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 2013  aprile 07 Domenica calendario

MARÒ, ECCO LE COLPE DEL COMANDANTE DELLA LEXIE


Riletto con calma, il rapporto dell´ammiraglio Alessandro Piroli sull´incidente della Enrica Lexie è un testo approfondito, dettagliato, ma soprattutto intelligente. Piroli (che non è la fonte che ha illustrato il testo a Repubblica) mette in fila i brandelli di informazione disponibile, ragiona sulla concatenazione degli eventi e difende fino al limite del ragionevole la tesi difensiva dei due marò. Ma non trascura di citare elementi che concorrono non tanto a individuare una possibile colpa di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Sono invece elementi che, se considerati sin dall´11 maggio del 2012, potevano offrire al Ministro della Difesa, a quello degli Esteri e allo stesso presidente del Consiglio informazioni preziose su un fatto che l´Italia ha profondamente deformato. L´India aveva ed ha mille ragioni politiche e giudiziarie per ritenere di essere nel giusto. La stessa inchiesta sommaria della Marina italiana rileva chiaramente che ci sono molti elementi che permettono all´India di credere che i due marò possano aver ucciso Valentine Jelestine e Ajiesh Pink. La verità ha molte facce.
Vediamo. L´Inchiesta difende quasi acriticamente il comportamento del Nucleo militare che interviene il 15 febbraio 2012 a protezione della Lexie. Ma, per esempio, individua una serie di pesanti anomalie nel comportamento del comandante della petroliera, anomalie che non solo evidenziano il mancato rispetto delle procedure previste in caso di sospetto attacco di pirati, ma possono aver contribuito a rendere più caotico l´intervento dei marò. È scritto nell´Inchiesta: «Il comandante di N. Lexie ha messo in atto solo una parte delle azioni di difesa passiva raccomandate per evitare l´attacco di pirati. Si è limitato ad incrementare la velocità (di un nodo) senza manovrare per modificare la cinematica di avvicinamento, azionando i fischi e le sirene solo nella fase terminale dell´azione».
Le procedure prevedono invece che la nave cambi velocemente e in maniera repentina rotta, e continui con variazioni di rotta per contrastare una eventuale rotta di attacco o comunque per segnalare il pericolo di una possibile collisione. L´inchiesta aggiunge che «tra la nave e il Nucleo sono probabilmente mancate più stringenti forme di coordinamento per la gestione unitaria dell´evento e l´individuazione delle migliori cinematiche/soluzioni da porre in essere». Nostra interpretazione arbitraria: se la nave avesse cambiato rotta, se si fosse addirittura allontanata dal St. Anthony, i militari avrebbero avuto più tempo e più lucidità per valutare e reagire con correttezza.
Altra critica: «Si sarebbe potuto anticipare l´uso delle sirene di bordo, nonché fare ricorso a getti d´acqua ad alta pressione. Inoltre sarebbe stato opportuno ricercare un contatto radio con l´imbarcazione sul canale VHF di emergenza (il canale 16, ndr) quantomeno per dirimere i dubbi sulla cinematica», ovvero sulle rotte seguite dalle due unità. «In definitiva la nave con i suoi mezzi avrebbe potuto attuare migliori forme di coordinamento e supporto all´azione di contrasto della pirateria».
L´inchiesta valuta poi il comportamento del peschereccio St. Anthony (fra l´altro dedicato a Sant´Antonio perché i pescatori erano cattolici): «Il natante proveniva da lato dritto della Lexie, pertanto aveva diritto di precedenza (…) È singolare, oltre che estremamente pericoloso, che pur avendo diritto di precedenza, una piccola imbarcazione facilmente manovrabile rimanga su rotta di collisione di una petroliera fino a una distanza inferiore ai 100 metri». Il rapporto conclude sostenendo che «la manovra posta in essere dal natante che non ha alterato gli elementi del moto nonostante gli avvertimenti ottici e acustici nonché quelli a caldo (colpi di avvertimento) unitamente all´avvistamento di personale armato a bordo sono stati percepiti dal team come minaccia per la nave e il suo equipaggio». Nel suo ragionamento, l´ammiraglio Piroli arriva ad ipotizzare che il St. Anthony possa essere stato utilizzato per operazioni sia di pesca che di pirateria: possibile, anche se poco probabile, perché una volta arrivato in porto al comandante del St. Anthony viene permesso di vendere ben 1.300 chili di pesce prima che il peschereccio venga sequestrato.
Un altro dubbio che per giorni ha intralciato la ricerca di una ricostruzione verosimile dell´incidente è stato quello alimentato ripetutamente da fonti italiane. I fucilieri dichiarano alla polizia indiana e agli investigatori di non riconoscere il St. Anthony come la barca contro cui hanno sparato. Ma nell´inchiesta sommaria c´è un capitolo rivelatore: «Comparazione natante sospetto/ motopesca St. Anthony», in cui sono accluse una foto del St. Anthony fermo in porto dopo il sequestro della polizia indiana e una delle poche foto scattate da bordo alla fine dell´incidente mentre il peschereccio si allontana. Viste di poppa le due barche sembrano simili, e infatti la relazione non lo nasconde: «È possibile osservare una sostanziale coerenza fra le descrizioni del natante coinvolto nell´evento Lexie e il St. Anthony, ovvero tipologia dell´imbarcazione, dimensione e colorazione». Ancora: «Il confronto fra le fotografie repertate durante l´evento del 15 febbraio con quelle scattate durante la ricognizione del 26 febbraio mette in evidenza una sostanziale compatibilità fra i mezzi raffigurati».
Non è una prova di colpevolezza per nessuno, ma è una ennesima indicazione che nessuno nel governo ha mostrato di tenere nel giusto conto dal punto di vista politico. Il peschereccio era quello, il comportamento della Enrica Lexie non è stato adeguato a prevenire in maniera pacifica un possibile abbordaggio. Tutto congiurava e congiura perché l´India ritenga di essere nel giusto, e pretendesse con forza di giudicare i 2 fucilieri che l´Italia ritiene semplicemente innocenti.