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 2013  marzo 01 Venerdì calendario

ADDIO AL PONTE SULLO STRETTO. UN SOGNO COSTATO 300 MILIONI —

Addio al ponte di Messina. Dopo oltre trent’anni dalla prima ipotesi e oltre 300 milioni di euro spesi dal 2001, il contratto per realizzare il progetto più contestato d’Italia oggi a mezzanotte dovrebbe decadere, e la società Stretto di Messina spa essere avviata alla liquidazione: tranne imprevedibili colpi di scena dell’ultima ora, visto che il consiglio di amministrazione della società, riunitosi ieri, è stato riconvocato per domani.
È il ministro allo Sviluppo economico ad annunciarlo, pur tra le righe: «Ci si è dati quattro mesi, cioè fino al 1° marzo, per riformulare l’accordo con il contraente generale e purtroppo per ora non ci sono stati segnali concreti», ha spiegato Passera e «di conseguenza, accadrà quanto previsto dalla legge». Ovvero, decadrà il contratto tra il contraente generale, Eurolink (un’associazione di imprese dove Impregilo ha il 45%), e la Società stretto di Messina (all’81,8% controllata da Anas, il cui socio unico è il ministero dell’Economia): un’operazione che dovrebbe costare allo Stato 45 milioni, e non i 312 milioni di penale massima previsti dal contratto. E a cui vanno aggiunte le spese per liquidare la Stretto di Messina spa, che attualmente ha 43 dipendenti e un ufficio a Termini che costa 600 mila euro all’anno. I tempi? Secondo la legge, il ministero dell’Economia dovrebbe approvare «celermente» uno schema di decreto per porre la società in stato di liquidazione in modo che venga nominato un commissario, che entro un anno dovrebbe portare a termine l’operazione.
Ma perché il 1° marzo? La scadenza a cui fa riferimento Passera è quella fissata da un decreto del 2 novembre scorso, quando il governo Monti stabilì che, alla luce «dell’attuale condizione di tensione dei mercati finanziari internazionali», come scrive Passera nella relazione al Consiglio dei ministri, il progetto del ponte andava rivisto e che quindi le due parti, Eurolink e Stretto di Messina spa, dovevano entro il 1° marzo firmare un accordo per avviare il processo di revisione, da concludere entro un anno e mezzo. Ma il governo metteva anche un paletto: in caso di stop al ponte, lo Stato non avrebbe dovuto pagare la maxi penale ma solo le spese per i progetti più il 10%. Una clausola che non è piaciuta a Eurolink, che ha annunciato di voler rescindere il contratto. Stretto di Messina spa si è opposta, Eurolink ha fatto ricorso al Tar. Il ponte insomma è finito sui banchi dei giudici amministrativi, che non hanno ancora deciso. Invano è stato chiesto un rinvio al 1° marzo. Il governo ha chiaramente fatto capire che, per prorogare i termini, dovrebbero verificarsi «novità significative», «costituite principalmente dalla revoca del recesso da parte del Contraente generale con la conseguente rinuncia del giudizio». Poiché Eurolink non si è tirata indietro, almeno fino a ieri, le cose vanno avanti, e il governo ritiene la partita del ponte chiusa.
Non come i 40 ingegneri che hanno firmato l’appello a pagamento di mercoledì sul Corriere della sera: «Il Ponte è pronto ad essere costruito. Il progetto è stato sviluppato in dettaglio, controllato e verificato. Decidere sulla sua fattibilità ora spetta alle autorità del governo italiano». Una posizione fortemente contestata dalle associazioni ambientaliste Fai, Italia Nostra, Legambiente Man e Wwf: «Un’opera tecnicamente irrealizzabile che costerebbe 8,5 miliardi — scrivono — Un ponte sospeso, ad un’unica campata di 3,3 km di lunghezza, sorretto da circa 400 metri di altezza, in una delle aree a più elevato rischio sismico del Mediterraneo».
Valentina Santarpia