Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 07 Domenica calendario

E COLOMBO, ARMATO DI BATTERI, CREO’ LA VERA GLOBALIZZAZIONE

Ci sono momenti di svolta. A volte nella sto­ria degli uomini, a vol­te nella storia del Pia­neta. A volte in entrambe. La vul­gata vorrebbe, a esempio, che gli ultimi decenni siano stati un momento di vorticoso cambiamen­to ambientale. Un cambiamen­to tale da stravolgere le sorti ma­gnifiche e progressive dell’homo sapiens e del nostro azzurro pianetino. Giusto per dire: l’effetto serra, la globalizzazione, l’omo­logazione culturale... A leggere però 1493, il saggio di Charles C. Mann che arriverà tra poco in libreria (il 9 aprile) per la collana Le scie (Mondadori, pagg. 676), sembra che gli allar­misti, o anche gli ottimisti che esaltano la globalizzazione, sia­no arrivati tutti con un po’ di ritardo. Mann è uno dei più bravi di­vulgatori scientifici statunitensi e la tesi sostenuta in questo suo la­voro è ben chiarita nel sottotitolo Pomodori, tabacco e batteri. Co­me Colombo ha creato il mondo in cui viviamo.
Certo tutti conosciamo alcuni dei cambia­menti provocati dai viaggi dell’Ammi­raglio del Mare Oceano, a parti­re d­alla diffusio­ne della patata o del mais in Euro­pa, ma l’analisi di Mann è davvero stu­pefacente, da un pun­to di vista sia antropologico sia naturalistico. Quello prodot­to dallo «Scambio Colombiano» è stato un mutamento rapidissi­mo, in meno di 200 anni ha fatto in modo che il mondo non fosse più lo stesso. Alcuni pensano che proprio con Colombo sia iniziato l’Homogenocene una vera e propria era geologica, una sorta di riunificazione virtuale della primitiva Pangea, realizzata dal­l’uomo.
Giusto per fare qualche esem­pio dei cambiamenti enormi che spesso ci dimentichiamo. Nel Nord America non esistevano certi tipi di lombrico. Il loro arri­vo, accidentale, assieme agli europei cambiò completamente il suolo del nuovo continente rendendolo adatto ad un sacco di nuove coltivazioni. Lo stesso di­casi per le api europee che gli in­diani chiamavano «le mosche de­gli inglesi». Cambiarono le mo­dalità di impollinazione e quindi tutte le dinamiche vegetali del Continente.
Quanto ai rapporti tra coloni ed indigeni, quasi ovunque se le diedero di santa ragione. Ma in realtà a fare la differenza furono i batteri e i plasmodi, a partire da quello della malaria. Si diffuse ra­pidamente nel nuovo continen­te facendo strage di indigeni, co­me nessun conquistador, nemmeno il più crudele, ha mai fatto. E forse questo creò un sacco di grane anche al Vecchio continen­te. Spieghiamo. Noi abbiamo recentemente sviluppato una vera e propria fissazione per l’effetto serra. Bene, la maggior parte de­gli indiani del Nord America, che prima dell’arrivo dei cavalli europei erano coltivatori stanziali, in­vece aveva una fissazione per mettere assieme il pranzo con la cena. Quindi davano fuoco ad enormi porzioni di sottobosco per favorire la crescita di piante alimentari, o solo per rendere i boschi più facilmente percorribi­li per la raccolta e la caccia. I colo­ni europei, molto spesso, si ren­devano conto di essere vicini alla costa per la puzza di fumo che si estendeva per miglia e miglia sul mare. Poi le malattie europee sterminarono una popolazione di milioni di abitanti e gli incendi finirono. E la diminuzione di Co2 nell’aria, stranamente coin­cise con quella che è conosciuta come la piccola glaciazione di metà Seicento, un vero inferno gelato per gli abitanti delle zone più a nord dell’Europa. Insom­ma il primo risultato della globa­lizzazione potrebbe essere stato il raffreddamento globale, solo nel tempo corretto dalle emissio­ni industriali.
Ma se ogni ragionamento sul clima è un azzardo, è invece una certezza, anche se poco raccontata dai libri, che quasi subito le enormi miniere spagnole d’ar­gen­to del Sud America fecero en­trare la Cina nel mercato globale. Sino a quel momento il Celeste Impero era stato la Nazione eco­nomicamente più evoluta. C’era poco che gli Occidentali o i suoi vicini potessero offrirgli. Gli enor­mi quantitativi di argento sudamericano e il tabacco fecero la dif­ferenza. Entro il 1572 gli spagnoli erano stabilmente insediati nel­le Filippine. In pochi anni lo scambio porcellana-argento di­venne stabile e costante. Impor­tante quanto oggi lo sono i pro­dotti made in China. E intanto Città del Messico diventava la cit­tà più cosmopolita del pianeta. Insomma ci piaccia o non ci piac­cia siamo globali da un bel po’ e dovremo conviverci. A meno di non estrarre dal suolo degli Usa tutti i lombrichi e dai giardini le api, a uno a uno.