Giusi Fasano, Corriere della Sera 24/04/2013, 24 aprile 2013
L’AVVOCATO: 23 MINUTI SCAGIONANO STASI
Sincero. «Non ce l’aspettavamo, mi creda». Sconsolato. «Uno si domanda: dov’è che non abbiamo fatto bene? Abbiamo scritto 320 pagine di memoria per ricordare dati scientifici precisi, fatti, prove. E alla fine...». Il professor Angelo Giarda si ferma e scuote la testa.
Alla fine la Cassazione riapre la partita. Decide (giovedì scorso) che per Alberto Stasi non è ancora tempo dell’innocenza perpetua. Dopo una carcerazione-lampo e due assoluzioni torna in Corte d’Appello e finisce di nuovo nel girone infernale delle accuse, con il dito puntato addosso per aver ucciso la sua fidanzata Chiara Poggi, il 13 agosto del 2007, nella villetta di lei, a Garlasco.
Professor Giarda, la delusione fa spazio a qualche dubbio nuovo?
«Dubbi mai, nemmeno uno. Altrimenti non lo avrei difeso perché chi ha ucciso Chiara in quel modo è indifendibile. Alberto Stasi non c’entra niente con la morte di quella povera ragazza. Io, lui stesso e una équipe di persone di elevata caratura scientifica abbiamo lavorato per sei anni su ogni particolare di questa storia e non c’è mai stato un solo riscontro che abbia portato a lui. È un innocente, e lo dico con umiltà. Del resto lo hanno detto insieme a me i giudici di primo e secondo grado assolvendolo».
Una rarità riaprire un caso dopo una doppia assoluzione.
«Ho più di 40 anni di carriera, è la prima volta che mi succede».
La sua reazione immediata?
«Frastornato. E deluso. E poi non è questo modo di procedere che ho insegnato per anni ai miei studenti...».
Intende dire in aula?
«Sì. È stato rifatto il processo invece di parlare delle sole questioni di legittimità. E mi ha amareggiato che il sostituto procuratore generale sia entrato così nel merito della vicenda. L’ho detto in aula e lo ripeto: se un mio studente mi avesse presentato i ricorsi che hanno portato Alberto in Cassazione, se avesse fatto quella discussione, lo avrei bocciato».
Lei si occupa di altri tipi di processi, questo è il solo delitto che ha mai seguito dall’inizio. Perché? E non si è mai chiesto in questi giorni «chi me lo ha fatto fare?»
«Non me lo sono mai chiesto perché ero e resto convinto di dover tutelare un innocente. In questa storia ci sono arrivato perché io sono della Lomellina e l’uccisione di Chiara mi ha colpito fin da subito. Un delitto così dalle mie parti? mi sono detto fin dai primi giorni. E ho cominciato a raccogliere istintivamente gli articoli di giornale, prima che fossi interpellato per la difesa».
Se dovesse scegliere l’argomento più convincente per spiegare l’innocenza di Alberto...
«Ripeto: non c’è nessun riscontro che porti a lui. Non c’è un movente, non c’è l’arma. E poi vogliamo parlare dei tempi? L’unica finestra di incertezza possibile è al mattino fra le 9.12, quando qualcuno (presumibilmente Chiara) stacca l’allarme perimetrale della casa e le 9.35, quando Alberto si mette davanti al computer a lavorare alla testi, cosa che farà fino alle 12.20. Su questi orari siamo tutti d’accordo. Bene. Secondo lei può Alberto arrivare a casa di Chiara, litigare, aggredirla, colpirla più volte fino a ucciderla, buttare il corpo giù dalle scale, sedersi sul divano come dicono che abbia fatto l’assassino, lavarsi in bagno, avvolgere qualcosa in due asciugamani di casa Poggi mai più trovati, uscire magari con i vestiti insanguinati, prendere la bicicletta vista dalla testimone, correre a casa, accendere il computer e mettersi a guardare le foto osé? Tutto in 23 minuti?».
Piste o indizi alternativi seri non ce ne sono mai stati.
«Hanno sempre guardato solo ad Alberto. Ma chi ha ucciso Chiara non è lui né può essere stato un delitto casuale perché chi lo ha commesso era preparato. Di quella persona abbiamo solo l’impronta di suola a pallini sul tappetto del bagno».
Ha mai parlato del caso Stasi ai suoi studenti?
«L’ho fatto il giorno dell’assoluzione di primo grado. Sono arrivato in aula e loro mi hanno accolto con un applauso. Hanno voluto sapere i passaggi giuridici, ne abbiamo discusso. Lo ricordo come un bel giorno». La strada sembrava in discesa. Era il 2009. Lontano anni luce.
Giusi Fasano