Bill Keller, la Repubblica 24/4/2013, 24 aprile 2013
IL BLOGGER E LO ZAR
Se qualcuno si proponesse di dare un volto a una nemesi politica in grado di far venire i brividi a Vladimir Putin, potrebbe darle le sembianze di Aleksej Navalnyj. Questo spiega perché il processo di oggi al famoso attivista russo è tra i processi più importanti in Russia da decenni. Navalnyj — avvocato, blogger e promotore di crociate contro la corruzione — è stato equiparato a tutti i rivoluzionari politici, da Julian Assange a Nelson Mandela. In qualità di potenziale leader politico ha sbaragliato Assange già da un pezzo e, sebbene non abbia ancora raggiunto Mandela, continua a fare progressi. È giovane (36 anni), profondo, politicamente avveduto. Piace alla folla e a prima vista non ha paura. Sa usare bene Internet e ha le competenze di un giornalista investigativo. (Compra azioni di società petrolifere controllate dallo Stato e di banche e sfrutta il suo status di azionista di minoranza e metterne in mostra tutti i panni sporchi sul suo blog LiveJournal).
È un russo che ha introdotto nel suo eloquio una discreta dose di slogan nazionalistici. Questo fatto ha lasciato sgomenti alcuni suoi amici liberali, ma è ingegnoso, perché lo difende dalla linea di attacco preferita da Putin, secondo la quale chi critica il suo operato è un tirapiedi dell’Occidente. Cosa ancora più importante contribuisce ad aumentare il suo fascino che fa presa ben al di là dei giovani impiegati d’ufficio esperti di social media che costituiscono la sua base.
La sua piattaforma abbina il libertarismo del libero mercato, gradito alla borghesia russa in ascesa, a un’ininterrotta campagna contro la corruzione, che ha vasta eco in una nazione nella quale si ha la perenne sensazione che ogni transazione debba comportare una tangente. (La Russia occupa un umiliante 133esimo posto nell’indice di Transparency International). Nel 2011 il
Moscow Times
ha definito Navalnyj «l’unico esponente dell’opposizione eleggibile». Potrebbe essere vero, anche se non sempre i migliori agitatori diventano i presidenti migliori, lezione che la Russia dovrebbe aver imparato da Boris Eltsin.
Non si tratta tuttavia della prima volta che per far piazza pulita dell’opposizione il regime di Putin ricorre ai tribunali penali (con un tasso di assoluzione dello 0,4 per cento). La persecuzione dell’impulsivo magnate Mikhail Khodorkovskij è stata
un tentativo coronato da successo di mettere in guardia i russi più facoltosi dal non illudersi di avere il diritto di esprimersi liberamente. Il processo farsa a Sergej Magnitskij, l’avvocato russo che aveva osato smascherare l’evasione fiscale delle alte sfere per poi morire in carcere a causa dei maltrattamenti subiti, ha inviato il messaggio che è meglio non ficcare il naso nelle ruberie degli amici intimi di Putin. E il processo alle Pussy Riot è servito per rammentare che il presidente non sa stare agli scherzi, per lo meno
non quando riguardano lui. Nessuna di queste vittime della giustizia del Cremlino, tuttavia, è riuscita a mobilitare un vero seguito politico. Navalnyj invece potrebbe riuscirci.
L’accusa principale mossa contro Navalnyj è che quando era consulente del governatore della regione di Kirov si sarebbe appropriato indebitamente di denaro appartenente a una ditta di legname di proprietà statale. Uno studio legale di Chicago ha preso in esame il suo caso e ha concluso che le accuse sono ridicole e infondate. Lo Stato non ha fatto
niente per confutare queste conclusioni. Ma poi è subentrata la Commissione investigativa federale, un’istituzione molto potente al servizio di Putin, e senza l’aggiunta di ulteriori prove Navalnyj è stato formalmente incriminato di aver trafugato legname per un valore di oltre mezzo milione di dollari. Non è una coincidenza che uno degli obbiettivi del recente scandalo svelato da Navalnyj sia il capo di quella stessa Commissione investigativa, Alexander Bastrykin. Navalnyj ha pubblicato sul suo blog alcuni documenti dai quali risulta che Bastrykin
possedeva segretamente un permesso di soggiorno e una proprietà immobiliare nella Repubblica Ceca, dando adito a parecchie domande sulla fiducia da lui millantata nel futuro della Russia e — dato che la Repubblica Ceca fa anche parte della Nato — sulla sua vulnerabilità a essere ricattato. Lo Stato, ovviamente, spera che condannando Navalnyj per appropriazione indebita, riuscirà a intaccare la sua credibilità di attivista anti-corruzione e a sbarrare la strada a ogni sua ambizione politica. (La condanna per un reato
grave comporta l’interdizione dai pubblici uffici).
