Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 25 Giovedì calendario

LETTA, IL GIOVANE DALLA LUNGA ESPERIENZA

Al Quirinale, ieri, è salito con la spartana Fiat Ulysse di fa­miglia, col seggiolino porta bebè sul sedile posteriore. Perché il premier incaricato Enrico Letta, a det­ta di chi lo conosce, bada poco alle apparenze e sa sposare concretezza e ideali. La sua visione della politica l’ha raccontata pubblicamente. Era il 12 dicembre 2009 e davanti agli aderen­ti al Movimento cristiano lavoratori, scelse un aneddoto: «Due operai la­vorano sul ciglio di una strada. Un passante domanda: cosa fate? Il pri­mo risponde di malavoglia: sto am­mucchiando mattoni. Il secondo, in­vece, con entusiasmo: costruisco una cattedrale... Secondo me, la politica deve tornare a essere capace di co­struire cattedrali, invece di alimenta­re una guerra civile, fatta di delegitti­mazioni reciproche e collettive...». In­somma, «con la crisi economica, è il momento di smettere di ammuc­chiare mattoni e di cominciare a co­struire cattedrali...». È il nocciolo del Letta-pensiero, l’aspirazione politica più alta del premier incaricato, il ter­zo più giovane negli annali della Re­pubblica dopo il 43enne Giovanni Goria (nel 1987) e il non ancora 46en­ne Amintore Fanfani (nel 1954). «L’al­tro Letta» (come si definisce lui con i­ronico understatement alludendo al­la parentela con lo zio Gianni, fratel­lo di suo padre Giorgio ed esponente illustre del centrodestra) è nato a Pi­sa il 20 agosto 1966, ma cresciuto a Strasburgo, dove ha frequentato le scuole dell’obbligo. Quel clima euro­peista segna la sua adolescenza e i­spira i suoi studi: tornato a Pisa, si lau­rea in diritto internazionale e conse­gue un dottorato di ricerca in diritto delle comunità europee alla Scuola Superiore S. Anna. Il mondo univer­sitario gli piace, ma il richiamo della politica è irresistibile: nel 1990, l’in­contro con la mente fervida del pro­fessor Nino Andreatta, economista della sinistra Dc, che lo coinvolgerà nell’esperienza dell’Arel e poi lo vorrà come capo segreteria alla Farnesina, nel governo Ciampi. Il destino da en­fant prodige si rivela presto: a 25 an­ni è presidente dei giovani popolari europei. Quando la Dc si sfalda pas­sa nel Ppi, del quale diverrà, su indi­cazione di Franco Marini, vicesegre­tario nazionale, dal gennaio del 1997 al novembre del 1998, quando entra nel governo di Massimo D’Alema, di­ventando a soli 32 anni ministro per le Politiche Comunitarie (prima di lui il più giovane era stato un 35enne Giulio Andreotti, ma nel 2008 la 31en­ne Giorgia Meloni abbasserà l’asti­cella) e passando poi al dicastero del­l’Industria. Nel frattempo, si è consu­mata la diaspora della Dc: Enrico a­derisce al progetto ulivista di Roma­no Prodi, che lo porterà in seguito dentro la Margherita e poi nel Pd. Fra il 2000 e il 2001, è di nuovo ministro dell’Industria nei governi D’Alema e Amato. Nel 2006, quando Prodi vin­ce le elezioni, diventa sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, rice­vendo il testimone dallo zio Gianni, al quale lo restituirà in una singolare ’staffetta’ nel 2008, quando il cen­trodestra riconquisterà Palazzo Chi­gi. Intanto il suo ruolo nel Pd è cre­sciuto grazie alla sfida delle primarie (lanciata attraverso Youtube): arriva terzo, dopo Walter Veltroni e Rosy Bin­di, ma il suo 11% consolida la corrente ’lettiana’. Stimato da Pier Luigi Ber­sani, che l’ha voluto come vice affi­dandogli il dipartimento Welfare, ama il melting pot delle idee e ha fondato l’associazione «Trecentosessanta» che dal 2005 organizza VeDrò, ’pen­satoio’ che raduna ogni estate in Trentino imprenditori e politici bi­partisan: tre giorni in mezzo alle mon­tagne a ragionar di politica, alteran­do dibattiti ad accanite partite di cal­cio e Subbuteo (sue vere passioni). Chi vuole, può portare la famiglia. Perché per Enrico, quella resta l’àn­cora più importante: perfino nelle giornate politiche più intense cerca di tornare a casa, nel rione romano di Testaccio, per cenare con la moglie Gianna, sposata in se­conde nozze, e i tre bambini. Quando venne tolto il bonus per i nuclei numerosi, os­servò: «Non c’è nessun in­centivo e il messaggio che diamo alle famiglie è di di­sperazione...».