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 2013  aprile 23 Martedì calendario

PD, TUTTI SONO DIVISI DA TUTTO

«Il problema è che nel Pd sono divisi anche su come dividersi. Litigano perfino sulla delegazione da mandare al Quirinale. Si dava per scontato che, dimessi i vertici, alle consultazioni andassero i capigruppo. Invece Matteo Orfini ha proposto una troika composta da Renzi, Veltroni e D’Alema.

Nessuno dei quali è stato eletto. Lo sconcerto è grande e non ci sono precedenti cui appellarsi». Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, ex direttore del Riformista e fine saggista (il suo ultimo libro, per Rizzoli, è In fondo a destra), analizza con ItaliaOggi gli ultimi giorni del Pd. «Come ho scritto, la storia della sinistra italiana sembra il sequel di Highlander. Un wrestling fratricida a «Ne resterà soltanto uno».

Domanda. In molti, come Franceschini, stanno chiedendo a Bersani di congelare fino al Congresso le proprie dimissioni. Il timore è lo sfacelo definitivo del partito.

Risposta. Credo che prolungare gli errori sia uno sbaglio. Prendere atto della realtà aiuterebbe invece la chiarezza. Bersani ha perso le elezioni. Già il giorno dopo avrebbe dovuto aprire una discussione sulla propria linea politica. Non è andando di sconfitta in sconfitta con la scusa di guardare avanti che si risolvono i problemi. Certo, le dimissioni dimostrano responsabilità. Ma perché, nel dimettersi, Bersani dà la colpa ad altri, definendo inaccettabile il comportamento di certi parlamentari come se non li avesse scelti lui? E perché, quelli che ora lo incolpano, prima non hanno mai fiatato? Ricordo la Direzione seguita al tracollo elettorale: l’unico che ebbe il coraggio di cercare di capire cos’era successo fu Flavio Zanonato. Nessun altro si chiese perché avevano perso. L’atteggiamento era: «Abbiamo vinto le elezioni. Purtroppo un destino cinico e baro rappresentato da una legge elettorale bastarda ci ha impedito di formare un governo». Ma non è vero. La maggioranza elettorale era così risicata che nessuna legge gli avrebbe dato una maggioranza parlamentare. E la legge elettorale che dicono bastarda è la stessa che ha regalato a una coalizione col 30 % dei voti il 54% dei seggi. Insomma, la ragione invocata da Bersani per fare il governo è la stessa che gli impedisce di farlo.

D. Si è dimessa anche la Bindi, dicendo, lei che del Pd era il presidente, di non essere stata consultata.

R. La Bindi dice però una cosa vera. Che la scelta dei parlamentari è stata disastrosa. Bastava guardare Le Iene: a una domanda sulla perestroika un giovane eletto rispondeva attribuendola al periodo staliniano. Quadri di partito impreparati sulle radici del partito. Niente alibi, per carità: la Bindi è parte del gruppo dirigente e dei suoi errori. Ricordo uno scontro tv avuto con lei dopo le amministrative 2012. Lei diceva che il Pd aveva vinto le elezioni, io che le aveva perse. Perché il Pd vinceva ovunque contro Lega e Pdl, ma perdeva contro chiunque altro: ovunque fosse nato qualcosa di diverso, come Pizzarotti a Parma. Del centrodestra, che in quel momento viveva il suo disastro, non avevano intercettato neanche un voto. Anzi, alle primarie li hanno disprezzati, dicendo che sarebbero stati voti per Renzi. Contemporaneamente hanno perso nei confronti di radicalismi più forti.

D. Ora, nella battaglia per il Colle, il Pd ha affondato due fondatori in due giorni.

R. E fosse stato per Barca, nuovo astro nascente, avrebbero affondato anche il terzo, Napolitano. È vero il detto, «Dio fa impazzire chi vuole perdere». Come ha osservato Claudio Petruccioli, la rana si è gonfiata fino a scoppiare: è diventata troppo grossa per le proprie idee, portando in Parlamento gente che non lo merita. Il Pd ha allevato quadri locali nell’antiberlusconismo più feroce, e con le parlamentarie ha premiato i più estremisti. Come fai poi a dire all’improvviso, a questa massa di gente che hai nutrito a carne di giaguaro, «Adesso dobbiamo diventare vegetariani e fare il Capo dello Stato con Berlusconi»? Ma anche Renzi ha gravi responsabilità.

