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 2013  aprile 25 Giovedì calendario

LOBBY E PARENTI, L’UOMO QUALSIASI DELLA POLITICA

In un inedito impeto aforistico, un giorno Enrico Letta ha sentenziato: «La politica è come il Subbuteo. Chi ha la mano pesante perde». Quella per il gioco di calcio da tavolo è una fissazione del presidente del Consiglio fresco di nomina, che - in momenti meno luminosi della sua carriera - si produceva via Twitter in dotte dissertazioni sulla materia: «Non si imbarca il Subbuteo sul compensato se lo si tiene al chiuso e orizzontale», scriveva, chiedendo poi ai suoi appassionati amici: «Ma voi avete mai bagnato il campo con l’acqua per simulare le partite sotto la pioggia con pozzanghere?».
Tanto ama il Subbuteo, Letta, che nel 2005 - all’inaugurazione della sua kermesse trentina VeDrò dedicata ai trentaquarantenni impegnati in politica - volle a tutti i costi allestire un tavolo per giocare. In fondo, gli andava meglio sulla moquette verde che sull’erba. Sempre a VeDrò, nel 2007, durante una vera partita di pallone si infortunò a un ginocchio.
Il Subbuteo è anche una buona metafora, per quanto un po’ trita, dell’azione politica del 46enne Enrico. Uno a cui piace muovere pedine e sfruttare la strategia, piuttosto che buttarsi a muso duro. Negli anni, questa sua felpatezza l’ha pagata. Per gli standard italiani è ancora un giovane, ma è solo un’apparenza.
I tratti distintivi da ragazzo cresciuto negli anni Ottanta emergono quando si tratta di collezionare Dylan Dog o ascoltare Vasco ed Elio e le Storie tese. Legge i gialli di Carofiglio (collega del Pd), Fois e Piazzese, gli piace pure Zucchero. È felpato anche nelle passioni, giovane senza esserlo né, forse, esserlo mai stato. Non ha il carisma rottamatorio di un Renzi né la grinta stradaiola di una Meloni. E, per inciso, quest’ultima gli ha rubato il primato di ministro più giovane nella storia Repubblicana. Enrico lo divenne a 32 anni, nel 1998 (primo governo D’Alema), surclassando Giulio Andreotti. Giorgia fu nominata nel 2008 a 31 anni. Vero è però che lei era ministro della Gioventù, lui stava alle Politiche comunitarie e l’anno dopo (D’Alema II) passò all’Industria. Dettagli. Letta fa politica per predestinazione. È l’incarnazione del motto di Longanesi secondo cui in Italia non si fa la rivoluzione perché siamo tutti parenti. Le biografie riportano che sia nato a Pisa nel 1966, ma viene più naturale pensare che l’abbiano partorito già incravattato e occhialato in un salotto romano. Come tutti sanno, suo zio è Gianni Letta. I due, oltre al cognome, hanno in comune anche un incarico. Nel 2006 Enrico sostituì Gianni come sottosegretario alla presidenza del Consiglio (governo Prodi). Due anni dopo, col ritorno di Silvio, fecero di nuovo la staffetta.
Ma la mano del Fato si vede anche altrove. Letta jr ha sposato in seconde nozze la cronista politica del Corriere Gianna Fregonara (hanno tre figli maschi), che da allora, per ammirevole pudore, ha cambiato settore. Sua madre, Anna Bianchi (comeha scrittoGiancarloPerna) è d’origine sassarese e fu vicina di casa di Francesco Cossiga. Suo padre insegnava a Pisa e lui ha studiato lì. Laurea in Diritto internazionale e dottorato in Diritto delle comunità europee alla prestigiosa Scuola superiore Sant’Anna. Che, guarda i ricorsi storici, è attualmente presieduta da Giuliano Amato. Del dottor Sottile il giovane Enrico è stato pure ministro (all’Industria e al Commercio estero). Altro segno del destino: parte dell’infanzia l’ha trascorsa a Strasburgo, dove sarebbe tornato nel 2004 da parlamentare europeo.
Ad avviare Letta alla politica è stato Beniamino Andreatta, il dominus della sinistra Dc che nel ’93 lo fece segretario generale dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione. Andreatta, aspetto non indifferente, ha covato Romano Prodi ed è fra i padri dell’Ulivo. Enrico - che è stato vicesegretario del Partito popolare europeo tra il ’97 e il ’98 e nel 2001 si è iscritto alla Margherita - è dunque il più classico dei rapanelli: una passatina di rosso fuori, molto bianco dentro. E questo, nei rapporti con la sinistra, non lo aiuta.
A irritare compagni e tifosi di stretta osservanza travagliesca, poi, ci si mettono due carichi da novanta: è tifosissimo del Milan (indizio di berlusconismo latente) ed è cugino di Giampaolo, amministrato re delegato di Medusa. Il che lo marchia in automatico come un difensore del conflitto d’interessi.
Negli ultimi tempi, il cursus honorum di Enrico ha subìto più d’una battuta d’arresto. Al congresso del Pd ha sostenuto Bersani (con cui, nel 2004, ha firmato un Viaggio nell’economia italiana), poi ha continuato, da vicesegretario unico del Pd, a navigare in acque limacciose. A farlo uscire dall’anonimato è stato un episodio non proprio edificante. Tradito ancora una volta dalla sua passione infantile, ha confuso il loden verde di Monti con un tappeto per il Subbuteo e si è immediatamente genuflesso al tetro bocconiano. Durante il dibattito sulla fiducia, nel novembre 2011, ha allungato al professore un riprovevole pizzino: «Mario, quando vuoi dirmi forma e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficialmente sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! Allora i miracoli esistono». Roba da Scendi-Letta. E sviolinata indegna di cotanto destinatario. Ma indizio utile a far capire che Enrico il secchione non è la pecorella che sembra. Il suo muoversi in sordina non è solo un connotato caratteriale. È anche figlio di una non comune dimestichezza con il potere. Letta - per quanto negli ultimi anni la sua ascesa sembrasse arrestarsi - non ha mai smesso di frequentare i santuari giusti. Sul curriculum presente nel suo sito non se ne trova traccia, ma il Nipotino Prodigio è membro del comitato europeo della Commissione Trilateral fondata da David Rockfeller. Anche lo scorso anno ha partecipato alle riunioni del Gruppo Bilderberg, è componente del comitato esecutivo dell’Aspen Institute Italia. Insomma, siede dove si sono accomodati, tra gli altri, anche Mario Monti e Giuliano Amato. A fare i complottisti, c’è da pensare che anche lui sia manovrato da forze oscure come una mario-Letta.
Beh, il grigio da medioman della politica serve anche a guadagnarsi la pace necessaria per agire indisturbato a difesa di interessi precisi, spesso non coincidenti con il bene di questo Paese. Forse, però, Letta l’hanno immerso nel lago del potere tenendolo per il tallone. Anzi, per le spalle. Ieri ha detto che teme di non averle abbastanza robuste per reggere l’incarico che gli è stato affidato.
Dopo tutto, partire dai sedili imbottiti del palchetto e finire direttamente alla ribalta non è cosa semplice. Talvolta, persino i poteri forti vacillano.

