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 2013  aprile 08 Lunedì calendario

MONETA E TITOLI DI STATO: PER USCIRE DALLA CRISI COPIAMO DAL GIAPPONE

L’Europa e l’Eurozona sono in crisi dal 2009. Da allora più di 35 verti­ci, quasi nessuna decisione pre­sa. In Giappone in 3 mesi è cam­biato tutto. È cambiata la politi­ca economica, è cambiata la stra­tegia della banca centrale, si è ab­ba­ssato il cambio e il paese è tor­nato a crescere. Volere è potere. Ed è del tutto chiaro che la via maestra per portare l’Europa fuori dalla crisi sia nota a tutti già da tempo, ma evidentemente manca la volontà politica per­ché ciò possa accadere.
La soluzione è pronta almeno da giugno 2012, quando i presi­denti di Consiglio europeo, Commissione europea, Banca Centrale Europea e Eurogruppo hanno presentato una ben definit­a road map verso 4 unioni nel­l’area euro: unione bancaria, economica, politica e di bilancio. Cui si aggiunge la modifica dei Trattati, al fine di attribuire al­la Bce il ruolo di prestatore di ulti­ma istanza. È rimasta lettera morta. E quel poco che è stato fat­to dalle istituzioni comunitarie, vale a dire il Meccanismo Euro­peo di Stabilità (alias «scudo an­ti spread»), e dalla Bce, che a lu­glio 2012 ha deliberato un pro­gramma di acquisto illimitato sul mercato secondario di titoli di Stato con vita residua fino a 3 anni dei paesi sotto attacco spe­culativo (Omt, Outright mone­tary transactions), è di fatto bloc­cato dalla Germania. Il primo perché, per volontà tedesca, non può ricapitalizzare diretta­mente le banche europee se pri­ma non parte un sistema unico di supervisione bancaria nel­l’area euro. Il secondo perché a ottobre la Corte costituzionale tedesca dovrà pronunciarsi sul­la legittimità del programma in quanto, secondo l’interpretazio­ne prevalente in Germania, i tra­sferimenti illimitati (quali quelli per cui si è impegnata la Banca Centrale Europea) all’interno dell’area monetaria dell’euro so­no vietati.
Spesso nelle nostre analisi ab­biamo messo a­ confronto la poli­tica economica timida e blocca­ta dell’Europa con quella prag­matica ed efficiente degli Stati Uniti. Ma c’è qualcuno che negli ultimi mesi ha superato il gigan­te americano, in termini di politi­ca economica e di politica monetaria: il Giappone. Con effetti po­sitivi tanto sulla propria econo­mia quanto sulle borse di tutto il mondo. È bastato un nuovo governo, insediatosi il 26 dicembre 2012, e un nuovo presidente della ban­ca centrale (Bank of Japan), no­minato il 20 marzo 2013, per fare una vera e propria rivoluzione. In 3 mesi è cambiato tutto: il Giappone, dall’essere un paese in recessione cronica (5 lunghi cicli nell’arco degli ultimi 15 an­ni) e bloccato da una valuta, lo yen, fin troppo forte, è passato a ridurre il valore della moneta e, udite udite, è uscito, come per magia, dalla recessione. È aumentata la fiducia dei consuma­tori e sono cresciuti gli investi­menti delle imprese. Ripetia­mo: tutto in 3 mesi. È bastata la volontà politica.
L’11 gennaio 2013, poco più di 2 settimane dopo l’insediamen­to, il primo ministro giappone­se, Shinzo Abe, ha lanciato un piano da 10.300 miliardi di yen (116 miliardi di dollari), finaliz­zato a un aumento del Pil di al­meno 2 punti percentuali e alla creazione di 600mila posti di la­voro, nonostante un rapporto deficit/Pil del paese oltre il 10% e un rapporto debito/Pil superio­re al 220%. I 10.300 miliardi di yen saranno così utilizzati: 3.900 miliardi sono destinati alla ricostruzione dell’area di Tohoku, devastata dal terremoto e dallo tsunami; 3.200 miliardi riguardano misure per la competitivi­tà e l’innovazione delle imprese industriali; 3.200 miliardi sono impegnati per la sicurezza socia­le, la sanità e l’istruzione.
Obiettivo primario del nuovo premier: risollevare l’economia nazionale. In linea (e oltre) con la politica economica adottata dagli Stati Uniti. L’esatto contra­rio delle ricette sangue, sudore e lacrime imposte ai paesi dell’Eu­rozona sotto attacco speculati­vo dall’Europa a trazione tede­sca.