Sospetto che l’opinione pubblica sappia molto bene quello che sta accadendo. E proprio questo è il punto. Il processo è uno show e la morale di questa farsa è che se ti azzardi ad alzare troppo la testa potresti finire col perderla.Inun’intervistarilasciata a
Izvestia,
Vladimir Markin, l’untuoso portavoce della Commissione investigativa, non ha lasciato dubbi sul vero reato commesso da Navalnyj. Quando il quotidiano gli ha chiesto perché il caso fosse balzato al primo posto del registro delle cause, il portavoce ha risposto: «Se una persona cerca in tutti i modi di attirare l’attenzione su di sé, è inevitabile che l’interesse sul suo passato aumenti e che l’iter che porta a far piena luce su di lui acceleri». Markin ha lasciato intendere che Navalnyj (che ha trascorso un semestre a Yale per un programma mirato a far fraternizzare i leader stranieri) sia una sorta di “Manchurian Candidate” dell’Ivy-League, in missione per conto di mentori americani che vogliono far scoppiare un conflitto al Cremlino destinato a concludersi con il suo arresto e a dimostrare che la Russia perseguita chi spiattella la verità. L’intervistatore gli ha anche chiesto perché, invece di spaventare Navalnyj minacciando col carcere, lo Stato non abbia ingaggiato la sua competenza nel settore anti-corruzione per far pulizia nel Paese. «Nessuno sta ostacolando le sue attività» ha ammiccato Markin. «Anche in prigione molti carcerati lottano contro le carenze del sistema».
Gli amici di Navalnyj dicono che questo caso sarà uno smacco
per Putin. Screditerà ancor più un sistema giudiziario politicizzato. Rischierà di fare di Navalnyj un martire. Metterà a rischio il trattamento riservato alla Russia nei G-8, G-20, nel gruppo dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, per non parlare delle Olimpiadi invernali 2014 di Sochi. Oltretutto, in un periodo in cui la Russia ha un dannato bisogno di capitali stranieri, sfruttare le leggi economiche a fini di repressione politica incute paura negli investitori. «Putin non vuole che la Russia diventi uno stato paria» mi ha detto pieno di speranze un caro amico di Navalnyj.
Speriamo che sia vero, ma Putin — soprattutto negli anni più recenti del suo governo che pare non avere fine — non ha saputo calcolare in modo lungimirante gli interessi russi. È diventato al contrario ancora più egocentrico e stravagante: uno
stuntmanche
posa a torso nudo in groppa a un cavallo, che abbraccia un orso polare sedato, che pilota un idroplano a motore che fa da guida a uno stormo migrante di gru siberiane. È diventato anche più gretto e vendicativo, ha firmato una legge che pone fine all’adozione da parte degli americani di orfani russi e ha obbligato le organizzazioni no-profit a registrarsi come “agenti stranieri”.
Nella campagna volta a trasformare il caso di Navalnyj in un avvenimento esemplare, gli amici e i sostenitori dell’attivista sono stati pedinati, perquisiti, vessati e minacciati. Le autorità hanno intentato causa al fratello di Navalnyj, e hanno fatto circolare email di carattere confidenziale che paiono suggerire
qualche tensione nel suo matrimonio. Navalnyj sa bene che talvolta la paura serve. I seguaci del blogger appartenenti alla classe media potrebbero avere qualcosa da rimetterci. «La maggior parte delle élite o quanto meno dell’élite imprenditoriale» ha detto Navalnyj tempo fa a Ellen Barry del
Times,
«è formata da persone dalle opinioni liberali, ma fifone. Hanno paura di tutto. E quindi se ne stanno zitte. Io non accuso nessuno: l’essere umano è debole».
Per gli Stati Uniti, il caso Navalnyj richiede una diplomazia ben dosata. Il presidente Barack Obama e Putin hanno fissato a settembre un summit bilaterale e l’amministrazione sta facendo di tutto per cercare di salvare un rapporto in procinto di fallire. Sarebbe sbagliato permettere che questo caso ostacoli la cooperazione nella lotta al terrorismo (come ci ricorda il collegamento di questi giorni tra Boston e Cecenia) o la riduzione degli arsenali nucleari o una possibile collaborazione russa nella risoluzione delle crisi in Siria e in Iran. In ogni modo, sarebbe altrettanto sbagliato fingere che il caso Navalnyj non sia importante. Spero che Obama presti attenzione al processo show a Navalnyj: imparerà qualcosa sull’uomo che gli sederà di fronte dall’altra parte del tavolo e anche su colui che — chissà — un giorno potrebbe prenderne il posto.