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 2013  aprile 23 Martedì calendario

BARCA, VIA ALLA CAMPAGNA DA LEADER

«Quella di stasera non deve essere né l’inizio della campagna elettorale di Barca, né di quella congressuale, vero Fabrizio?». Giulia Urso, la segretaria del circolo Pd di via dei Giubbonari, ex sezione Pci che espone ancora orgogliosamente all’ingresso la targa con falce e martello, si volta a guardarlo, nella piccola sala affollatissima, dove tra i quadri appesi ci sono grandi ritratti di Gramsci, di Berlinguer, di Nilde Iotti. Lui fa cenno con la testa: no, nessun avvio di campagna, solo un incontro con il suo circolo del neoiscritto Fabrizio Barca, oggi ancora ministro della Coesione territoriale, domani chissà («non sei ancora segretario, ma non è detto, magari di circolo…», scherza la Urso presentandolo).

Che sia una speranza della parte sinistra del Pd, non c’è dubbio. Lo hanno fatto capire vari dirigenti (anche se un “gauchista” come Matteo Orfini, per esempio, non ha lesinato critiche al suo tweet di endorsement su Rodotà) e lo dicono anche qui, nello storico circolo da 440 iscritti in cui anche lui è aderente, e fu quello di personalità come il presidente Napolitano. «Barca mi interessa perché è un elemento nuovo approdato al Pd in maniera sana e diversa», spiega una militante, Camilla Stola, mentre aspetta che inizi. «Io il binomio Barca-Vendola lo voterei ad occhi chiusi», ammette un’altra, Gabriella Guido. Entrambe, dinanzi all’ipotesi scissione del Pd, allargano le braccia, «penso che sì, ci sia il rischio»: d’altra parte, dinanzi all’eventualità di Renzi segretario sono lapidarie, «me ne andrei». E un interesse per quello che Barca ha da dire c’è anche tra i parlamentari, se alcuni di loro si presentano a via dei Giubbonari, a sentire quello che il ministro ha da dire: da Pippo Civati (che insiste: «nessuna scissione, però, vogliamo portare la sinistra dentro al Pd, non uscire») a Laura Puppato, alla giovane Marianna Madia, alle neodeputate Alessia Rotta e Miriam Cominelli.

Così, con tre minuti d’anticipo sull’orario, le nove di sera, con un fascio di quotidiani sottobraccio, il ministro si accomoda sotto il mega logo del Pd, «Circolo centro storico», seduto a un tavolo rosso con decine di teste attente ad ascoltarlo. Obiettivo, esporre il documento che ha presentato nei giorni scorsi, che «si candida solo a essere discusso, che non voleva essere un programma politico ma di convincimenti», assicura. E Barca, giacca e cravatta, gli occhiali sul naso, inizia a illustrare, rispolverando l’ostico «catoblepismo», i manager «risolutori della complessità cognitiva», il «sistema adattivo» e via con paroloni complicati che sembra una lezione universitaria, eppure la sala segue attenta anche se offre un timido applauso solo dopo mezz’ora, quando evoca la «destabilizzazione delle classi dirigenti».

Partono le domande, le osservazioni, c’è curiosità per Barca junior, dopo che Barca padre fu un importante dirigente comunista. Ma anche qualche critica, come quella che gli fa la segretaria del circolo: «Non ho apprezzato il tuo tweet su Rodotà, a partire dai tempi». Lui spiega, ascolta, illustra. E su una cosa, il neoiscritto Pd alla prima uscita pubblica, il possibile futuro leader a confronto coi militanti,si sente di rassicurare tutti: «Non mi sono certo iscritto a un partito per andarmene dopo cinque giorni». Altro che scissione, «pensare che io lasci il partito è una follia: se faccio una cosa del genere piuttosto vado in Patagonia. Quindici mesi fa non ritenevo ci fosse un futuro per il Pd oggi, nonostante tutto, ritengo di sì».