Allo stesso modo, il 3 aprile 2013, a due settimane esatte dal­la nomina, il presidente della banca centrale giapponese, Ha­ruhiko Kuroda, ha stravolto la politica monetaria e ha lanciato un piano di stimolo che in 2 anni porterà al raddoppio della base monetaria del Giappone da 138.000 miliardi di yen a 270.000 miliardi di yen (tra 60.000 e 70.000 miliardi di yen in più all’anno); al raddoppio degli ac­quisti di titoli a lungo termine (fi­no a 40 anni) del debito sovrano giapponese, nonché all’allunga­mento della vita media residua di quelli già in circolazione, da meno di 3 anni a circa 7 anni; alla sospensione della regola, intro­dotta nel 2001, per cui la banca centrale non può detenere in portafoglio un ammontare di ti­toli di Stato superiore alla quanti­tà totale delle banconote in cir­colazione. Quest’ultima previ­sione porterà ad un totale di tito­li di Stato in possesso della ban­ca centrale giapponese pari a 290.000 miliardi di yen nel 2014, vale a dire 3 volte la quantità tota­le di banconote in circolazione nello stesso anno, pari a 90.000 miliardi di yen. Nonostante tut­to ciò, l’inflazione in Giappone non supererà il 2%. Numeri da far girar la testa an­che al presidente della Federal Reserve americana, Ben Bernanke. Diverse, invece, le posi­zioni del presidente della Banca Centrale Europea, Mario Dra­ghi, che proprio poche ore dopo l’annuncio del piano«shock»da parte del suo collega giappone­se, ha confermato lo status quo. Nulla di più.
Dal quadro delineato emergo­no politiche economiche e mo­netarie molto differenti. Diffici­le dire chi abbia ragione e chi tor­to. Un dato è certo: al di là delle percentuali, senz’altro impor­tanti e da tenere in conto e che gli Stati membri dell’Eurozona si ostinano a rincorrere con la pi­stola dello spread puntata alla tempia, in Usa e Giappone la ri­presa è solida e l’economia reale è più in salute rispetto all’Euro­pa, che, invece, è ridotta allo stre­mo. Proprio sull’attenzione all’economia reale il presidente della banca centrale giappone­se ha basato il suo programma straordinario: se i tassi di interes­se sui titoli di Stato calano, le istituzioni finanziarie private riposizionano i loro portafogli con meno bond pubblici e più presti­ti alle imprese e più attività di ri­schio legate all’economia reale. Con relativo cambio drastico nelle aspettative degli operatori di mercato e di tutte le entità economiche, imprese e consumato­ri compresi.
Ma la lezione giapponese ci in­segna anche altro: che in 3 mesi si possono cambiare le sorti di un paese. Cosa che un’Europa miope, masochista, calvinista, ipocrita e balbettante non è riu­scita a fare in 3 anni di crisi. Un’Europa piena di contraddi­zioni interne, con uno Stato ege­mone, la Germania,che ha deci­so che ­nell’imminenza delle pro­prie elezioni politiche, che si ter­ranno a settembre 2013, il clima sui mercati non deve essere tur­bato. Cosa succederebbe se in que­sti giorni le solite 20 banche che fanno il bello e cattivo tempo sui mercati decidessero di vendere titoli del debito pubblico italia­no, come hanno fatto nella primavera-estate del 2011? In un battibaleno lo spread aumente­rebbe di 200 punti e si formereb­be subito un governo di grande coalizione.
Evidentemente la Germania non vuole che questo avvenga, perché non gradisce che l’Italia abbia un esecutivo autonomo, forte, capace di liberarsi del controllo esterno e di orientare, piuttosto che subire, la politica eco­nomica europea. Magari cam­biandola in senso giapponese. Al contrario, lo spread relativamente basso favorisce lo stallo. Se continuano così le cose, chi fa­rà, in Italia, il Piano Nazionale delle Riforme e il Programma di Stabilità, documenti economici di primaria importanza, che hanno gittata poliennale e che devono essere inviati alla Commissione europea entro il 30 aprile?
Ecco perché serve la volontà politica storica per un governo forte in Italia, che metta insieme il centrodestra e il centrosini­stra. Basta un atto di buonsenso, da parte dei due partiti che han­no rac­colto più consensi alle ulti­me elezioni, che porti alla formazione di un governo sostenuto da un’ampia maggioranza, e lo stallo che ci affligge dalla caduta del governo Berlusconi nel novembre 2011 giungerebbe a so­luzione. Indipendentemente dallo spread. E dalla Germania. Un primo, fondamentale passo verso il recupero della nostra so­vranità nazionale, dentro un Europa finalmente capace di deci­dere il proprio destino. Volere è potere. Il Giappone ci insegna che in 3 mesi si può cambiare tut­to. Noi siamo alla melina di Ber­sani e all’inutilità dei saggi, facili­tatori del nulla.