Vincenzo R. Spagnolo, Avvenire 25/4/2013, 25 aprile 2013
LETTA, IL GIOVANE DALLA LUNGA ESPERIENZA
Al Quirinale, ieri, è salito con la spartana Fiat Ulysse di famiglia, col seggiolino porta bebè sul sedile posteriore. Perché il premier incaricato Enrico Letta, a detta di chi lo conosce, bada poco alle apparenze e sa sposare concretezza e ideali. La sua visione della politica l’ha raccontata pubblicamente. Era il 12 dicembre 2009 e davanti agli aderenti al Movimento cristiano lavoratori, scelse un aneddoto: «Due operai lavorano sul ciglio di una strada. Un passante domanda: cosa fate? Il primo risponde di malavoglia: sto ammucchiando mattoni. Il secondo, invece, con entusiasmo: costruisco una cattedrale... Secondo me, la politica deve tornare a essere capace di costruire cattedrali, invece di alimentare una guerra civile, fatta di delegittimazioni reciproche e collettive...». Insomma, «con la crisi economica, è il momento di smettere di ammucchiare mattoni e di cominciare a costruire cattedrali...». È il nocciolo del Letta-pensiero, l’aspirazione politica più alta del premier incaricato, il terzo più giovane negli annali della Repubblica dopo il 43enne Giovanni Goria (nel 1987) e il non ancora 46enne Amintore Fanfani (nel 1954). «L’altro Letta» (come si definisce lui con ironico understatement alludendo alla parentela con lo zio Gianni, fratello di suo padre Giorgio ed esponente illustre del centrodestra) è nato a Pisa il 20 agosto 1966, ma cresciuto a Strasburgo, dove ha frequentato le scuole dell’obbligo. Quel clima europeista segna la sua adolescenza e ispira i suoi studi: tornato a Pisa, si laurea in diritto internazionale e consegue un dottorato di ricerca in diritto delle comunità europee alla Scuola Superiore S. Anna. Il mondo universitario gli piace, ma il richiamo della politica è irresistibile: nel 1990, l’incontro con la mente fervida del professor Nino Andreatta, economista della sinistra Dc, che lo coinvolgerà nell’esperienza dell’Arel e poi lo vorrà come capo segreteria alla Farnesina, nel governo Ciampi. Il destino da enfant prodige si rivela presto: a 25 anni è presidente dei giovani popolari europei. Quando la Dc si sfalda passa nel Ppi, del quale diverrà, su indicazione di Franco Marini, vicesegretario nazionale, dal gennaio del 1997 al novembre del 1998, quando entra nel governo di Massimo D’Alema, diventando a soli 32 anni ministro per le Politiche Comunitarie (prima di lui il più giovane era stato un 35enne Giulio Andreotti, ma nel 2008 la 31enne Giorgia Meloni abbasserà l’asticella) e passando poi al dicastero dell’Industria. Nel frattempo, si è consumata la diaspora della Dc: Enrico aderisce al progetto ulivista di Romano Prodi, che lo porterà in seguito dentro la Margherita e poi nel Pd. Fra il 2000 e il 2001, è di nuovo ministro dell’Industria nei governi D’Alema e Amato. Nel 2006, quando Prodi vince le elezioni, diventa sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ricevendo il testimone dallo zio Gianni, al quale lo restituirà in una singolare ’staffetta’ nel 2008, quando il centrodestra riconquisterà Palazzo Chigi. Intanto il suo ruolo nel Pd è cresciuto grazie alla sfida delle primarie (lanciata attraverso Youtube): arriva terzo, dopo Walter Veltroni e Rosy Bindi, ma il suo 11% consolida la corrente ’lettiana’. Stimato da Pier Luigi Bersani, che l’ha voluto come vice affidandogli il dipartimento Welfare, ama il melting pot delle idee e ha fondato l’associazione «Trecentosessanta» che dal 2005 organizza VeDrò, ’pensatoio’ che raduna ogni estate in Trentino imprenditori e politici bipartisan: tre giorni in mezzo alle montagne a ragionar di politica, alterando dibattiti ad accanite partite di calcio e Subbuteo (sue vere passioni). Chi vuole, può portare la famiglia. Perché per Enrico, quella resta l’àncora più importante: perfino nelle giornate politiche più intense cerca di tornare a casa, nel rione romano di Testaccio, per cenare con la moglie Gianna, sposata in seconde nozze, e i tre bambini. Quando venne tolto il bonus per i nuclei numerosi, osservò: «Non c’è nessun incentivo e il messaggio che diamo alle famiglie è di disperazione...».