D. Si spieghi.

R. Come si dice a Napoli, Renzi vuole stare in mezzo. Per carità, è sbagliato che Bersani non l’abbia consultato. Poco intelligente che, in procinto di lanciare un’operazione politica di tale difficoltà, non si sia confrontato né con lui, che è il capo di una corrente, né con altri. Ma Renzi ha esposto il partito che vuole guidare a un’enorme figuraccia. Ha aperto il fuoco. Ha detto, «Via i guantoni, via nel fango. Marini è un vecchio arnese democristiano». Senza più neanche quella certa ipocrisia della politica. Ma se il leader di una corrente si comporta in questo modo, tutti si sentono autorizzati a fare uguale. Renzi ha voluto fare il «Veni, vidi, vici di Cesare. Seppellisce Marini, arriva a Roma, s’incontra con i suoi e fa il kingmaker di Prodi, poi torna a Firenze. Solo che Prodi viene bocciato. Perché è ovvio che se tu affossi il candidato di una parte del partito, quelli si vendicano affossando il tuo. Sembra una battaglia nibelungica: Marini e Prodi se la sono giurata dal 1999, Rodotà è avvelenato col partito dal 1992. E’ una saga tolkeniana.

D. Quanto c’entra davvero D’Alema nella mancata elezione di Prodi? Chi sono i 101 che lo hanno affossato?

R. Una cinquantina sono certamente popolari e dalemiani, che hanno votato contro Prodi per antica antipatia e per vendicarsi di Renzi. Ma i più sorprendenti sono gli altri cinquanta. Quelli che tra Prodi e Rodotà scelgono il candidato di Grillo. Giovani parlamentari sciocchi e senza una cultura adeguata eterodiretti da forze esterne al partito. Lobby locali, gente che al massimo trovi su Twitter: gli stessi che inneggiavano al voto per l’arresto a Berlusconi quando dell’arresto non c’era neppure la richiesta. Cripto-grillini portati in Parlamento sotto le insegne del Pd.

D. Si diceva della Bindi. Ma le anime belle non mancano fra i giovani. Come la Moretti, portavoce di Bersani che vedendolo in disgrazia ne prende le distanze. O come Civati, che non si sa più quante schede bianche abbia votato.

R. Sono stato un critico feroce di Bersani. Anche quando sembrava destinato al trionfo ho scritto che aveva il complesso di Dorando Pietri: tutta la maratona in testa e poi non taglia il traguardo. Ne ho biasimato la politica delle alleanze, perché sperare di vincere le elezioni chiudendosi in un governo con Vendola significa non conoscere l’Italia, dove una soluzione di sinistra frontista non ha mai vinto. E però, l’altro giorno ho scritto un tweet: «Vorrei dire un grazie sincero a Bersani a nome di tutti quelli che lui ha promosso in parlamento e un minuto dopo l’hanno mollato». La Moretti è l’indifferenza con cui si può sostenere una tesi e il suo opposto. Come se Bonaiuti votasse contro Berlusconi. Almeno prima dimettiti dal ruolo. Anche i giovani turchi hanno le loro colpe. Fassina, per dire, è responsabile di un 2-3% di voti perduti. Tutta gente miracolata da Bersani che il giorno dopo gli si rivolta contro. Proprio questo atteggiamento è una delle cause dei guai del Pd. In un partito ci dev’essere solidarietà. «Difendo il mio compagno perché il nostro destino è comune e se si salva lui a me viene un bene». Nel Pd la solidarietà è saltata perché si ritiene che il destino non sia più comune. «Affosso il mio compagno di partito perché me ne può venire un bene».

D. E adesso?

R. Al Congresso verrà eletto il nuovo segretario. Un’operazione delicata, perché quasi certamente sarà il prossimo candidato premier. A sorpresa, Barca si è sfilato. Il suo no a Napolitano gli ha alienato anche le simpatie della corrente turca che sperava in lui come l’anti-Renzi, e ora sembra più indirizzato alla scissione: ad andare con Vendola e diventare la sesta stella del M5S. Del resto una parte del Pd non accetterà mai Renzi segretario. Anche se per alcuni, come la vecchia nomenklatura ex Pci, potrebbe essere un traghettatore, la parte più a sinistra del partito non ci starà mai. Anche la scelta di partecipare al governo può provocare la rottura. Il rischio di un pezzo di partito che se ne va è molto elevato, forse inevitabile. Forse è la miccia necessaria per la rifondazione del Pd. Èm chiaro che l’ambiguità interna va superata, ma il partito ne uscirebbe come entità più piccola. Certo, il Pd oggi è incredibile. Un partito che per formare un governo pone come condizione quella di non guidarlo. Dopo aver puntato i piedi per governare, ora vuole allontanare il più possibile da sé il calice del potere. Sperando di giustificare così ai propri elettori lo stare in un governo sostenuto anche dal Pdl. Allo stesso modo non gli va bene neanche Amato, che in quanto uomo della Prima Repubblica potrebbe scatenare di nuovo la demagogia grillina. Il paradosso è che dopo essersi suicidati pur di non fare il governissimo col Pdl, ora si trovano a doverlo fare comunque. E allora, non era meglio farlo due mesi fa?