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 2013  marzo 01 Venerdì calendario

GRILLO E LA SFIDA IMPOSSIBILE DEL REDDITO GARANTITO

Nel dibattito politico dei giorni successivi alle elezioni è balzata prepotentemente su tutti i giornali la proposta del M5S di introdurre un reddito di cittadinanza, un vero e proprio cavallo di battaglia dei grillini.

A onor del vero, la proposta risulta piuttosto vaga e più che altro si rimanda a politiche simili di altri paesi europei, senza ulteriori delucidazioni su come tale politica possa essere introdotta in Italia.

Cercare di studiarne la fattibilità data la scarsità di informazioni diventa un’impresa. Il Movimento 5 Stelle fa della condivisione in rete del programma, soprattutto nella fase di discussione delle singole proposte, un suo tratto distintivo; questa "foga creatrice" non facilita certo l’analisi dettagliata in mancanza di documenti ufficiali su cui fare affidamento.
L’innegabile fascino e novità di un movimento prettamente organizzato in forma di network, ha forse il suo limite intrinseco quando le proposte sono antiquatamente " messe su carta" e valutate nella loro fattibilità.

In numerosi post del proprio blog, Grillo approccia il problema in maniera abbastanza caotica. Il progetto del reddito di cittadinanza sembra oscillare fra un qualcosa di simile al sussidio di disoccupazione - che in tal caso coprirebbe solo i disoccupati - a un vero e proprio reddito minimo garantito, ovvero un social benefit i cui requisiti sono la cittadinanza italiana e assenza o insufficienza di reddito. Il benefit oscillerebbe dagli 800 ai 1000 euro mensili, una somma davvero alta se rapportata ai miseri stipendi medi italiani.

Ci piacerebbe innanzitutto poter scartare l’ipotesi abbastanza grottesca che il M5S voglia dotare di reddito personale i 18 milioni di inattivi/disoccupati di età compresa fra i 15-64 (superata questa soglia di età solitamente di è coperti da una pensione), cosa che comporterebbe un esborso astronomico. Ma data l’enfasi posta e la vaghezza del contenuto non ci sentiamo in grado di dare nulla per scontato.

Passando a proposte più ragionevoli e dato il continuo riferimento ai paesi europei, sembra naturale riferirsi alla Francia, paese simile all’Italia sia per numero di abitanti che per cultura; dove da anni esiste un programma di supporto al reddito che abbina l’elemento sussidiante a un sistema di incentivi per evitare che i beneficiari smettano di cercare attivamente un lavoro.
Questo è in effetti uno dei maggiori rischi di questo genere di programmi, che se mal disegnati possono facilmente condannare i beneficiari a una trappola della povertà. Infatti l’unico vero e duraturo rimedio di lungo periodo all’indigenza resta il lavoro.

Nel 2009, la Francia ha introdotto il Revenu de Solidarieté Active (Reddito di Solidarietà Attivo), con l’obiettivo di dare supporto ai lavoratori disagiati e di incoraggiarne il ritorno nella forza lavoro.

L’RSA francese garantisce un reddito minimo in caso di inattività attraverso l’RSA-Socle, che ammonta a 470 euro al mese per una coppia senza figli e a 980 euro mese per una coppia con due figli, cifre lontane da quelle proposte dal M5S soprattutto in quanto modulate sui nuclei familiari. Il programma garantisce anche un reddito integrativo per le famiglie che lavorano ma che percepiscono un reddito basso attraverso l’RSA-Chapeau. Quest’ultimo è un sistema di integrazione del reddito per gli stipendi al di sotto di una certa soglia che incentiva fortemente la ricerca attiva del lavoro: per ogni euro di reddito da lavoro l’RSA garantisce 0,62 euro di reddito addizionale.

Questo strumento è aperto a tutti i lavoratori over 25, under 25 con figli a carico e, dal 2010, è stato esteso anche agli under 25 già entrati nella forza lavoro.
Prima di questa riforma, in Francia erano presenti nove diversi tipi di benefici sociali; l’obiettivo dell’RSA era, fra le altre cose, di semplificare il sistema di previdenza sociale.

Come già detto, una parte fondamentale di qualsiasi forma di reddito di cittadinanza è combinare questa forma di programma con l’obbligo stringente di cercare attivamente lavoro o di riqualificarsi. Gli in-work benefits sono il fiore all’occhiello dei paesi nordici, spesso citati a sproposito per avvalorare qualsiasi tipo di spesa sociale, senza sottolineare che ciò che fa la differenza a quelle "latitudini" è l’implementazione intelligente della politiche, e la capacità di evitare incentivi perversi.

I francesi, che sanno come copiare, hanno messo in opera un meccanismo per cui i beneficiari dell’ RSA hanno “diritti” e “doveri” fra i quali, come ricordato, l’obbligo di cercare attivamente lavoro (salvo specifiche situazioni particolari, ad esempio lo stato di salute). Tutti i percettori di RSA sono tenuti quindi ad iscriversi al Pôle Emploi (il servizio di collocamento pubblico francese) o ad un agenzia di collocamento privata dove sono seguiti da un referente specifico. Va tuttavia sottolineato che i dati sulla disoccupazione rivelano che solo un terzo dei beneficiari del RSA-Socle che non lavorano sono registrati al Pôle Emploi, e che dunque il giusto intento di allineare gli incentivi in maniera corretta si scontra, come ricordato prima, con l’implementazione non perfetta delle politiche pubbliche.

In Francia l’ammontare annuale stanziato per questo provvedimento è di circa lo 0,6% del Pil, ma rispetto ai vari benefici sociali che l’RSA ha sostituito, questa forma di sussidio costa solo lo 0,1% del Pil in più (circa 1.5 miliardi aggiuntivi). Questo costo aggiuntivo è stato finanziato da un aumento di 1,1 punti percentuali della tassa per contributi sociali sul reddito da capitale.

Già nel settembre del 2010 l’RSA era sfruttato da 1,8 milioni di famiglie francesi, circa 3,8 milioni di persone. Una prima analisi del Ministero del Tesoro francese stima che l’RSA-chapeau ha aumentato il reddito al consumo mediano del 18% (da 699 a 825 euro al mese al dicembre 2009). Inoltre, lo stesso studio stima che questo strumento aumenterà il reddito disponibile per circa 2,3 milioni di persone. Non solo, incentivando la ricerca attiva di un impiego, il guadagno potenziale derivante dal reingresso nel mercato lavoro, anche attraverso il part-time, costituisce di fatto un aumento di reddito notevole per le famiglie monoreddito, sebbene un effetto indesiderato noto dell’ RSA sia quello di intrappolare il percettore di reddito più basso, nella maggioranza dei casi donne, in lavori part-time.

Una politica simile in Italia, a parità di copertura delle fasce ritenute meritorie, costerebbe dunque attorno a 10 miliardi di Euro. Non sono certo pochi in tempi di ristrettezze di bilancio. Eppure la proposta del M5S di recuperare i soldi necessari dalle pensioni non va troppo derisa. Dopo la stretta fiscale di questi anni, immaginare un finanziamento di tale programma tramite altre tasse appare forse non desiderabile. È noto, e lo abbiamo già sottolineato, che esiste un problema generazionale nel nostro paese. Sottrarre 0,6 punti di Pil alle pensioni ed utilizzarli per aiutare famiglie indigenti, spesso giovani, non dovrebbe quindi essere liquidato come una boutade.