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 2013  aprile 07 Domenica calendario

PRESSIONE FISCALE AL 52%, MAI COSÌ ALTA

ROMA Nell’ultimo trimestre del 2012 la pressione fiscale ha raggiunto il 52%, con un aumento dell’1,5 % rispetto al quarto trimestre del 2011, quando era stata pari al 50,5% del Prodotto interno lordo realizzato nello stesso periodo. Il dato, diffuso ieri dall’Istat nel conto trimestrale delle Amministrazioni pubbliche, è il più elevato dall’inizio delle serie storiche trimestrali dell’Istituto.
Gli economisti avvertono che la lettura di questo rapporto va fatta con molta cautela: si tratta di dati non destagionalizzati ed è noto che nel quarto trimestre la pressione fiscale ogni anno sale molto al di sopra della media, anche per via degli effetti dell’autotassazione. L’insieme di imposte dirette, indirette, imposte in conto capitale e contributi sociali, come percentuale del Pil nell’anno 2012 resta a quota 44% del Pil annuo:più o meno quanto era stato comunicato dall’Istat un paio di settimane fa (per l’esattezza allora si trattava di 43,9%) con i dati del conto annuale. E anche questo rapporto medio registra un incremento pari all’1,4% nella pressione fiscale rispetto all’anno 2011.Resta il fatto che in un momento congiunturale così difficile come quello che l’Italia sta attraversando l’idea che gli italiani che pagano le tasse trasferiscono al fisco più della metà del proprio reddito, ha spaventato ieri tutti i protagonisti dell’economia. Tanto più che nell’ultimo scorcio del 2012 è salita anche l’incidenza delle entrate totali, passate al 56,3% del Pil, contro il 54,5% dell’ultimo trimestre del 2011. Nella media del 2012 invece, le le entrate totali hanno fatto registrare un’incidenza sul Pil del 47,7% (46,2% nel 2011) e sono cresciute in termini tendenziali del 2,5% mentre le uscite totali della Pa sono aumentate dello 0,1% e la loro incidenza sul Pil si è attestata al 57,7%.
Reazioni preoccupate sul tema fisco sono arrivate tanto da parte dei sindacati, quanto dei lavoratori autonomi e delle imprese, che devono fare i conti con un total tax rate, (ovvero il carico fiscale complessivo espresso in rapporto ai profitti commerciali) pari al 68,3%, secondo i dati della Banca mondiale, contro una media europea del 44,2. E che, come si sa, versano la più alta aliquota implicita sul lavoro nell’Europa a 27.«La pressione fiscale sta soffocando l’economia reale con gravissimi effetti recessivi e con conseguenze drammatiche sull’occupazione. Ormai – ha detto il segretario della Uil, Domenico Protetti – quasi la metà del reddito di lavoratori dipendenti e pensionati è destinata al pagamento delle tasse ed il dato è in continua crescita». Dello stesso tenore il commento del segretario confederale della Cgil, Danilo Barbi, secondo il quale si potrebbe «compensare abbassando le tasse sul lavoro e sulle imprese che investono intervenendo, almeno come negli altri paesi europei, sulle rendite finanziarie». Preoccupata anche la valutazione di Confcommercio: «Imprese e famiglie da troppo tempo sopportano una pressione fiscale tra le più alte in Europa ed è questo il motivo per cui si sono ridotti i consumi, le imprese chiudono, gli investimenti si sono drasticamente ridotti», sostengono i commercianti. «Le prospettive di ripresa dell’economia, dunque, sono del tutto inconciliabili con l’attuale livello della pressione fiscale» e quindi «l’idea di passare dall’austerità alla crescita si deve tradurre in concreti e immediati provvedimenti per rimettere al centro dell’economia l’impresa, l’occupazione e il rilancio della domanda interna. E il primo passo – conclude la nota di Confcommercio – è certamente quello di evitare il previsto aumento dell’Iva di luglio».
Va detto, però, che la preoccupazione per il peso del fisco ha finito con il mettere in ombre i pur notevoli dati positivi sulla finanza pubblica diffusi dall’Istat.Infatti, al netto delle operazioni sui derivati che hanno inciso per poco meno di due miliardi, l’indebitamento netto del 2012 risulta pari al 2,9% del Pil e mostra un miglioramento di 0,8 punti percentuali, mentre il saldo primario positivo lo scorso anno è stato pari al 2,5% con un aumento di 1,3 punti percentuali rispetto al 2011. Considerando anche lo swap, si arriva invece a quel disavanzo del 3% già comunicato e valido ai fini della notifica dei parametri di Maastricht.