Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 25 Giovedì calendario

I 500 JIHADISTI MADE IN UE

Centinaia di cittadini europei sono a fianco dei ribelli siriani nella guerra al regime di Bashar al-Assad. Accanto a quelli che l’Occidente considera ribelli “catti­vi”: integralisti sunniti. A rivelarlo è il coordinatore dell’antiterrorismo del­l’Unione europea, Gilles de Kercho­ve, che ha riferito come il numero dei volontari partiti dal Vec­chio continente si di 500 circa, in mas­sima parte provenienti da Irlanda, Regno Unito, Belgio e Francia. La ri­cerca citata, elaborata dal Centro in­ternazionale per gli studi sulla radi­calizzazione (Icsr) del King’s College di Londra, non ha individuato un flusso di partenze verso il fronte si­riano dall’Italia. Gli europei ammonterebbero al 7-11% degli stranieri dispiegati sul ter­reno. In realtà, il contro-spionaggio della Federazione russa, nella perso­na del colonnello Lev Korolkov, ha già dato l’allarme in proposito all’inizio di aprile, parlando di «una rete effi­cace che possiede numerosi centri di arruolamento presso le gigantesche diaspore di oriundi dei Paesi islami­ci ». Secondo Mosca, più sensibili alle si­rene integraliste sono le quarte ge­nerazioni di immigrati, arruolate da ex combattenti con soldi sauditi e qa­tarioti. Tutte rivelazioni che rafforza­no l’inquietudine della comunità in­ternazionale sulla natura dell’eserci­to ribelle e sulle implicazioni del con­flitto. «Non tutti loro sono radicali quando partono, ma molto proba­bilmente alcuni lo diventano lì, ven­gono addestrati», ha detto il coordi­natore De Kerchove, chiosando: «Questo potrebbe rappresentare u­na seria minaccia quando rientrano» nei Paesi dai quali sono partiti.
Così la guerra siriana, di cui non si riesce a intravvedere né una soluzio­ne politica né tantomeno un esito mi­­litare, diventa sempre più una que­stione mondiale. La presenza sul ter­ritorio siriano di jihadisti tunisini, e­giziani, caucasici, iracheni e asiatici è ormai cosa nota: sul cadavere di nu­merosi combattenti ribelli sono sta­ti rinvenuti documenti attestanti na­zionalità extra-siriane; lo stesso vale per l’esercito di Damasco, affiancato da ufficiali scelti iraniani e libanesi sciiti.
Ma del flusso europeo non si era mai parlato apertamente. I dati diffusi giungono in un frangente critico: in seno all’Ue, la Gran Bretagna preme affinché l’embargo sulle armi venga interrotto per fornire supporto ai ri­belli. Così anche Parigi, pronta a sganciarsi dagli altri Paesi europei. Intanto, Washington incrementa il pacchetto di aiuti «non letali» agli in­sorti. Ma il rischio è alto: la Siria del dopo-Assad potrebbe essere, nel mi­gliore dei casi, in mano alla Fratel­lanza musulmana, come l’Egitto e la Tunisia. Nel peggiore dei casi, un feu­do salafita con ambizioni regionali. Uno scenario apocalittico per Israe­le, Libano, Giordania, Turchia e via dicendo.
Indicativo, dunque, il comunicato dell’Esercito siriano libero di ieri, in risposta ai volontari sunniti libanesi: «Come comando supremo dell’Esl, ringraziamo ma respingiamo qual­siasi appello alla jihad in Siria e la pre­senza di combattenti stranieri». Co­me i miliziani islamisti di Jabhat al-Nusra (Fronte di liberazione della Si­ria), che giurano fedeltà all’Els, ma e­sibiscono l’alleanza con Ayman al-Zawahiri e al-Qaeda Iraq. Un conflit­to nel conflitto sembra ormai dietro l’angolo.