatività.
Posti dove “puoi costruire quasi tutto”, secondo la felice definizione con cui il primo venne aperto al MIT di Boston una dozzina di anni fa. E sono una delle poche speranze che abbiamo di creare posti di lavoro. Sono i FabLab, una espressione che sta per “laboratori da favola” e in Italia, complice la crisi, stanno letteralmente aprendo come funghi. L’ultimo mercoledì pomeriggio a Pistoia, nella Biblioteca San Giorgio, si chiama You-Lab ed è stato finanziato direttamente dall’ambasciata americana tanto che il taglio del nastro è avvenuto subito dopo che l’ambasciatore David Thorne ha soffiato in fischietto appena prodotto da una stampante 3D fatta a Firenze, la Kentstrapper. Perché il governo americano sostiene l’apertura di un FabLab in Italia? Perché esattamente un anno fa il presidente Obama ha annunciato un piano di un miliardo di dollari per aprire 15 istituti per l’innovazione manifatturiera nel paese e perché l’iniziativa si chiamava non a caso “we can’t wait, non possiamo aspettare”, che vuol dire non possiamo più aspettare per puntare sulla innovazione per ricominciare a produrre le cose invece di continuare a farle in Cina.
Del resto questo storia inizia al MIT di Boston dove nel 2001 un giovane professore, Neil Gershenfeld, lancia il Centro per i Bit e gli Atomi, promette di creare un ambiente dove sarà possibile fare direttamente quasi tutto quello che si è immaginato, e in un attimo i suoi corsi vanno esauriti. L’idea che c’è alla base è che gli strumenti per produrre oggetti costano sempre meno e sono sempre più facili da usare e quindi metterli a disposizione degli studenti scatena le loro giovani menti. Nel 2010 nel mondo esistono più di cento FabLab, compreso in Costarica ed Afghanistan. In Italia zero. Nel marzo del 2011 ne viene aperto uno provvisorio a Torino in una delle mostre celebrative dei 150 anni dell’unità d’Italia, Stazione Futuro, e questa installazione con una piccola stampante 3D e una tagliatrice laser, diventa meta di un pellegrinaggio quotidiano di curiosi. Nel febbraio del 2012 sempre a Torino apre il primo FabLab, si chiama Officine Arduino, un omaggio, non al re dell’Anno Mille, ma ad Arduino,
il mini computer da venti euro inventato a Ivrea e diventato uno strumento indispensabile dei FabLab di tutto il mondo perché consente facilmente di sperimentare a basso costo.
L’ultima immagine è di martedì scorso. A Firenze, in uno dei padiglioni della Fortezza, dove si teneva la grande fiera annuale dell’artigianato, una trentina di persone da tutta Italia ascoltavano un ragazzo di 32 anni in jeans e thshirt che spiegava loro
“come si fa un FabLab”. Lui si chiama Massimo Menichinelli, era un designer di La Spezia quando ha scoperto questo mondo diventato un guru mondiale di “open design, progetti aperti e condivisi”. I suoi corsi
alla Aalto University in Finlandia sono tra i più seguiti da ingegneri, designer e progettisti di ogni continente. Il fatto è che ora il boom è arrivato anche in Italia: entro l’anno sulla carta sono previste aperture di FabLab da Trento a Palermo, imminenti quelle di Novara e Pisa. E il 24 maggio a Roma, grazie alla collaborazione fra la Camera di Commercio e l’ambasciata americana, è previsto un vero happening con il grande Neil Gershenfeld che verrà ad incontrare i “fabbers” nostrani per dir loro come si fa la terza rivoluzione industriale (“makers” in inglese).
Di questo momento magico Menichinelli dice: «Un FabLab serve anzitutto a far capire le immense potenzialità della tecnologia digitale. Immagini un oggetto, lo progetti al computer e lo produci con un clic. Lo scorso anno una sedia progettata ad Officine Arduino, l’abbiamo stampata tale e quale in Finlandia mandandoci il file via email». Ma poi accanto a questo tema di cultura digitale, c’è un discorso più ampio: «In un paese dove le piccole e medie imprese non investono in ricerca e sviluppo per mancanza di fondi, i FabLab sono centri dove fare sperimentazione e realizzare prototipi a basso costo. Se apriranno nei posti giusti, con un forte legame al territorio e alla economia locale, possono ricostruire le filiere produttive che la crisi ha distrutto». L’obiettivo finale è riportare finalmente l’industria manifatturiera in casa, come dicono le recenti copertine di The Atlantic e Time: “made in Usa” invece di “made in China”, semplicemente perché oggi con gli strumenti della fabbricazione digitale, farsi un oggetto in casa inizia ad essere più conveniente che farselo in Cina.
C’è poi, ed è tutt’altro che irrilevante, il discorso legato alla creatività dal basso, alla apertura e alla condivisione della conoscenza. I FabLab sono spazi aperti, dove i progetti sono condivisi in rete e realizzati da strumenti anch’essi aperti: vuol dire che in rete trovi le specifiche senza segreti e tutti possono partecipare e migliorare il lavoro altrui. È un nuovo mondo, il futuro già qui.