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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

Se ce la farà a formare il governo quella sarà la sua «ossessione», la questione che lo impegnerà di più

Se ce la farà a formare il governo quella sarà la sua «ossessione», la questione che lo impegnerà di più. Per l’allievo del rigorista Andreatta è una nemesi ma questa è l’aria che tira. Francia, Spagna, Irlanda, Portogallo, Olanda e Gran Bretagna: la lista dei Paesi europei che scelgono (o costretti) a sfondare il muro del 3% del rapporto deficitPil si allunga. L’Europa non riparte, i conti peggiorano, Bruxelles è costretta a concedere una deroga ai sempre più rigidi principi fissati dal nuovo Fiscal compact. Letta non arriva a mettere in discussione quei principi, ma ci si avvicina molto. Incurante degli attacchi del ministro delle Finanze tedesco Schaeuble, vuole il sì allo scomputo degli investimenti pubblici dal deficit e «un’attenuazione delle regole dell’austerità». Del resto, alternative non ne ha. Con l’approvazione del decreto per pagare gli arretrati dello Stato ai privati, la soglia fatidica è ormai raggiunta: l’ultimo aggiornamento del documento di economia e finanza certifica che il deficit italiano di quest’anno è già al 2,9%. Numeri che non tengono conto né di un possibile peggioramento dell’economia, e dunque nemmeno delle entrate fiscali. Non solo: di qui alla fine dell’anno ci sono diverse spese per le quali i partiti invocano copertura. C’é da rifinanziare la cassa integrazione in deroga (quella concessa alle piccole aziende dall’inizio della crisi) per almeno 1,5 miliardi, le missioni militari all’estero, le convenzioni in scadenza con Anas, Poste e Ferrovie. C’è chi - lo hanno fatto gli economisti Alesina e Giavazzi sul Corriere - invita il nuovo governo a mettere mano alla materia e a imporre tagli, ma non è detto che Letta riesca o voglia imporli. C’è chi chiede di rivedere gli aumenti previsti con la nuova tassa sui rifiuti, la Tares (per ora rinviata a dicembre), i sindacati vogliono nuove risorse per gli esodati, i commercianti il rinvio dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22% (previsto il primo luglio), il Pdl insiste per abolire (ma potrebbe contentarsi di una riduzione) l’Imu sulla prima casa. Il 30 giugno scadono il bonus per le ristrutturazioni edilizie (Passera l’ha innalzato dal 36 al 48%) e quello al 55% per l’efficienza energetica. Solo per rifinanziare quest’ultima voce, e solo per un anno, ci vogliono quasi due miliardi di euro. C’è l’incognita del decreto sui pagamenti: se in Parlamento passeranno alcuni degli emendamenti proposti, il costo del pacchetto (solo quest’anno sette miliardi, più i 40 che andranno ad aumentare il debito) salirà ancora. Sorvoliamo poi sulle spese a cui ha accennato Letta durante la diretta streaming con la delegazione grillina per stimolare l’occupazione e migliorare lo Stato sociale: dagli incentivi per le assunzioni dei giovani ad una riforma dei sussidi e della cassa integrazione che permetta di tutelare tutti i lavoratori. In sintesi: per quanto Letta si sforzerà di vestire i panni del rigorista, si può scommettere con certezza che alla fine dell’anno il deficit italiano avrà superato il 3%. Di quanto, dipenderà da lui ma soprattutto da quel che dirà Bruxelles. È improbabile che la Commissione ci conceda grandi spazi, né c’è da augurarselo visto che restiamo dopo il Giappone il Paese al mondo con il debito pubblico più alto e sul quale paghiamo ogni anno quasi ottanta miliardi di euro di interessi, più o meno i due terzi dell’intera spesa sanitaria. Per noi la stagione dei saldi è finita e non tornerà più, lo testimonia la battuta poco diplomatica di Schaeuble in piena campagna elettorale: «Tentare di scaricare sugli altri i propri problemi è umanamente comprensibile, e per alcuni la Germania è appropriata nel ruolo». Come a dire: cari italiani, rimboccatevi le maniche perché i sacrifici non sono finiti.