Simone Battaggia, Gazzetta dello Sport 23/4/2013, 23 aprile 2013
I 100 ANNI
di ETORE PEREGO
Mentre gli animatori e gli ospiti della casa di riposo cantano l’Inno di Mameli, Ettore Perego è scosso da un sussulto. Si porta la mano al petto, come per ringraziare, o forse per domare un’emozione troppo forte per i suoi 100 anni. Non lo sapremo mai, purtroppo. Tre anni fa, quando gli allievi della Pro Lissone andarono a trovarlo e improvvisarono alcuni esercizi, Ettore riusciva ancora a sussurrare qualche consiglio. «Attento alla schiena», «Le punte non sono tese». Oggi non può più. Ma quel canto sommesso deve aver mosso qualcosa in lui.
I giorni di Londra 1948 Forse il ricordo dei giorni di Londra 1948, la sua prima e ultima Olimpiade. Si piazzò quinto con la squadra e dodicesimo nel cavallo con maniglie, la specialità preferita. Allora aveva 35 anni, un’età che, per gli studiosi, lo rende oggi il più anziano azzurro in vita ad aver partecipato ai Giochi. «Non ha un bel ricordo, di quella partecipazione — racconta Sandro, il nipote che ne sta raccogliendo la memoria sportiva —. La visse come un fallimento. Si era allenato molto e il risultato non lo soddisfò. Qualche compagno disse malignamente che sarebbe andata meglio, se il collegiale non si fosse svolto proprio a Monza, a pochi passi da casa e dalla moglie. In realtà lui soffriva molto il primo esercizio, qualunque esso fosse. Lì trovò agli anelli e andò male». Così, 11 anni fa, Ettore aveva raccontato la gara al Giornale di Monza. «Per mettermi in verticale mi diedi la spinta con le gambe. Un errore che mi costò parecchi punti».
Zucchero nel motore Ettore nacque l’11 aprile 1913 a Monza. Mamma Eufemia faceva la portinaia, papà Domenico il giardiniere. Con Giuseppe, più vecchio di tre anni, imparò la ginnastica all’oratorio del Carrobiolo. La fascistizzazione dello sport, dal 1926, portò però alla chiusura della società e i fratelli si trovarono senza palestra. Solo Ettore continuò: si iscrisse alla Forti e Liberi grazie alla madre di un compagno di classe, che pagò la retta. «Si alzava alle 4 — prosegue Sandro —, faceva tre ore di ginnastica e poi prendeva il tram per andare a lavorare alla Stipel, in Porta Romana. Lo avevano assunto come usciere per motivi estetici: aveva un fisico perfetto, con la divisa stava bene. Con gli anni sarebbe diventato un tecnico telefonico. Il suo doping era lo zucchero: già da piccolo lo rubava alla mamma, prendeva la zuccheriera e la portava alla bocca. Lo beveva. Ancora oggi è golosissimo. Quando devono vestirlo e lui non vuole, gli danno una caramella».
Maestro di Bonatti Ettore chiuse la carriera nel 1950 e divenne allenatore. Tra i suoi allievi ci fu anche Walter Bonatti, che si formò proprio alla Forti e Liberi, prima di scrivere poesie in parete. Ed è bello pensare che sia stato proprio Ettore a instillare in Walter un po’ dell’agilità e della tempra così decisive per la sua vita d’alpinista. «Di certo ne incanalò l’energia straordinaria in qualcosa di concreto — ricorda Sandro —. Zio era un istruttore molto duro». Gli allievi della «Pro» ne ricordano ancora i metodi e l’intransigenza. «Un giorno stavo fumando una sigaretta mentre andavo da Monza a Lissone per l’allenamento — racconta uno di loro —. Ettore mi riconobbe, fermò la macchina, scese, mi strappò la sigaretta dalla bocca e mi disse "Non permetterti di fumare, se vuoi essere un mio atleta"». Venerdì quei ragazzi erano lì, in casa di riposo, per salutare i cento anni di un nonno burbero e amato.