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 2013  aprile 07 Domenica calendario

LIBERA LETTERA A SILVIO BERLUSCONI SU SERVI E UOMINI LIBERI

Caro Silvio, scrivo questa lettera con slancio e amarezza. Tu sai quante volte negli ultimi tre an­ni ci siamo visti, abbiamo parlato di donne, di te­levisione, di politica. Abbiamo stretto un’amici­zia che risaliva al 1989, quando io difesi, su un giornale neutrale, il glorioso L’Europeo, la tua legittimità a essere quell’editore che l’allora vitu­perato Montanelli riconosceva. Cominciò allora il tempo dell’infamia,quando tutti gli intellettua­li stavano dalla parte di De Benedetti, co­me editore «buono» con giornalisti «libe­ri», mentre tu eri l’edi­tore «cattivo» con giornalisti «servi». Poi Montanelli ha ri­baltato il tavolo e quel­l’infamia si è poten­ziata. Ma il vero e coe­re­nte erede di Monta­nelli, Vittorio Feltri, con la sua esperienza di diret­tore e di giornalista, ha dimostrato che si può es­sere liberi anche non essendo di sinistra, condi­zione pressoché eretica per un intellettuale (ma le eccezioni sono vigorose: Elémire Zolla, Guido Ceronetti, Roberto Calasso, Quirino Principe, Geminello Alvi, Pierangelo Buttafuoco e, anche, Alberto Arbasino. Pochi ma impeccabili). Lo stesso si può dire di Giuliano Ferrara che, pur fazioso e facile agli innamoramenti, ha in­ventato il quotidiano «cultura­le» più rigoroso e «godibile» de­gli ultimi vent’anni (come rico­nobbe Edmondo Berselli), infi­nitamente più stimolante, an­che se meno «graffiante», dell’al­tro prodotto editoriale riuscito e vicediretto da un anomalo e di­subbidiente intellettuale di de­stra, Marco Travaglio, che è il Fatto Quotidiano. Un caso a sé è quello di un giornalista di sini­stra, Giampaolo Pansa, «libero» a destra, dove gli hanno consen­tito di dire quello che non pote­va scrivere su Repubblica e L’Espresso. Anomalie di libertà e di servitù.
Nella communis opinio della sinistra la situazione non è cam­biata, anzi è peggiorata. Tu, al centro di una costante tempe­sta giudiziaria e giornalistica, sei il padrone, e chi sta con te è un servo. Inutile ricordare (an­che perché, in un modo o nell’al­tro, se ne sono andati tutti) gli spiriti liberi che sono stati con te, rinnegando la sinistra. Alcu­ni grandissimi pensatori, dopo il dandy Ferrara che ritrovò in te la vita perduta con Togliatti e Berlinguer, Lucio Coletti, Save­rio Vertone, Vittorio Mathieu, Antonio Martino, Giancarlo Lehner, Giorgio Rebuffa, Mar­cello Pera, Giuliano Urbani, Marco Taradash e, anche per un periodo non breve, Marco Pannella ed Emma Bonino e, perché no, Mario Monti. Tutti li­berali, tutti liberi e dotati di pensiero autonomo, certo non ser­vi. Poi il panorama è mutato e tu hai voluto dar ragione ai tuoi avversari, che erano stati smentiti dai fatti.
Per quello che mi riguarda, ri­spetto alle mie competenze, hai avuto la forza di mettermi ai Be­ni culturali, come l’evidenza sembrava indicare, per poi cac­ciarmi l’anno dopo. Come avevi fatto, su suggestioni di cattivi consiglieri, e senza riti bulgari, allontanandomi dalla televisio­ne (pare per risparmiare sulle querele e per mostrare uno spiri­to co­nciliante con l’ordine giudi­ziario che, poi, non sarebbe ser­vito e che le tue esternazioni hanno largamente smentito).
Così, dal 2002 (io rimasi come un fantasma in Parlamento fino al 2006), i nostri rapporti si rallentarono e si intiepidirono. So­no ripresi tra il 2009 e il 2010, quando tu sei entrato nella nuova violenta bufera mediatica e giudiziaria e io ho ricominciato a difenderti.Lo si sa,io non pos­so credere che nell’Italia libera­ta da ipocrisie e da pregiudizi, dopo Pasolini, tu solo ne debba essere vittima, rimproverando­ti, con la separazione da tua mo­glie, i rapporti con ragazze libere, ambiziose e determinate e anche, ovviamente, interessate e giovanissime. Abbiamo già avuto un caso Braibanti! E Pan­nella si fece sentire. In che cosa è vittima o parte lesa Ruby (come lei stessa oggi chiarisce)? E dove è Pannella? L’unico reato che vedo, come nel caso delle badanti dei Paesi dell’Est con gli anziani, è quello indicato da Maria Giovanna Maglie: «circonvenzione di attem­pato». Ma tu sei stato travolto e, per questo, con disgustoso moralismo, non per altro, ti dichia­rano «impresentabile» e, per aggiunta, ti appiccicano l’orrido e veramente impresentabile De Gregorio. Che non può essere stato comprato perché si è offer­to di essere servo. Lo ha chiesto, con le pericolose regole della de­mocrazia, per diventare presidente della Commissione Dife­sa (la sinistra ne conosce bene l’uso, e ne diede prova, a parti in­verse, eliminando Riccardo Vil­lari dalla presidenza della Com­missione Vigilanza della Rai per sostituirlo con Sergio Zavoli, che non era neppure membro di quella Commissione). Anche in questo caso non c’è materia di processo, ma solo evi­denza di sputtanamento. E fin qui sappiamo tutto. E tu conosci la mia posizione. Ma da qualche mese ho smesso di parlarti, da metà gennaio circa. Riprendo ora a scriverti. Senza rumore le nostre strade si sono separate e io non rinnegherò quello che ho detto con ferma convinzione.
