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 2013  aprile 26 Venerdì calendario

In Europa, un giorno si resuscita Keynes, il giorno dopo lo si seppellisce, poi lo si fa rivivere. Avanti con schizofrenia mentre nell’Unione Europea la frattura tra Paesi debitori e Paesi creditori svuota di significato la parola partner

In Europa, un giorno si resuscita Keynes, il giorno dopo lo si seppellisce, poi lo si fa rivivere. Avanti con schizofrenia mentre nell’Unione Europea la frattura tra Paesi debitori e Paesi creditori svuota di significato la parola partner. È un dibattito attorno alla questione «austerità» — iniziato da mesi e ora arrivato al climax — nel quale il mondo viene dipinto come diviso tra keynesiani favorevoli allo sviluppo (di sinistra) e rigoristi ossessionati con l’austerità (di destra). Ed è una discussione piuttosto irreale: una cortina di fumo che pare alzata per nascondere la difficoltà della Ue e dell’eurozona di concordare politiche comuni davvero efficaci. Ieri, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble è stato di nuovo condannato nel girone degli austeri perché ha sostenuto, anche riferendosi al governo in formazione in Italia, che non sarà con più debito che si esce dalla crisi. Il giorno prima è stato iscritto il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, al partito della crescita, nuovo membro perché aveva sostenuto che le politiche di austerità sono arrivate al limite oltre il quale viene meno «l’accettazione politica e sociale». Non passa quasi giorno che la cancelliera tedesca Angela Merkel non venga descritta come sotto la pressione di qualcuno affinché moderi la politica di controllo dei deficit e dei debiti. Un dibattito accademico recente, presto diventato politico, ha utilizzato un errore statistico di due economisti influenti, Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, per confutare il fatto che troppo debito pubblico inibisce la crescita. È una discussione che confonde. In quanto tali, i debiti pubblici non fanno necessariamente crescere l’economia. Diversamente, l’Italia, che ha un debito pari al 127% del Prodotto interno lordo (Pil) avrebbe negli anni scorsi registrato tassi di crescita straordinari invece di una sostanziale stagnazione. Lo stesso vale per la Grecia, che ha un debito non lontano dal 160% del Pil. O per il Portogallo (123%). Dall’altra parte, la Germania, che fa di tutto per controllare deficit e debito, tra inizio 2008 e fine 2012 è cresciuta del 2,4% mentre il resto dell’eurozona è calata del 4,4% (l’Italia dell’8%). Nel breve periodo, uno Stato che spende molto fa apparire il Pil in crescita, dal momento che nelle contabilità nazionali la spesa pubblica è una componente del Pil. Se, oltre alle attività che già svolge, quest’anno il governo italiano potesse prendere a prestito diciamo denaro pari al 50% del Pil e lo spendesse tutto, farebbe crescere del 50% il Pil. Sarebbe, il 1° gennaio 2014, un Paese più ricco? No, sarebbe un Paese più indebitato che per potere prendere a prestito altro denaro dovrebbe pagare tassi d’interesse sempre più alti. Tassi che sarebbero via via più onerosi non solo per lo Stato ma anche per i veri creatori di benessere, le imprese. Si può discutere se il livello a cui il debito fa alzare i tassi d’interesse al punto di fare crollare la crescita sia il 90% del Pil — come avevano sostenuto Rogoff e Reinhart — ma sul fatto che troppo debito faccia male all’economia ci possono essere pochi dubbi. La discussione sulla rigidità dell’austerità imposta dalla Germania al resto d’Europa non tiene inoltre conto del fatto che già oggi la Commissione Ue sta concedendo una flessibilità non insignificante in termini di tempo di rientro dai deficit a Paesi come la Francia (che ha chiuso il 2012 con conti in rosso per il 4,8% del Pil) e la Spagna (10,6%). L’impressione è che alcuni Paesi indichino l’austerità come responsabile delle loro difficoltà per evitare un vero confronto sulle debolezze strutturali delle loro economie poco competitive e sugli ostacoli che incontrano a fare riforme, a ridisegnare le voci del bilancio pubblico non nel senso di una austerità astratta ma in direzione di una spesa pubblica più ridotta a vantaggio di una pressione fiscale minore. La questione posta in termini di «austerità contro crescita» è una semplificazione politica che ha buone probabilità di trasformarsi in illusione. Spendere denaro dei cittadini, come si è fatto in passato, per uscire dalla recessione sarebbe in fondo facile. Se funzionasse e non peggiorasse la situazione. Più difficile trasformare davvero economie arroccate, irrigidite, con Stati che da anni spendono troppo. Danilo Taino @danilotaino