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 2013  aprile 25 Giovedì calendario

ARRESTATO BELSITO, BANCOMAT DEL SENATUR “MEGA YACHT DA 2,5 MILIONI A BOSSI JR”

MILANO — Il bancomat di casa Bossi, oltre a saldare i conti personali del Senatur, lavorava in proprio. «Utilizzava — sostiene il gip di Milano Gianfranco Criscione — la propria influenza politica per procurare commesse in tutto o in parte fittizie». E il suo orizzonte spaziava dagli appalti di Fincantieri, a quelli affidati al gruppo Grandi navi veloci, per finire a interventi su banche del calibro di Mps per sbloccare finanziamenti.
Proprio una bella carriera quella che Francesco Belsito, 42 anni, genovese, ha fatto fino a quando ieri mattina, una pattuglia del Nucleo regionale di polizia tributaria di Milano lo ha prelevato nella sua abitazione per trasferirlo a San Vittore. Una lunga parabola partita da Forza Italia alla fine degli anni ’90, passata per il ruolo di portaborse di un politico e finita con il cambio di casacca nella Lega nord.
Con lui, in carcere, sono finiti con accuse che parlano di associazione a delinquere, truffa aggravata e riciclaggio, anche l’imprenditore veneziano Stefano Bonet, «l’importante manager di Fincantieri» Stefano Lombardelli e il faccendiere Romolo Ghiradelli. Belsito, sfruttando la nomina politica a consigliere d’amministrazione in Fincantieri, secondo la ricostruzione dei pm milanesi Alfredo Robledo, Paolo Filippini e Roberto Pellicano, avrebbe «influenzato le decisioni di istituzioni e di grandi imprese pubbliche e private, in forza del potere politico derivante dalle cariche rivestite».
I COSTI DELLA POLITICA
L’indagine muove i suoi primi passi nel dicembre del 2011, quando sui giornali si scopre che la Lega ha investito il proprio patrimonio di rimborsi pubblici elettorali, in una spregiudicata operazione in Tanzania in diamanti. Belsito, all’epoca semisconosciuto tesoriere del Carroccio, finisce nel mirino. Nel giro di pochi mesi, emergono altre operazioni scellerate compiute dall’ex portaborse genovese convertito al dio Po, e soprattutto le spese personali che Umberto Bossi e la sua famiglia faceva con i soldi del partito. Belsito, lo stesso Bossi e due suoi figli finiscono indagati per appropriazione indebita. E proprio sulle operazioni finanziarie fatte da Belsito che si concentra il lavoro di due procure: Napoli e Reggio Calabria, mentre a Milano viene trasferito il filone sulla gestione della cassa della Lega.
Durante una perquisizione, negli uffici di due alti manager della multinazionale francese Siram, vengono sequestrati in due cassetti, 350mila euro in contanti. Il sospetto è che Siram abbia pagato mazzette per aggiudicarsi appalti grazie all’intercessione di Belsito. Nell’ordinanza, la parola corruzione non viene citata, la Siram smentisce categoricamente ogni coinvolgimento, ma l’operazione di ieri sembra essere solo la prima tappa di una vicenda più complessa. Il gip, sul punto, ricorda solo come uno degli indagati, Paolo Scala, il 5 aprile di un anno fa descrivesse l’ambiente in cui si muovevano le società riconducibili a Bonet: «Diceva sempre che lui accetta i costi della politica e ha sempre detto che se la politica ha un costo lui paga questo prezzo. Era persona che faceva regali alle persone delle quali voleva ottenere favori».
IL SOSPETTO DELLE MAZZETTE
Dall’ordinanza emerge anche come Bonet facesse affari con moltissime amministrazioni, perfino con il Vaticano. E che il prossimo sviluppo investigativo possa portare a scoprire corruzioni, lo si intuisce da un altro passaggio del verbale di Scala. «Sentii parlare in modo esplicito
Belsito e Bonet di come funzionava il finanziamento della politica. Belsito diceva che gli imprenditori che effettuavano i finanziamenti ai partiti ufficialmente, esigevano di ottenere la restituzione in nero». In questo contesto, gli inquirenti leggono le annotazioni «allegate in una mail inviata da Bonet a Belsito il 17 marzo del 2011», in cui si fanno riferimento «a pagamenti per lobby Siram e per lobby Fincantieri».
LO YACHT DEL FIGLIO DI BOSSI
Dopo che erano emersi i maldestri investimenti in Tanzania dei fondi della Lega, Francesco Belsito finisce nella bufera, espulso dal partito. Bonet e Ghirardelli, allora, tentano di aggirare l’ostacolo, proponendosi come interlocutori a nuovi esponenti leghisti. Il 27 gennaio 2012, i due «discutono dell’incontro che Bonet di lì a poco avrebbe avuto con Maroni, Castelli e Calderoli,
come di un’occasione per rilanciare la propria attività con la Lega, andando oltre Belsito». Il tentativo va a vuoto, le inchieste di Reggio Calabria e di Napoli li smascherano prima.
Secondo il gip, però, Belsito non sarebbe stato del tutto esautorato dall’entouragedel senatore Bossi. Una nota di polizia, fa infatti emergere come «l’espulsione di Belsito dalla Lega ha tutt’altro che interrotto il criminoso rapporto tra lo stesso Belsito e Girardelli, da ultimo incentrato sulle questioni relative a uno yacht da 2,5 milioni di euro che Riccardo Bossi, figlio di Umberto, avrebbe acquistato avvalendosi di un’ulteriore appropriazione indebita di Belsito». Lo spunto su questa faraonica spesa è oggetto di indagine da parte di un altro pm della procura, ma al momento manchebbero riscontri sull’effettivo acquisto
dello scafo.