Vorrei, come ho fatto in altre occasioni, esporti il mio punto di vista. Ricorderai che fui io a suggerirti lo «spacchettamen­to». Poi,in un modo o nell’altro, con molta approssimazione, realizzato. Ne è uscito, almeno di­gnitoso risultato, Fratelli d’Ita­lia, che hanno dimostrato legittime insofferenze, pur restando fedeli (mai servi). E forse non ce ne era bisogno perché tu hai combattuto con un’energia tita­nica, hai fatto tutto da solo. Ri­corderai che non ti piaceva più nessuno. Che non potevi vede­re, in televisione, Gasparri, Cicchitto, Quagliariello, La Russa, e tanti bravi ma consumati, o al­la fine inutili.
Ancora una volta i voti li hai presi tutti tu. Avresti voluto una nuova Forza Italia con tanti gio­vani mai prima candidati e sin­daci virtuosi. Potevi farlo e avre­sti vinto. Nella fase embrionale, alla ricerca di accordi con forze ester­ne, avevi evocato i nomi dell’inutilmente corteggiato Casini, di Montezemolo, e il mio. Io avrei potuto guidare un piccolo drap­pello «rivoluzionario» che ti piaceva e che pretendeva la sua au­tonomia, pur senza rinnegarti. Tu mi ascoltavi, ma io ero guardato come un marziano dai tuoi, sintetizzati negli occhi a palla di Rosaria Rossi. Ti sugge­rivo strade insolite (come Pan­nella ministro della Giustizia) e venivo considerato come un disturbatore (anche se allegramente e compiaciutamente ospitato dal nostro Sallusti).
Oggi, che le mie denunce con­tro la mafia sono riconosciute da tutti, devo ricordarti che quando il mio comune, Salemi, fu sciolto per mafia dallo stesso Stato che ti incrimina, nessuno del Pdl mi espresse solidarietà, e Alfano e la Vicari, in nome del­la giustizia degli Ingroia, mi osteggiarono e fecero una ridi­cola lista contro di me, candida­to sindaco a Cefalù. Per perdere insieme, ovviamente.
Allora ti dico che, insieme agli sconosciuti che sarebbero en­trati e rientrati in virtù della tua forza, non dovevi rinunciare a quelli dotati di pensiero e di autonomia di giudizio. Penso a Fiamma Nirenstein, penso a Pa­olo Guzzanti, penso a Giancarlo Lehner, penso anche a quelli che potevi chiamare, come An­na Maria Bernardini de Pace, ag­giungendola anche al collegio degli Avvocati, dove una donna manca. E penso a Ida Magli, e penso a Geminello Alvi, a Marcello Veneziani.
Essere privi di pensiero è peg­gio che essere servi. E mi devi di­re in che cosa potrà avere rilievo la militanza parlamentare di Ga­lan, che nominò il ladro Marino Massimo De Caro direttore del­la Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Colpe e reati evidenti. E se la giustizia ha un pregiudizio politico, in altri casi che conosci bene, non può essere solo nei tuoi confronti; perché la batta­glia sia credibile a molti potevi rinunciare, ma non a Cosentino. Che infatti ora è in carcere, non certo per l’evidenza dei reati.
Dopo queste considerazioni, ora vorrei dirti che, non per con­dividere la mia scommessa, o per il mio divertimento di provo­catore ma, insistendo a chiede­re un moderato di centrodestra al Quirinale, in questi tempi, non mi fermerei a nomi prevedi­bili sui quali la risposta negativa è scontata (penso ancora al mi­gliore che hai, Antonio Marti­no), ma cercherei un nome tra quelli che hanno reso gloriosa l’Italia nel mondo,senza fare po­litica attiva. E chi meglio di Ric­cardo Muti, il cui «mestiere» di direttore d’orchestra è il più si­mile a quello di chi deve far na­scere l’armonia da varie e discor­danti componenti? Lo abbiamo suggerito, io per primo, sulle pa­gine de il Giornale, de Il Giorno, di Libero, giornali non servi ma liberi.
Se Napolitano nominò Mon­ti, non politico, prima senatore a vita e poi presidente del Consi­glio, perché lo stesso non può toccare a Muti? Pensaci, e consi­dera lo sconcerto nel campo del­la sinistra e dei grillini che do­vrebbero, davanti al mondo, di­re no a un italiano conosciuto e universalmente ammirato.
Lui stesso mi ha ricordato il ca­so del musicista polacco Ignacy Paderewski, che fu addirittura presidente del Consiglio, impe­gno più gravoso. Che Berlusco­ni indichi il nome di Muti, e su quel nome chieda convergen­za, determinerebbe un effetto imprevisto e la incontenibile ira di chi crede che la cultura e l’ar­te in Italia siano sua esclusiva, come Eugenio Scalfari. Con qua­le faccia potrà dirci che Rodotà, Zagrebelsky, o Prodi, sarebbero migliori presidenti di Riccardo Muti? Auguri Silvio, e buona for­tuna.
Vittorio Sgarbi