Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 25 Giovedì calendario

PER ROSY BINDI, LETTA NON È UN EX DC DE SINISTRA COME LEI

Abbiamo, dopo due mesi di teatrino, un presidente del consiglio. A differenza del presidente della repubblica, l’unico possibile dato il parlamento che gl’italiani si sono apparecchiati, non si tratta d’un premier inevitabile, se non lui il nulla, ma è il premier che piace a Napolitano, e che anche il partito democratico, tenuto alla frusta dal Quirinale, deve farsi piacere. Niente Giuliano Amato (come s’era pensato, e temuto, negli ultimi due giorni, con ostentato sdegno della Lega e del Fatto quotidiano, la prima tanto per fare, il secondo perché Amato, nel tempo dei tempi, è stato amico e collaboratore di Craxi). Se oggi il presidente incaricato, stretto il patto di coalizione tra antiberlusconiani e pro, scioglierà la riserva, come tutto lascia credere, Palazzo Chigi andrà a Enrico Letta, vicesegretario del Partito democratico. Veti espliciti non ce ne sono, e, se ce ne fossero, basterebbe un’occhiataccia di Napolitano, visto come si sono messe le cose, a placare invidie e malumori.

Rientrerà, dopo qualche altro storcimento di naso, anche l’opposizione caratteriale di Rosy Bindi, per la quale Letta non è un ex DC de sinistra con i controfiocchi, come lei, ma un mezzo destro, diciamolo, quando non addirittura un destro intero. Costui non è all’altezza, ha strepitato la presidentessa dimissionaria del partito da quando, un attimo dopo la rielezione di Napolitano, ha sentito nell’aria odore d’incarico. Letta non ha i galloni, c’è di meglio, faccia ancora un po’ di gavetta, si radicalizzi, mostri i muscoli e abbai un po’ contro il Caimano, migliori il carattere, raffini l’ideologia. Nessuno le ha dato retta. Oh, be’, la solita Bindi, si sono detti tutti, passando oltre, imbarazzati.

Meno pittoreschi, ma altrettanto malmostosi, i commenti sfuggiti agli altri democratici di panza e di rispetto, pochi dei quali, com’è noto, si rassegnano senza combattere alla fortuna altrui. C’è stato un momento, addirittura, in cui persino i cosiddetti «giovani turchi», la sinistra alla sinistra della sinistra del partito, hanno fatto per Palazzo Chigi il nome di Matteo Renzi, il sindaco fiorentino loro peggior nemico. Non sapremo mai se hanno fatto il nome di Renzi per bruciarlo, nel timore che Napolitano pensasse davvero a lui, o se davvero preferiscono Renzi a Letta, compagno notoriamente pieno di difetti (non solo nipote di Gianni Letta, consigliere del Fidanzato, ma ministro a 32 anni nel remoto 1999 del primo e secondo governo D’Alema). C’era il rischio, del resto, che un incarico a Matteo Renzi, sgradito ai berlusconiani (per aver sponsorizzato la candidatura di Romano Prodi alla presidenza della repubblica) oltre che a metà del partito democratico, sarebbe stato interpretato dall’opinione pubblica, più che come il tentativo di dare al paese un governo responsabile dopo sessanta giorni di commedia horror con Beppe Grillo nella parte del vampiro, come un episodio di lotta interna al partito democratico. Questo rischio, con Letta, non si corre, o non si corre ancora. Vedremo gli sviluppi nelle prossime settimane.

Giorgio Napolitano, parlando alla stampa dopo Letta, ha invitato la politica al buon senso e i giornalisti alla sobrietà. Era tempo che qualcuno ricordasse a gazzette e tivù la loro responsabilità, che non consiste nel seminar zizzania per gonfiare i titoli d’apertura di giornali e tiggì. Consiste, invece, nel predicare la prudenza quando i nervi del paese minacciano di saltare.