Sergio Rizzo, Corriere della Sera 24/04/2013, 24 aprile 2013
LA LEGGE LO VIETEREBBE MA UDINE RIELEGGE IL CONSIGLIO PROVINCIALE —
Mentre lunedì mattina Giorgio Napolitano calibrava i ceffoni che nel pomeriggio avrebbe assestato ai partiti «sordi e sterili», in Friuli-Venezia Giulia andava in onda una delle più estreme conseguenze di quella carenza d’udito.
In risposta a una delle tante domande implicite nella durissima reprimenda del presidente della Repubblica, come quella sulla mai realizzata abolizione delle Province, si votava infatti il rinnovo del consiglio provinciale di Udine. Prova provata che in questo Paese certa politica riesce a toccare vette inarrivabili di «sordità»: infischiandosene perfino di leggi approvate dagli stessi partiti. Nella fattispecie, il decreto «salva Italia».
Quella legge ha stabilito il principio che i consigli provinciali, ridotti a un massimo di dieci persone, non siano più eletti direttamente dai cittadini, ma nominati dai Comuni del territorio secondo regole che si sarebbero dovute fissare con un provvedimento attuativo entro il 31 dicembre dello scorso anno. Era la premessa per la successiva abolizione delle stesse Province, nel frattempo private delle funzioni. Operazione sulla quale però il governo di Mario Monti avrebbe poi fatto retromarcia scegliendo la strada degli accorpamenti per decreto in base a popolazione e superficie.
Nelle ultime concitate fasi del governo Monti questo decreto ha poi seguito la stessa sorte delle tante riforme abortite. E siccome il cambio di strategia aveva interrotto il percorso originariamente avviato dal «salva Italia» con lo svuotamento dei poteri, pure quello si è arenato.
Ma la norma che ha posto fine al sistema dell’elezione diretta dei consiglieri, limitandone a dieci il numero massimo, è comunque sopravvissuta. Tanto è vero che le Province i cui consigli erano scaduti sono state via via commissariate, in attesa di quel provvedimento attuativo da prendersi entro il 31 dicembre scorso e ancora rimasto lettera morta. In questa situazione ce ne sono per il momento otto. L’ultima è la Provincia di Roma, commissariata il 28 dicembre.
È bene chiarire che il «salva Italia» parla di tutte le Province. Per le Regioni a statuto speciale c’è soltanto un’accortezza tesa a salvaguardare formalmente le loro maggiori autonomie: l’obbligo di recepire nei rispettivi ordinamenti l’abolizione dell’elezione diretta dei consigli provinciali entro il 30 giugno 2012. Ma questa, più che una prescrizione, è stata interpretata da qualche destinatario, come un suggerimento. Del quale, dunque, si poteva anche non tener conto in forza dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione.
Come sia possibile che in uno Stato sovrano, pure nel rispetto delle prerogative costituzionali di ciascuno, una legge non venga applicata proprio da una delle istituzioni parte del medesimo Stato, e senza che nessuno intervenga, è francamente inspiegabile. Ma tant’è. Nel Friuli-Venezia Giulia si è deciso di andare regolarmente al rinnovo dei 25 componenti del consiglio provinciale di Udine il cui mandato finiva nel 2013 come se la legge che non lo consente più non fosse mai esistita. Quelle poltrone resteranno perciò occupate altri cinque anni. A partire, ovviamente, dalla più importante. Sulla quale è già seduto il leghista Pietro Fontanini: governatore della Regione nel 1993, parlamentare per tre legislature e presidente della Provincia dal 2008. Il suo avversario sconfitto Andrea Simone Lerussi, paradosso dei paradossi, guidava una coalizione di centrosinistra con una lista battezzata «Chiudiamo la Provincia».
E bisogna ringraziare la Regione siciliana, autonoma al pari del Friuli-Venezia Giulia, per aver avuto il coraggio di cancellare con una propria legge le Province isolane. Perché in caso contrario avremmo assistito a un’altra gigantesca infornata elettorale. Anche se questa clamorosa decisione non sembra ancora, per qualcuno, un deterrente sufficiente: è di lunedì 15 aprile la notizia, rilanciata dall’Ansa, che il presidente della Provincia di Agrigento Eugenio D’Orsi, a un mese dalla scadenza del mandato, ha nominato un’altra giunta con due assessori nuovi di zecca. Dal 2008 si sono alternati al governo provinciale agrigentino 50 assessori. Uno ogni 36 giorni.
Sergio Rizzo