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 2013  aprile 07 Domenica calendario

«NOI INGLESI NON SIAMO CATTIVI EUROPEI»

Agli amanti dei grandi progetti istituzionali, la sua Europa ricorda, probabilmente, "le buone cose di pessimo gusto" care a Guido Gozzano. A nuove strategie epocali per far marciare la bicicletta europea, oppone, così, una trama di misure pratiche per contenere il welfare, ridare concorrenza alle industrie, completare il mercato interno. Il premier britannico David Cameron si barrica dietro le parole d’ordine del pragmatismo anglosassone, un po’ pedante e tanto minimalista, per convincere il mondo che non è anti-europeo, ma è soltanto un europeo diverso. È eccentrico anche come politico, questo premier conservatore di 45 anni, sposato e padre di tre figli, eccentrico, almeno, per i più diffusi standard continentali.
Lo incontriamo, per la prima intervista concessa a un gruppo selezionato di quotidiani europei (Le Monde, El Mundo, Suddeutsche Zeitung, Gazeta Wyborcza e, per l’Italia, il Sole 24 Ore) a Witney, nel suo collegio elettorale dove, da primo ministro, passa almeno due giorni al mese rispondendo alle domande degli elettori. In quattro, ieri, gli hanno chiesto conto del mandato ottenuto grazie al loro voto: il proprietario di un mattatoio con problemi di licenza, un medico che sollecitava chiarimenti professionali, l’abitante di una casa popolare che domandava una sistemazione più adeguata, una cittadina oberata dalle tasse. E Cameron ha regalato una parola per tutti. Non sappiamo se andrà oltre la chiacchiera, ma tanto basta per accendere lampi da antica democrazia fra le colline dell’Oxfordshire, mentre su Londra piovono gli strali per l’ostruzionismo estremo che il Regno Unito impone da anni al cammino dei partner.
Ora sollecitate la revisione delle competenze assegnate dagli Stati nazionali a Bruxelles. Ma Berlino e Parigi hanno detto di no, considerando il tema un problema interno inglese...
È una questione interna, è vero, ma è aperta a chi vuole intervenire. Ci domandiamo quali siano le competenze che funzionano e quali invece non funzionano. La pesca, a esempio, va bene così oppure si può migliorare? È esercizio che nasce da noi, ma se altri vogliono aggiungersi...
Un nuovo, piccolo passo verso l’addio come si prospetta con il referendum sull’adesione che lei ha proposto?
Non è questo che voglio. Mi batto per ottenere la riforma dell’Ue, per il semplice motivo che abbiamo bisogno di un’Europa più aperta, più competitiva, più flessibile che sappia pensare di più ai costi che impone al mondo produttivo a cominciare dalle Pmi. L’Europa deve svegliarsi a un nuovo mondo fatto di accresciuta competizione. In quest’ottica vanno fatte molte riforme. Alcune sono già state adottate, a esempio, sul mercato interno che va, comunque, ancora completato. Abbiamo chiuso il negoziato sul bilancio con un successo, a mio avviso: per la prima volta invece di salire è diminuito. È un progresso perché oggi tutti dobbiamo fare di più con meno, l’Europa non può essere immune.
In realtà lei vuole riaprire i trattati. Ed è una mossa pericolosa...
Sono certo che i trattati saranno cambiati. Sono diventato premier tre anni fa e mi era stato detto che non ci sarebbero state correzioni agli accordi esistenti. Ne ho già viste tre, a una ho posto il veto.
Lei vuole riaprire il trattato di Lisbona...
Quando si avvia una procedura di riforma si aprono tutti. Questo significa cambiare i trattati. Dovrà accadere, quantomeno, per risolvere i problemi dell’eurozona. E se va bene ai Paesi che aderiscono all’euro non capisco perché non debba essere concesso a chi non aderisce alla moneta unica.
Ha qualche suggerimento per i membri dell’eurozona ? In che modo dovrebbero riformarsi?
Non voglio dare consigli, ma per avere una moneta comune di successo devi avere gli elementi tipici di una moneta comune. Ci sono cose di cui una valuta condivisa ha necessità: nel Regno Unito (Galles, Scozia, Irlanda del Nord e Inghilterra, ndr) abbiamo la stessa moneta e gli strumenti necessari. Non voglio aggiungere altro. Sono problemi che riguardano chi ha adottato l’euro, ma questo comporterà la revisione dei trattati estesa anche a chi non usa la divisa comune. Guardiamo al passato recente. Un passo importante nella crisi dell’eurozona sono state le mosse coraggiose adottate dalla Bce sotto la guida di Mario Draghi. Sono sempre stato convinto che l’eurozona avesse bisogno di una banca centrale attiva, credo che l’eurozona abbia ora le necessità delle istituzioni tipiche di una realtà del genere.
E questo darà al Regno Unito la chance di riaprire i trattati...
Non solo al Regno Unito. Lo ripeto, l’Ue deve ritrovare competitività e flessibilità.
