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 2013  aprile 23 Martedì calendario

GARANZIA PER L’EUROPA, MA NON BASTA

Maledetto 3%. I mercati ieri stavano celebrando la rielezione di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica, con una Borsa euforica e gli spread in discesa, quando da Bruxelles è arrivata la doccia gelata. Per l’Italia il 2012 si è chiuso, ha certificato Eurostat, con il deficit in calo dal 3,8% al 3% e non al 2,9%, come avevano anticipato i dati preliminari di febbraio. Il debito è schizzato dal 120,8% al 127%. Immediato l’interrogativo sul destino della procedura anti-deficit eccessivo: sarà o no archiviata a Bruxelles il 29 maggio? Dalla risposta dipendono i nostri, sia pure ridotti, margini di manovra sul bilancio nazionale e dipende la possibilità di versare alle imprese stremate da un biennio di recessione i 90 miliardi di crediti pregressi della pubblica amministrazione. La Commissione Ue ha subito provato a sdrammatizzare dicendo che il 3% è soltanto una delle variabili da esaminare e non la più decisiva, che conta la qualità degli sforzi di rientro e contano le riforme strutturali in cantiere. Ci mancherebbe altro, verrebbe da dire, con l’economia italiana in ginocchio e i disoccupati in marcia verso il 12% della forza lavoro, con 12 dei 17 Paesi dell’eurozona sopra la fatidica soglia di Maastricht, cioè tutti tranne Germania, Finlandia, Lussemburgo, Malta, Estonia. Ci mancherebbe altro, si potrebbe aggiungere, dopo che nel week-end a Washington G-20 e Fmi non hanno condannato ma plaudito alla politica monetaria espansiva della Banca del Giappone, di un Paese con un deficit al 9,1% e un debito superiore al 200%. La scelta nipponica ricalca del resto quella attuata da mesi dalla Fed negli Stati Uniti che hanno il disavanzo all’8,5% e il debito oltre il 100%. La preoccupazione, semmai, si concentra sulla crescita troppo debole di Usa (+ 1,9% quest’anno) ed Europa (-0,3). Sbaglierebbe però chi pensasse che questi argomenti e cifre siano più che sufficienti per scalfire i vigenti dogmi tedeschi. Non lo sono. «La nostra posizione è sempre stata chiara: consolidamento di bilancio e crescita vanno di pari passo» ha ribadito ieri il portavoce di Angela Merkel che «segue con grande interesse la difficile situazione politica italiana». Per la Germania la crescita economica è semplicemente il premio della virtù. Nessuno vieta di dissentire, e ormai in Europa sono in molti a farlo, ma questo finora non ha cambiato sostanzialmente le cose. Ci ha provato e più volte anche il presidente americano Barack Obama ad ammorbidire Angela. Tutte le pressioni internazionali finora non sono servite a niente. Anche perché, ammesso che lo volesse, in un anno elettorale e con il gradimento interno alla sua politica europea alle stelle (62%) sarebbe autolesionistico per il cancelliere discostarsene. Dunque, dura lex sed lex. L’abbiamo accettata e ratificata, noi italiani come molti altri e ora, piaccia o no, va rispettata. A partire dall’anno prossimo nel nostro caso andrà rispettato anche l’impegno a ridurre di 40 miliardi all’anno per circa 20 anni il debito pubblico. Non importa se i fondamentali dell’economia europea sono molto più sani e solidi di quelli dei suoi maggiori partner globali. Non importa neanche se è ormai ampiamente appurato che l’eccesso di rigore strangola la crescita, depaupera le economie del Sud erodendone la capacità di recuperare competitività e conti pubblici stabili. Certo, anche nelle regole europee c’è flessibilità sufficiente per adattarle a una congiuntura difficile come l’attuale: il problema è sapere se davvero la si vorrà usare e fin dove. Certo, anche l’economia tedesca sta rallentando e la sua proverbiale competitività globale potrebbe presto ritrovarsi a fare i conti con la variabile energetica sfavorevole dopo la rinuncia al nucleare e la corsa americana allo shale gas. Tutto vero. Con tre caveat : 1) fino alle elezioni tedesche di fine settembre, saranno minimi, possibilmente nulli, i segnali di buona volontà da Berlino. 2) Le regole diventeranno un po’ più flessibili per i Paesi dove il collasso economico e sociale renda obiettivamente insostenibile l’ortodossia politica. 3) Le decisioni avverranno comunque caso per caso. Ma con un punto fermo, avverte qualcuno molto in alto nella stanza dei bottoni europea: «L’Europa non è un sistema economico chiuso, non si può pretendere che il Nord finanzi la ripresa del Sud. Ciascun Paese deve guardare fuori, puntare all’estero per ricominciare a crescere». Ognun per sé: il messaggio non potrebbe essere più chiaro. Con una postilla tutta italiana: che si tratti di come valutare quel 3% di deficit del 2012 o di alleggerire il passo della maxi-riduzione del debito che ci aspetta dietro l’angolo, nelle decisioni europee sarà fondamentale la variabile della qualità della politica italiana, in breve serietà e credibilità del prossimo Governo. Giorgio Napolitano è una garanzia istituzionale forte. Ma da solo non basta. L’Europa non accetterà nessuna cambiale in bianco.

