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 2002  ottobre 03 Giovedì calendario

INTERVISTA A ACHILLE OCCHETTO DI CLAUDIO SABELLI FIORETTI DEL 2002

Se ne è andato nel Gruppo Misto del Senato e aspetta. Achille Occhetto, l’uomo della storica svolta della Bolognina, senza la quale oggi non ci sarebbe in Italia un partito erede del Pci, ne è sicuro. «Io non sono scappato», dice. «Sono solo andato avanti, ad aspettare che si facesse il gruppo dell’Ulivo. Dovranno venire tutti qui, è inevitabile». E intanto guarda dall’alto della sua torre d’avorio quello che succede nel turbolento mondo della sinistra, da Cofferati ai girotondi, dai no-global agli ulivisti. «La sinistra era finita in un pantano totale. Encefalogramma piatto», dice. «Solo i girotondi e le iniziative di Cofferati le hanno consentito una flebile ripresa».

Senatore, ma la politica si fa in Parlamento o nelle piazze?
«Dall’alto della torre d’avorio sulla quale lei mi ha collocato mi metto a ridere. Queste cose ce le insegnavano nelle scuole di partito negli anni Cinquanta. Normali nozioni di grammatica e di sintassi politica che gli attuali dirigenti dei Ds non dovrebbero avere dimenticato. In uno Stato democratico i cittadini hanno diritto di fare politica dove vogliono. Solo i liberali-conservatori ritengono che la piazza di per sé sia colpevole, quasi un atto di violenza».

Mentre i comunisti?
«I comunisti, i socialisti, più semplicemente i liberali-democratici prevedono, desiderano ed auspicano la partecipazione, la militanza, la presenza democratica. Il fatto che oggi si dimentichi anche questo dimostra a quale obnubilamento, a quale arretramento culturale sono arrivati i gruppi dirigenti della sinistra».

Questo movimento le piace.
«Questo movimento è una Grande Sveglia. Che dice alla sinistra: "Non ci fidiamo più delle vostre manovre politiche". Vediamo se qualcuno riesce a tradurre la Grande Sveglia in un progetto».

Chi le piace? Moretti? Flores? Pardi?
«Mi ha colpito la capacità di intervento e di militanza del gruppo dei professori fiorentini».

D’Alema dimostrò coraggio ad affrontare le loro critiche pubblicamente, ricorda?
«Ricordo che lui non se l’aspettava. E che non ha avuto il coraggio di tenere conto delle critiche».

Cofferati le piace?
«È un delitto assurdo che si faccia a gara a chi lo abbatte per primo».

Lo criticano per l’attesa messianica: scende in campo o non scende in campo?
«Critica inventata da chi ha poco da dire. È il capo della Cgil. Deve diventare un deputato di provincia? Se c’è bisogno di lui va bene, altrimenti torna alla Pirelli».

La Bolognina aveva rilanciato la sinistra. Com’è che siamo arrivati così in basso?
«È colpa dei tre peccati capitali commessi: avere indebolito l’Ulivo, aver imposto D’Alema invece delle elezioni anticipate, aver voluto fare della Bicamerale il trampolino di lancio di Berlusconi».

I tre peccati capitali di D’Alema.
«D’Alema non era solo».

Chi erano gli altri?
«Quasi tutti tranne una scarsa minoranza. Ma anche la scarsa minoranza ha avuto colpe. Ogni volta che D’Alema si dichiarava "quasi ulivista", la scarsa minoranza si commuoveva. I comunisti non hanno abbandonato la vecchia abitudine di ubbidire».

Ha detto comunisti. In Italia lo dice solo Berlusconi.
«Ho detto comunisti perché per essere qualcosa di nuovo bisogna meritarselo».

Molti dicono che solo un pazzo poteva fare una cosa così giusta come quella che ha fatto lei. Mandare in soffitta nome, bandiera, simbolo del Pci.
«Lo dicono quelli che poi hanno utilizzato la mia follia. Sono andati al governo, sono diventati ministri anche se erano stati contrarissimi alla svolta della Bolognina».