Francesco Borgonovo

LETTANOMICS: EUROBOND E MENO TASSE –
L’agenda economica è in parte già scritta. Per il premier incaricato, Enrico Letta, una parte dei compiti sono fatti. A mettere in fila le priorità per l’economia, infatti, sono stati i saggi ai quali il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva chiesto di indicare le misure urgenti sulle quali far convergere i partiti in Parlamento. Certo, quando si entrerà nel dettaglio, andranno rispettati i punti di vista di tutta la maggioranza e il nuovo presidente del consiglio - che domenica potrebbe sciogliere la riserva, presentando al Capo dello Stato la li sta dei 18 ministri - dovrà trovare gli equilibri fra le posizioni di Pdl, Pd, Scelta civica e (forse) Lega.
In cima alla «lista della spesa», dunque, trovano spazio l’occupazione e la crescita. Si va dall’urgenza di trovare un miliardo per la Cassa integrazione in deroga (da fare subito), all’abbattimento della spesa statale per poter ridurre le tasse su lavoro e impresa, che richiede interventi sui conti pubblici più lunghi.
Un’altra «fissa» del premier incaricato è il made in Italy. Nel 2004, insieme con Pier Luigi Bersani, Letta fece un viaggio di venti tappe in tre mesi, tra i distretti industriali del Nord-ovest, del Nord-est, del Centro e del Sud. Viaggio che gli consentì di appuntare problemi ancora attuali che rappresentano, oggi, le vere e proprie emergenze. Del resto, per creare nuovi posti di lavoro e per fermare l’emorragia della disoccupazione si deve partire proprio dalle piccole e medie imprese. Probabile,come accennato,qualche intervento per alleggerire il cuneo fiscale. Servono, però, quattrini. E non è escluso che Letta decida di attingere anche a risorse pubbliche. Vanno ammorbiditi gli attuali vincoli di bilancio europei e ieri, il successore di Mario Monti a palazzo Chigi, ha fatto capire che l’Italia potrebbe cambiare atteggiamento: «Non è più tempo d’austerity» ha dichiarato lanciando un chiaro messaggio alla Germania che, da anni, ha imposto a tutta l’Unione europea la linea del rigore sui conti pubblici. Una linea che, secondo il Letta pensiero, non funziona più visto che ha messo in ginocchio l’economia del Vecchio continente. Il che non vuol dire uscire dalla Ue né abbandonare la moneta unica. Anzi. Il vicesegretario Pd ha sempre difeso l’euro e, recentemente, ha rilanciato l’idea di euro bond per finanziare progetti e infrastrutture rilevanti. Denaro pubblico per la ripresa e cercare di lasciare alle spalle la recessione, insomma. Una questione che richiede una battaglia dura a Bruxelles. Mentre, adesso, in Italia, sulla testa di contribuenti pende una mannaia fiscale da 9,4 miliardi di euro: tra Iva (a luglio dal 21 al 22%), Tares e Imu sui capannoni, le famiglie italiane dovranno subire un salasso aggiuntivo di 360 euro ciascuna. Sulle tasse, insomma, si misurerà la capacità di Letta di varare riforme serie e misure concrete. La credibilità sia sul piano interno sia sul versante internazionale non gli manca.
Del resto, è uno che ha sempre apprezzato il confronto con accademici e operatori economici. Letta ha presieduto l’Arel, il think tank italiano fondato da Beniamino Andreatta. Letta fu allievo dell’ex ministro dell’Industria che lo volle con sé, giovanissimo, come capo della segreteria. I “pensatoi” piacciono assai al nuovo premier, tant’è che è anche uno degli animatori di Trecentosessanta, VeDrò e dell’Aspen Italia. Letta frequenta anche alcune delle più importanti organizzazioni mondiali. Come la Trilateral (nota anche all’attuale premier Mario Monti) e la Bilderberg (ha partecipato lo scorso anno a un meeting in Virginia, negli Stati Uniti. Frequentazioni che taluni sfruttano per ritenere il nuovo premier legato ai poteri forti. Il che, forse è vero, ma, quando ha occupato posizioni di rilievo in precedenti governi, Letta non ha avuto alcun timore di toccare «interessi rilevanti». È il caso della riforma del mercato del gas (andata in porto) o quella delle authority (sfumata durante il secondo Governo di Romano Prodi caduto nel 2008).

Francesco De Dominicis