La realtà è che l’Europa britannica non va oltre il mercato interno: questo è il senso del suo discorso pronunciato alcune settimane fa...
Non è una riflessione corretta. Il mercato unico è e resta per noi inglesi l’aspetto più importante realizzato dall’Unione. Siamo una nazione di commercianti e siamo convinti che il single market sia una storia di grande successo anche se mancano capitoli importanti come il digitale o l’energia. Ma è sbagliato sostenere che ci interessa solo questo. Chi ha una posizione di leadership nell’Ue affinché sia mantenuto l’embargo all’Iran? La Gran Bretagna. Chi si batte con vigore per garantire sostegno all’opposizione siriana contro il regime di Assad ? La Gran Bretagna. Chi ha immediatamente sostenuto il presidente francese Hollande nella crisi del Mali? La Gran Bretagna. Siamo e restiamo una grande potenza e un grande player europeo. Eppure crediamo che l’Europa abbia esagerato andando oltre il necessario con direttive intrusive e con interferenze. Siamo già in un’Europa flessibile: noi non aderiamo all’euro né a Schengen. Alcuni Paesi hanno voluto l’imposta sulle transazioni finanziarie (Tobin tax), noi no. Non possiamo fare tutti tutto insieme. L’Europa ha più successo se si reggerà sulla forza della flessibilità invece che sulla debolezza dell’inflessibilità.
Lei parla di mercato interno da completare. Ma questo comporta più cooperazione e più regolamentazione...
Non credo ci vogliano regole centralizzate per il mercato interno del digitale o dell’energia, ma ci voglia solo volontà politica. Contesto il principio che sembra diffondersi secondo cui la Gran Bretagna è un cattivo europeo. Adottiamo le direttive nella nostra legislazione e le rispettiamo, siamo contribuenti netti, guidiamo le iniziative di politica estera e cooperazione. Ammetto, talvolta possiamo cedere al dibattito, solleviamo obiezioni prima di adottare misure nuove, ma è sbagliato credere che non diamo contributi.
Eppure, signor Primo Ministro, in questo Paese, a differenza dei nostri, l’Ue è sempre presentata come elemento controverso, di opposizione, non di sviluppo positivo...
Non vorrei che da voi ogni tanto sia sovrastimata l’idea che tutti abbiano una percezione rosea di quanto accade. Siamo scettici nel senso vero del termine, nel senso che vogliamo conoscere i dettagli di quanto ci è proposto. Lo ripeto, però, il migliore risultato in cui sperare è la permanenza britannica in un’Europa riformata. Questo era uno dei due messaggi contenuti nel mio discorso delle scorse settimane. L’altro era la consapevolezza che il consenso per la membership dell’Ue è divenuto impalpabile nel Regno Unito. E un politico, se vuole fare il proprio lavoro, lo deve saper riconoscere, senza nascondere la realtà sotto il tappeto. Per anni, mentre l’Unione cambiava in modo drammatico, sono stati promessi referendum senza mai concederli, questo ha logorato il consenso. E quando c’è un problema il modo migliore per risolverlo è decidere di affrontarlo.
Non teme di passare alla storia come il premier che ha portato Londra fuori dall’Europa?
Altri scriveranno la storia. La cosa importante è dare al mio Paese ciò di cui ha bisogno: la possibilità di aderire a un’Unione riformata.
In un quadro economico non positivo come quello britannico, aggravato dal downgrade delle agenzie di rating, si potrebbe obbiettare che lei stia difendendo in tutti i modi solo gli interessi della City...
Abbiamo tagliato il deficit di un terzo, abbiamo creato un milione di posti di lavoro nel settore privato. La crescita resta deludente. È vero. Ma l’economia va trovando un nuovo equilibrio. Quanto al downgrade è compito delle agenzie. Io posso aggiungere che per noi è essenziale avere credibilità sui mercati per finanziare il disavanzo. E oggi continuiamo a pagare tassi molto contenuti. Sulla City vorrei che si evitasse di pensare solo al Miglio Quadrato di Londra. La Gran Bretagna è responsabile del 40% dell’industria europea dei servizi finanziari. Non farei il mio mestiere se non mi battessi per tutelare questa realtà che è molto importante per il futuro dell’Unione europea. È come se il cancelliere Merkel non avesse a cuore l’industria dell’auto tedesca. Precisato questo, ribadisco che il sistema bancario va regolato e noi lo stiamo facendo con molta più severità di altri.
È sempre convinto, a differenza di Parigi, di voler togliere l’embargo alla vendita di armi ai combattenti siriani anti Assad?
Mi rendo conto, come è stato fatto notare, che le armi possano andare a gente sbagliata. Ma quanto è stato fatto fino ad ora non funziona e non basta. Decine di migliaia di persone sono state uccise da un regime che spara sulla sua gente usando probabilmente armi illegali. Bisogna domandarsi se l’embargo abbia ancora senso.
Potrebbe essere considerato il prologo a un possibile intervento militare diretto in Siria?
No.