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 2013  aprile 07 Domenica calendario

MA IO NON CI STO A SPARARE NEL MUCCHIO

Caro direttore, la stam­pa e la tv italiane so­no unanimi, compre­so il Giornale in cui scriviamo, finalmente. Tutti presentabili, todos caballeros. L’unanimità si fa su un punto chiave: la politica, le banche, il governo, la legge sulle pensio­ni, la legge sul lavoro, ma per an­dar più spicci la ministra Elsa Fornero, che fa rima con cimite­ro secondo una filastrocca cara alle militanti amiche dell’ex mi­nistro Oliviero Di liberto: ecco chi è responsabile della trage­dia familiare di Civitanova Marche. Tre persone si sono suicidate, la strage è di Stato. Finalmen­te un presidente di assemblea elettiva, la genti­le onorevole Boldrini, issata su quello scran­no per meriti umanitari dalla li­sta laburista di sini­stra che l’aveva eletta nel segno della narrazione anticapitalistica di Nicola Vendola, decreta con la motivazione del­la sua partecipazione ai funera­li il significato politico del­l’evento, ne offre per così dire la lettura ufficiale. I telegiornali confermano la sera di venerdì scorso quel che si comincia a leggere nei siti internet e nelle agenzie del pome­riggio, quella di Civitanova Mar­che è una storia di esodati, di gente espulsa da ogni reddito per colpa della disattenzione di ministri che hanno riformato le pensioni fa­cendo un pasticcio antipopolare, e l’Huffington Post Italia tit­o­la che la legge Fornero è la causa della doppia impiccagione e del suicidio a mare di Civitano­va, almeno secondo la Cgil. Twitter pullula di cazzoni a 5 e più stelle che fanno risuonare la parola magica dell’esodo coattivo come il bastone che do­vrà colpire ogni inciucio, tecni­co o politico. Tutti i webbisti dei miei stivali si mostrano sicu­ri, come per un riflesso condi­zionato da cani di Pavlov, del fatto che dietro quella tragedia che si dovrebbe rispettare a sangue freddo, a ciglio asciut­to, con emozione seria e non strumentale, si nasconde il dia­volo del governo. Non è vero, non ci sono esodati tra i suicidi. Lo si scopre nella notte, e i gior­nali di sabato mattina, di ieri, almeno a questo punto stanno più attenti. Tuttavia, come hai titolato ieri con greve efficacia: è «strage di Stato». Eppure, per essere sistemati­camente vittime della stessa violenza faziosa (ricordate i moti della Bossi-Fini dei gover­ni Berlusconi?) dovremmo di­re la verità: il concetto di «eso­dati» è un totem ideologico, un gargarismo demagogico usato a piene bocche da politici cini­ci e sprovveduti, il problema è cento volte minore di quanto non si dica, la salvaguardia di chi sia incappato in questioni di raccordo temporale tra pensione e dismissione di un lavo­ro dipendente è amplissima, ma il termine «esodati» e il fatto in sé, la possibilità di addossa­re a una strega governativa la colpa di una sofferenza colletti­va, è irresistibile. È demagogi­camente biblico. Milioni di per­sone sono sistematicamente disinformate, e si bevono la fa­vola della donna cattiva che ha sparso dolore sociale e soffe­renza esistenziale, fino alla ne­gazione della vita, all’annientamento. E a me, scusami caro di­rettore, viene da vomitare. Ezio Tarantelli fu ucciso per­ché­ era critico della scala mobi­le dei salari e lavorava con Bettino Craxi al suo superamento. Roberto Ruffilli perché voleva fare la riforma della Costituzio­ne, la più bella del mondo secondo l’imbonitore Benigni. Poi una lunga teoria di violen­ze che culmina, prima con l’uccisione di Massimo D’Antona, consulente per le riforme del la­voro dei governi di sinistra, e poi undici anni fa con l’omici­dio di Marco Biagi, il giusla­vorista che cercava con go­verni di ogni tipo, ma in parti­colar­e con il team del ministe­ro del Lavoro messo in piedi da Berlusconi e Maroni e Sacconi, la strada giusta per aumentare la base occupazionale del Pae­se e ­farlo uscire da una situazione folle di protezione totale per le generazioni passate e di esclusione sociale per i giovani e le generazioni future. Questo non è un Paese in cui si possa impunemente fare la rima con «cimitero», sia che questa rima nasca da «camerata basco ne­ro» sia che nasca da «ministra Fornero». In dissenso con amicizia
Giuliano Ferrara
PS Ma a parte questo, c’è di più. C’è una professione o una corporazione di professionisti che ha fatto il callo all’uso cini­co della tragedia. Che sa con vo­luttà fare eco a quel balordo di­scorso parlamentare di Di Pie­tro in cui Monti è accusato di aver portato la gente al suicidio. Siamo diventati gente che non ha un punto di vista, anche immoralista se necessario, e dà in pasto all’opinione pubblica solo quello che presumibilmen­te l’opinione gli chiederebbe in funzione di consolazione e di rassicurazione. Ma sì,non c’entra il fatto che la nostra produtti­vità del lavoro è insostenibil­mente bassa, che il debito è for­sennatamente alto, che il welfa­re è generoso come da nessuna parte al mondo, che siamo patri­monialmente uno dei popoli più ricchi d’Europa, più ricchi dei tedeschi. Non c’entra la real­tà delle cose, che le riforme libe­rali dovrebbero contribuire a cambiare, non c’entra la re­sponsabilità della società, dei suoi modelli di risparmio, di investimento e di consumo. C’en­tra l’uomo nero o la donna ne­ra, c’entrano i festini di Berlu­sconi e i banchetti danteschi in cui la signora Fornero spolpa come ossicini i resti dei bravi italia­ni vessati dalle sue leggi. Siamo «tragidiaturi», come dicono in Sicilia, e da bravi canterini non abbiamo il sentimento tragico della vita.