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 2013  aprile 25 Giovedì calendario

Più di qualunque sottile ragionamento e più di mille ponderatissime considerazioni, forse aiuta una battuta: quella di uno dei fedelissimi del sindaco di Firenze

Più di qualunque sottile ragionamento e più di mille ponderatissime considerazioni, forse aiuta una battuta: quella di uno dei fedelissimi del sindaco di Firenze. Battuta che utilizza per sintetizzare stato d’animo e umore del «capo» dopo l’incarico affidato all’«amico Enrico». Dice: «Un altro paio di sconfitte così, e Matteo non lo ferma più nessuno...». C’è molto di vero in quell’annotazione. E lo conferma, in fondo, il gruzzolo di novità con le quali Renzi se ne è tornato a Firenze dopo le quaranta densissime ore trascorse a Roma tra la sera di lunedì e le 12 di ieri. E le novità, maturate lentamente nei giorni in cui il Pd precipitava nella sua crisi più drammatica, sono essenzialmente due: che il sindaco già intravedeva nel tardo pomeriggio di lunedì, mentre un Frecciarossa lo portava a Roma. «Qualcosa nel Pd è cambiato, sento il partito più vicino, ora i democratici mi riconoscono come uno di loro: spero non sia solo frutto delle difficoltà - spiegava Renzi - visto che molti, addirittura, dicono che mi sosterranno, se l’incarico venisse affidato a me. L’altra novità, però, è che Silvio Berlusconi ora ha paura. Prima tanti complimenti, adesso il veto sul mio nome. Ha paura. È la prova di quante sciocchezze strumentali sono state dette sul mio conto e sui miei rapporti con lui». Eccole, dunque, le prime due novità: un Pd più amico e un Berlusconi più lontano. Il che vuol dire, per esempio, aver rimosso - o quasi - le ragioni fondamentali della sconfitta alle primarie dell’inverno scorso. Ma già prima di salire su quel Frecciarossa, Renzi aveva potuto apprezzare - con una emozione non da poco - quanto stesse cambiando intorno a lui. È accaduto sabato all’ora di pranzo: telefonino spento per mangiare un boccone in pace con la moglie, e invece... L’hanno dovuto avvisare chiamando, appunto, sul cellulare della signora Agnese. All’altro capo del telefono, Napolitano: «Buongiorno sindaco, come stai? Io intanto volevo ringraziarti per l’incoraggiamento e il sostegno che mi hai fatto giungere in questi ultimi giorni...». Il Parlamento avrebbe rieletto Napolitano presidente solo qualche ora dopo, ma - esauriti i ringraziamenti e molto commosso - il Capo dello Stato già raccontava a Renzi che sacrificio fosse per lui restare lì sul Colle... La possibilità che il Quirinale affidasse proprio al sindaco di Firenze l’incarico di formare il governo è cresciuta nella notte di lunedì, sembrava una certezza martedì alle 11,30 ed è invece crollata all’ora di pranzo. Barricato in una stanza d’albergo, Renzi ha trascorso la mattinata di martedì in delicati colloqui telefonici con personalità non sempre a lui vicine. D’Alema, che gli assicurava che non lo avrebbe ostacolato in caso di incarico; Veltroni, che faceva il tifo per lui; poi Franceschini e altri, tutti a manifestargli simpatia e sostegno. Fino all’ora di pranzo, quando un funereo tam tam lo convinceva che l’ipotesi andava declinando, e che il Quirinale - un po’ per autonoma convinzione, un po’ per evitare tensioni con Berlusconi - aveva deciso di puntare su Amato. È stato appunto verso quell’ora che ha sentito Enrico Letta: «Ciao Matteo, mangiamo un panino assieme?». Un rapporto non cattivo, anzi, ma fatto storicamente di alti e bassi: Renzi è da sempre ospite fisso a Drò (Trento) per «Vedrò», il meeting annuale voluto da Letta; e il vicesegretario, pur sostenendo Bersani alle primarie, è stato il primo a dire (intervista a Il Foglio) «Matteo è il futuro». Quando Renzi scagliò il suo anatema l’ormai famoso «si sta perdendo tempo» - subito in campo a dire «Renzi ha ragione» ci andò Francesco Boccia, fedelissimo di Letta. Alti e bassi, ma un passato prossimo - e forse un futuro fatto di maggiore vicinanza. Il colloquio di martedì a pranzo metteva di fronte due leader che apparivano quasi sconfitti, a quell’ora. E lo scambio di cortesie era esplicito: «Se tocca a te, ti sostengo», diceva Letta; «Lo stesso farò io», rispondeva Renzi . Poi, appena il tempo di fermare quanti si accingevano a lanciare la sua candidatura alla Direzione Pd (Orfini in testa a tutti, ma non solo), ricevere altre telefonate - tra le quali quella di D’Alema, che lo informava che il veto di Berlusconi era irremovibile - e quindi di corsa alla riunione della Direzione Pd, vero confine e linea di frattura tra passato (l’incarico di formare il governo) e futuro (la necessità di ricalibrare mosse e prospettive). Del resto, più che i tam tam e le informazioni girategli da D’Alema, era stato un altro l’elemento - nella ansiogena mattinata di martedì - a convincerlo che la partita era chiusa: nessun segnale dal Quirinale, non da Napolitano - certo - ma nemmeno da Carlo Guelfi, capo della segreteria del Presidente, col quale Renzi ha una certa consuetudine di rapporti. E ora? E ora aiutare Letta a fare un governo (con dentro Del Rio, renziano doc) e poi guardare avanti, riorganizzando le idee. Una novità, forse, ce l’ha anche Renzi, ad uso e consumo del Pd. A chi tre giorni fa gli chiedeva «ti candiderai alla segreteria del Pd», il sindaco rispondeva sì; a chi gliel’ha chiesto ieri ha risposto «boh»... Troppe cose sono cambiate per decidere ora. Renzi si candiderà di certo solo se si decidesse che le figure di segretario e di candidato premier coincideranno, senza deroghe ed eccezioni. Ma se non fosse così... «boh». Magari meglio star fuori. O, chissà, candidarsi alla guida dell’Anci: in fondo sono i sindaci, la periferia, la vera forza di un leader che per esser riconosciuto tale ha dovuto attendere l’implosione del suo partito...