Stefano Zaino, la Repubblica 25/4/2013, 25 aprile 2013
“LJAJIC? PECCATO SIA FINITA COSÌ MA NON ANDRÒ IO A DARGLI LA MANO”
GENOVA
Rossi, domenica c’è Sampdoria- Fiorentina, e lei incontra Ljajic per la prima volta.
«Un avversario come un altro. Un giocatore che stimo. E che come ragazzo mi dicono sia maturato molto da un anno a questa parte. Niente contro di lui prima, non ho rancori adesso».
Però in quella partita del 2 maggio con il Novara gli si avventò contro. Scoppiò un finimondo e l’episodio decretò la fine del suo rapporto con la Fiorentina.
«Ciò che è successo lo sanno tutti, c’erano le telecamere, la vicenda non poteva passare inosservata. Brutta storia, lo ammetto. Ma la vicenda per me era chiusa alla fine della gara, come tutte quelle che riguardano il campo. Poi la società ha fatto le sue valutazioni, su cui non entro nel merito, e ha deciso per l’esonero. Mi spiace sia finita così, avevo ancora un anno di contratto e stavamo già parlando del futuro. Il brusco stop però non cambia il mio giudizio positivo nei confronti dell’ambiente viola, città, tifosi, società. Mi sono trovato bene, ho passato 6 mesi belli e intensi. Conosco il mio carattere, a volte è impulsivo. Sono molto rispettoso delle regole e delle persone e pretendo analogo rispetto. Il mio ruolo imporrebbe determinati comportamenti e col senno del poi dico che non dovrei reagire, essere superiore a qualsiasi provocazione. Sarà però che non amo le etichette, a volte non ce la faccio e ciò non significa, parlo anche da tecnico della Samp e di quanto è capitato con Burdisso, che faccio bene. Però ci metto sempre la faccia. E pago di persona. Non ho mai parlato male di un arbitro, un giocatore, un allenatore. Sto al mio posto, basta che nessuno mi pesti i piedi. In quel caso c’è il rischio che risponda. Poi magari mi pento, ma sono un peccatore, non ho mai cercato la santità. E quando tutto finisce, penso di dover rispondere solo alla mia coscienza».
Resta il fatto che ha dovuto dire addio alla Fiorentina.
«Ora sto bene alla Samp, società scelta a pelle, in maniera intuitiva, visto che a parte Rinaldo Sagramola quando sono stato contattato non conoscevo alcun dirigente. Avevo varie offerte, mi pareva la più accattivante e devo dire che ci ho azzeccato, perché non sono affatto pentito. Credevo nella famiglia Garrone, m’incuriosiva una piazza che applaude dopo aver perso una finale di Coppa Italia, allora allenavo la Lazio, o che canta in gradinata pur essendo finita in B, dopo la sconfitta con il mio Palermo. Dicevo: qui si può fare calcio. E questi primi 4 mesi a Genova me lo hanno confermato. Chiarito questo, mi può spiacere per Firenze, ma ho una soddisfazione: hanno fatto la rivoluzione, comprato 20 giocatori, come avevo chiesto. Non era un problema di qualità, mancava la miscela giusta, lo spogliatoio doveva rinnovarsi e ora stanno facendo un’ottima stagione. Bravo Montella, con qualche giocatore che avevamo già preso a gennaio come Borja Valero
o El Hamdaoui».
Torniamo a Ljajic. L’ha più sentito?
«No».
Gli darà la mano?
«Se capita, sicuramente sì. Di sicuro non lo vado a cercare io».
In poco tempo ha raddrizzato la barca Samp. Ventun
punti in 18 partite, salvezza ipotecata. Il contratto scade a giugno, a quando il rinnovo?
«Con la serie A certa. Non esistono imprese parziali. A metà del guado non sei niente, devi arrivare dall’altra parte. Magari se battiamo la Fiorentina, tocchiamo l’altra sponda. E allora parliamo del futuro».
Che per la Samp significa giovani.
«Ne abbiamo già tanti bravi, Obiang, Krsticic, Mustafi, Icardi, De Silvestri rilanciato. Conta il talento, poi, a parità, l’anagrafe. A me non manca il coraggio, puntare sui giovani è necessario, l’unico modo per salvare il calcio italiano e sopperire alla crisi economica. Eravamo già in crisi nel 2006, ma vincevamo e ci siamo adagiati. Ci vogliono stadi all’altezza e vivai efficienti. Emergenza finanziaria? Aguzziamo l’ingegno. Altrimenti addio Spagna, Germania e Inghilterra».
Impulsivo, ma pure ironico e pragmatico. È questo Rossi?
«Un allenatore che cerca d’imprimere un’anima alla squadra. Non un “mordi e fuggi”, un addestratore. Non trasformo l’acqua in vino, il giocatore deve avere qualità, il mio compito è tirargliele fuori. Mi motiva una piazza, come quella doriana, che mi dà tanto credito, quando ancora non ho fatto niente. Cerco di aumentarlo. E se lavoro in una città di mare, tanto meglio. Pragmatico? Molto. Quanto all’ironia, non scarico mattoni, alzandomi alle 5 del mattino, il sorriso mi sembra doveroso. In più siccome mi devo rapportare con la gente comune e non con la tv, mi piace parlare semplice, per questo spesso uso delle massime. Credo facciano più effetto».