Adriana Cerretelli

LA UE CHIUDE L’ERA DELL’AUSTERITÀ –
BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
Nonostante la pubblicazione ieri di dati spesso negativi sull’andamento dei conti pubblici in alcuni Paesi europei, la Commissione ha segnalato nuovamente un atteggiamento più accomodante nel valutare la deriva delle finanze statali. La presa di posizione è giunta dopo che Eurostat ha pubblicato le cifre relative al 2012 sul debito e deficit nei 27 paesi dell’Unione. Francia e Spagna hanno sforato gli obiettivi del 2012 e potrebbero fare altrettanto nel 2013.
Parlando a Bruxelles, il presidente della Commissione ha preso le distanze dall’austerità a tutti i costi: «Pur convinto che questa politica sia fondamentalmente giusta, credo abbia raggiunto i suoi limiti». José Manuel Barroso ha poi aggiunto: «Perché una politica abbia successo non deve soltanto essere messa a punto correttamente, deve avere anche un minimo sostegno politico e sociale». Una scelta binaria tra crescita e austerità è «completamente sbagliata» ha precisato.
Barroso ha definito «indispensabile» il risanamento dei conti pubblici, che comunque deve essere associato con «misure di breve termine a favore della crescita», come sancito dall’ultimo consiglio europeo. L’ex primo ministro portoghese ha ribadito poi la volontà della Commissione di avere un atteggiamento comprensivo nei confronti dei Paesi che hanno ancora un deficit eccessivo: «Anche se la politica di correggere il disavanzo è fondamentalmente giusta, possiamo sempre discuterne il ritmo».
La Commissione europea, ha detto sempre Barroso, sta proponendo - la decisione finale spetta all’Eurogruppo e all’Ecofin - un’estensione delle scadenze per alcuni Paesi». Almeno due Paesi sono usciti allo scoperto in questi ultimi tempi chiedendo ufficialmente più tempo per ridurre il proprio disavanzo pubblico. La Francia vorrebbe poter diminuire il proprio deficit sotto al 3,0% del Pil nel 2014, anziché nel 2013. La Spagna invece punta al 2015, anziché al 2014.
Proprio ieri Eurostat, il braccio statistico dell’Unione, ha pubblicato le stime del 2012 relative a deficit e debito per i 27 stati membri dell’Unione. A livello di zona euro, i dati mostrano da un lato un calo del deficit, dall’altro un aumento del debito. Il disavanzo aggregato è sceso dal 4,2 del 2011 al 3,7% del prodotto interno lordo del 2012. Sempre a livello di unione monetaria, il debito invece è salito dall’87,3 al 90,6% del Pil. Più interessanti i dati nazionali.
Sia la Francia che la Spagna hanno sforato gli obiettivi del 2012, come previsto d’altronde. Il deficit francese è stato del 4,8% anziché del 4,5 per cento. Quello spagnolo è salito al 10,6% del Pil per effetto dei salvataggi bancari ed è stato del 7,1%, comunque sopra il 6,3% concordato, al netto degli aiuti al sistema finanziario.
La Commissione ha confermato che il 29 maggio pubblicherà nuove raccomandazioni e in quella occasione deciderà se ai due paesi potrà essere concesso più tempo per risanare i conti pubblici. Molti diplomatici qui a Bruxelles si aspettano che l’aiuto verrà dato, alla luce della crisi sociale in cui versa l’Europa.
Dei 27 paesi dell’Unione, 17 hanno avuto nel 2012 un deficit superiore al 3% del Pil. Gli Stati membri con un disavanzo particolarmente basso erano l’Estonia, la Svezia, la Bulgaria, il Lussemburgo, la Lettonia e la Germania (che l’anno scorso ha addirittura registrato un surplus di bilancio pari allo 0,2% del Pil). «Nel 2012, rispetto al 2011, 13 Stati membri hanno registrato un miglioramento del loro saldo, 12 Stati membri hanno subito un deterioramento, due sono rimasti stabili», ha detto Eurostat.
Mentre cresce la polemica su una politica troppo concentrata sull’austerità, tale da peggiorare la situazione economica, la Commissione è alla ricerca di un giusto equilibrio. Le ultime riforme della governance europea in questo campo prevedono fattori mitiganti ed elementi restrittivi. Da un lato, le nuove regole mettono l’accento anche sull’evoluzione del debito pubblico, con l’obbligo di ridurlo di un ventesimo all’anno; dall’altro permettono di calcolare l’andamento del deficit al netto del ciclo economico.
L’appello dei leader del G-20 per un risanamento più equilibrato dei conti pubblici è nei fatti «una predica ai convertiti», ha detto a Washington nel fine settimana Olli Rehn, il commissario agli Affari monetari. A Bruxelles si vuole ora mettere l’accento tanto sulle misure di riduzione dell’indebitamento che sugli sforzi per riformare l’economia. L’esercizio di equilibrismo non è facile: la Commissione dovrà tenere conto sia delle diverse posizioni degli Stati membri che delle pressioni dei mercati.

Beda Romano