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 2013  aprile 09 Martedì calendario

SIAMO TUTTI CANNIBALI PAROLA DI LÉVI-STRAUSS

Mettete il più grande antropologo di tutti i tempi a ragionare sul presente senza tabù e senza pregiudizi. Con la lucidità spiazzante di un Montaigne e il fervore dissacrante di un Rousseau. E viene fuori che
siamo tutti cannibali.
È questo il titolo provocatorio dell’ultimo libro di Claude Lévi-Strauss. Uscito in questi giorni in Francia per i tipi di Seuil (Nous sommes tous des cannibales,
Seuil, pagg. 273, euro 21). Sedici saggi che il padre dello strutturalismo ha dedicato alla società contemporanea. I testi sono inediti per la Francia, ma noti ai lettori di
Repubblica.
Che hanno avuto il privilegio di leggerli in anteprima tra il 1989 e il 2000, dominato dall’incubo della mucca pazza.
Il profeta dell’antropologia, scomparso nel 2009 all’età di 101 anni, non amava scrivere per i giornali. Ma si lasciò tentare dalle domande di questo giornale che lo sollecitò a pensare sui temi cruciali del nostro tempo. Il risultato è una summa antropologica dell’Occidente contemporaneo. Dalle questioni etiche e razziali sollevate dall’infibulazione ai problemi del multiculturalismo. Dal relativismo culturale, di cui Lévi-Strauss indi-
ca lucidamente pregi e difetti, alle pratiche della fecondazione assistita. Fino al funerale di Lady Diana, in cui il maestro indiscusso degli studi sulla parentela legge l’irrituale esternazione del fratello della principessa infelice. Che nella sua commemorazione rivendicava il diritto di proteggere i nipoti dal padre e dalla famiglia reale. Nella polemica esternazione del conte Spencer sarebbe riaffiorato, infatti, l’antico ruolo tutoriale dello zio materno che la nostra cultura sembrava aver dimenticato.
In ogni caso su qualsiasi oggetto si poggi, lo sguardo di Lévi-Strauss è implacabile e corrosivo. E perfino sovversivo quando affronta senza ideologia, ma con rigore entomologico, questioni come le nuove frontiere aperte dall’ingegneria genetica. Che applicate alla fecondazione eteroclita spostano la soglia tra natura e cultura, ponendo problemi sociali e morali che hanno un’eco nella coscienza collettiva e nell’economia politica dei sentimenti.
Nella Francia di questi giorni divisa dalla nuova legge sul matrimonio per tutti, che estende di fatto i diritti sull’adozione e sulla procreazione anche alle coppie omosessuali, le pagine di Lévi-Strauss assumono un valore anticipatore. Anche perché egli guarda la nostra società da lontano, mostrando come altre culture hanno sempre immaginato la genitorialità biologica come qualcosa di assolutamente distinto dalla paternità e maternità. Che invece sono ruoli sociali in continua ridefinizione. E che non hanno necessariamente a che fare con la consanguineità. Ricorrendo a numerosi esempi etnologici, l’autore di Tristi Tropicismentisce
l’idea che esista una forma di famiglia naturale. Tra i popoli nilotici dell’Africa e quelli della Nigeria per esempio, se una donna è sterile viene considerata socialmente un maschio. Per cui può sposare un’altra donna e diventare “padre” dei figli che la sua metà genera con un donatore di seme. Insomma se da noi il giudice, il legislatore, il moralista sono spaesati dall’idea di una virtualità genitoriale infinita, l’antropologo non lo è per niente. Anzi, afferma con decisione Lévi-Strauss, è il solo ad avere gli strumenti per capirci veramente qualcosa. Perché le culture studiate dagli etnologi hanno affrontato in anticipo queste questioni. E pur senza la fecondazione assistita hanno da sempre immaginato degli equivalenti metaforici. Come dire che gli uomini hanno già sperimentato tanti modi diversi di essere genitori. In questo senso gli altri hanno qualcosa da insegnarci.
Anche sul cannibalismo, antico fantasma dell’Occidente, l’argomentazione levistraussiana dà le vertigini. Perché porta alle estreme conseguenze il celebre saggio sui cannibali di Montaigne dimostrando che la questione tocca molto da vicino anche noi. Se antropofagia è mettersi l’altro in corpo, allora c’è una sorta di cannibalismo terapeutico anche nei trapianti di organi. O in certe terapie a base di ormoni estratti dalle ipofisi. O innesti di membrane provenienti da cervelli umani. Quelle che furono all’origine dell’epidemia di Creutzfeldt-Jacob. E che secondo il Nobel per la medicina Carleton Gajdusek scatenarono un morbo dagli stessi sintomi tra i cannibali della Nuova Guinea, abituati non a caso a mangiare i cervelli dei nemici.