Massimo Galli, ItaliaOggi 25/4/2013, 25 aprile 2013
AFGHANISTAN, GIACIMENTO D’OPPIO
L’Afghanistan continua a essere il regno dell’oppio. E lo sarà sempre più col passare del tempo, una volta che gli americani avranno abbandonato il paese alla fine del prossimo anno. La produzione di questa droga copre il 60% del pil e Kabul fornisce il 90% del fabbisogno mondiale.
Quest’anno è previsto un incremento produttivo di quasi un terzo rispetto al 2012.
Un rapporto dell’agenzia dell’Onu contro la droga e il crimine sottolinea che la coltura del papavero è in crescita da tre anni a questa parte. La maggioranza dei contadini dediti a questa attività ha spiegato che la scelta è motivata dal fatto che le entrate sono di gran lunga superiori a quelle di altri prodotti: il grano viene pagato soltanto 41 centesimi di dollaro al chilo (31,5 cent euro) contro i 160 dollari (123 euro) per l’oppio fresco e i 203 dollari (156 euro) per quello secco, da cui si ricava la morfina che serve da base alla preparazione di eroina.
Ma non è tutto. I trafficanti sovvenzionano lautamente i coltivatori per evitare che cambino idea. Nelle regioni meridionali e occidentali dell’Afghanistan i contadini, prima che venga effettuata la raccolta, ricevono cospicue somme come acconto. Nel caso in cui i campi vengano distrutti dalle autorità o se la stagione andasse male, l’anticipo finanziario verrebbe ricostituito l’anno successivo. A queste condizioni è improbabile che i contadini si defilino. L’Onu sostiene che gli affari vanno a gonfie vele nei villaggi dove regna l’insicurezza. Inoltre non esistono contributi per diffondere le colture sostitutive a quella del papavero da oppio.
Esiste una stretta correlazione tra l’insediamento dei rivoluzionari nei territori afghani e la proliferazione della droga. A cominciare dalle aree di confine, quindi l’intero Sud e le province di Kandahar e Helmand, storiche rocche talebane. Nella parte occidentale sta diventando protagonista la provincia di Farah, dall’inizio dell’anno al centro di sanguinosi attacchi. La regione di Kabul è risparmiata dal fenomeno, a parte il distretto di Surobi, dal quale se ne sono andati da poco i soldati francesi del contingente internazionale. Stesso discorso per la provincia orientale di Kapisa, nei pressi del confine con il Pakistan. Va anche detto che i talebani, pur rappresentando un prezioso anello nella catena del commercio di oppio, non ne sono i protagonisti. Essi, secondo l’Onu, ricevono un compenso per il trasporto del papavero e dell’oppio. Questi soldi, tuttavia, coprirebbero soltanto fino al 15% delle spese per la loro attività di guerriglia. Il ricavato dei traffici, in realtà, finisce in gran parte nelle mani delle componenti etniche e politiche: ne trarranno beneficio i Pashtun, gli Hazara, i Tajik. Il guadagno è sempre più elevato, dal momento che il processo di trasformazione del papavero in oppio avviene ormai sul territorio nazionale e non più unicamente oltreconfine. Le istituzioni non si tirano indietro, visto che il 60% dei politici eletti avrebbe interessi finanziari nella droga. Ne approfittano i capi dei soldati rivoluzionari, che comandano interi territori e sono in grado di mobilitare centinaia di uomini armati, ma anche membri del governo di Kabul e persone vicine ai vertici dello Stato.
I funzionari Onu avvertono che, con questi presupposti, l’avvenire dell’oppio non è in discussione. E, fino a quando gli interessi politici avranno la meglio, gli Stati Uniti e la comunità internazionale non prenderanno una posizione netta.