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 2013  aprile 24 Mercoledì calendario

QUIRINARIE VERSIONE LILLIPUT SOLO 4.677 VOTI PER RODOTA’

Ieri Beppe Grillo ha finalmente messo on line i numeri delle Quirinarie del Movimento cinque stelle. Eccoli: il 15 aprile sono state chiamate a votare 48 mila 292 persone e hanno votato in 28 mila 518, cioè il 59.05 per cento degli aventi diritto. La vittoria, come si sa, è andata alla giornalista Milena Gabanelli con 5 mila 196 voti davanti e al fondatore di Emergency, Gino Strada, con 4 mila 938. Siccome la Gabanelli e Strada hanno rinunciato, la candidatura è andata a Stefano Rodotà che ha raccolto 4 mila 677 voti, pari al 16.40 per cento dei votanti, al 9.68 per cento degli aventi diritto, allo 0.05 per cento degli elettori a Cinque stelle per la Camera alle scorse politiche e allo 0.01 per cento dei votanti nella medesima tornata elettorale. Il numeri di voti raccolto da Rodotà corrisponde al numero degli abitanti di Castellazzo Bormida (Alessandria) o di Ghilarza (Oristano). Corrisponde anche il numero di voti con i quali l’anno scorso Rocco Leone è diventato sindaco di Policoro (Matera) sconfiggendo Gianluca Marrese che si è fermato a 4200, cento meno di Gustavo Zagrebelsky giunto quarto alle Qurinarie. Con i suoi 4 mila 677 voti, Rodotà sarebbe diventato consigliere comunale di Milano, battuto però da Silvio Berlusconi, Stefano Boeri, Riccardo De Corato e Matteo Salvini. E si segnala che Simona Panzini, detta «Senzavolto», candidata per i no global nelle primarie del 2005, prese 19 mila 752 voti. E lo stesso giorno, Ivan Scalfarotto ne guadagnò 26 mila e 900.

Il vero colpo di Rodotà, dunque, è stato quello di raccogliere circa il 25 per cento dei consensi dei grandi elettori, cioè dei parlamentari e dei delegati regionali che hanno appena eletto il capo dello Stato: dentro al palazzo, il giurista raccoglie molti più favori che fuori. Anche se, dopo tutto quello che è capitato in questi giorni, è probabile che oggi la celebrità del mancato presidente si sia parecchio accresciuta, visto che fra gli elettori medi e medio bassi fino a una settimana fa non era famosissimo, come il risultato delle Quirinarie testimonia.

Il problema di consultazioni come quelle organizzate da Beppe Grillo è doppio. Se le si fanno chiuse (come si evince dal numero molto basso degli avanti diritto: alle primarie per la candidatura a premier del Pd erano oltre tre milioni, comunque un milione abbondante meno di quelli che premiarono Romano Prodi nel 2005), il risultato è poco rappresentativo. Se le si fanno aperte, c’è il rischio di invasione di campo di elettori che pensano soltanto a inquinare l’esito. Ognuno ha il diritto di scegliere i metodi che preferisce. Il problema vero però è un altro ancora: risulta piuttosto complicato credere che Rodotà, per quanto universalmente stimato, sia il campione del popolo oppresso e finalmente schiuso alla democrazia con 4 mila 677 voti. E che la sua mancata elezione abbia i connotati del colpo di Stato. A parte che l’elezione diretta del presidente non è prevista dalla Costituzione (magari presto la si cambierà), è chiaro che presentarsi nel dibattito con un candidato sorretto da cento o duecento o cinquecentomila voti avrebbe creato un serio problema politico. Quattromila voti creano quantomeno un equivoco e parecchio buffo. Perché, anche se si sommano i voti ai manifestanti chiamati imprudentemente in piazza da Grillo perché era in corso un golpe, si arriva forse a diecimila. Diciamo pure quindicimila. Meno dei tifosi dell’Atalanta allo stadio in una partita di media levatura. Detto questo, non si sarebbe potuto parlare di colpo do Stato nemmeno se fosse stato eletto Rodotà ma, per come sono andate le cose, fra lui e i cinque stelle fu giusto un colpo di fulmine.