Chi per esempio?
«Livia Turco aveva il mal di pancia. Molti avevano il mal di pancia. La mia pretesa follia la utilizzavano per crearmi vuoto attorno».

Dopo la Bolognina, due grandi congressi.
«A Bologna nel ’90, il più bello, quello dove si discusse del cambiamento del nome, la prima volta che si presentarono le correnti in un Partito comunista. Ricordo Craxi che saltellava qua e là, si divertiva come un pazzo, mandava bigliettini a tutti».

Poi quello di Rimini. Un po’ meno bello per lei. A sorpresa non venne eletto segretario.
«Un trucco organizzativo. La maggioranza la ottenni. Mancò il quorum. Il quorum era facile sottrarlo con qualche giochetto».

Tipo?
«Tipo dire alla gente di andare via».

E la gente se ne è andata.
«Un quorum così alto è stato inventato solo per me, e tolto subito dopo».

Perché l’hanno fatto?
«Non pensavano di non farmi eleggere. Pensavano di farmi eleggere male. Per potermi condizionare. E poi, come dice il detto popolare, troppa grazia Sant’Antonio».

E Sant’Antonio chi era?
«Non ho le prove e non lo dico».

Lei disse: cercatevi un altro segretario.
«Non esattamente. Tutti mi correvano dietro dicendo che era una questione tecnica. E io dicevo che no, era una questione politica e che dovevano risolverla».

Era D’Alema che le correva dietro?
«Vorrei evitare di parlare di D’Alema».

Nei suoi libri l’ha sempre trattato malissimo.
«Diciamo che se i suoi colleghi che lo intervistano lo trattassero bene come lo tratto io, ne verrebbe fuori meglio».

Adesso lei è nel Gruppo Misto.
«Ho chiesto di stare nel gruppo dell’Ulivo e mi hanno detto che il gruppo dell’Ulivo non esiste. Allora ho detto: mi metto nel Gruppo Misto con la denominazione Libertà e Giustizia per l’Ulivo. E li aspetto».

Non arriva nessuno.
«Arriveranno. Dicono tutti le cose che dico io da dieci anni».

Si sente abbandonato?
«Ci sono cose che non capisco».

Tipo?
«Non capisco come facciano ad accantonare il problema. Io so che sono presente. Non dico che si può dire di me: "Achille vive e lotta in mezzo a noi". Però tutti sanno che ci sono. Come mai non viene in mente a nessuno il mio nome quando si propongono incarichi che hanno valore di testimonianza di ciò che una persona ha fatto? Sono tutte cose che non vorrei fare, e quindi non sono proposte su cui mi aggancio, tipo il Consiglio superiore della magistratura. Ma non c’è mai stata nemmeno quell’attenzione minima che il Partito comunista ha sempre avuto nei confronti dei personaggi scomodi».

Un riconoscimento?
«La cosa più ovvia: alla persona che ha fatto l’atto più importante per salvare la sinistra in Italia non poteva essere proposta la presidenza onoraria del partito della sinistra? Ci stava tutta. Dico: onoraria».

Il suo impegno politico nasce nella tradizione del comunismo torinese?
«Calvino, Cesare Pavese che mi correggeva i compiti. Casa mia era la sede della sinistra cristiana. L’ambiente era quello dell’Einaudi, un mito, la sinistra moderna, nuova, non solo comunista. Quando feci la svolta della Bolognina pensavo proprio a quei tempi, quando a casa mia arrivavano i partigiani cattolici, quelli comunisti, quelli socialisti e quelli del Partito d’azione. Stavano insieme».

L’Einaudi oggi è di Berlusconi.
«Un dolore straziante. Un misto tra la tragedia e la beffa. Grottesco e tragico. È come se il Vaticano fosse in mano ai comunisti cinesi».

Scuola?
«Liceo classico a Milano, dove ci eravamo trasferiti. Studi disordinati e discontinui. Meglio l’università, filosofia alla Statale».

Politica attiva?
«Nella Fgci. Diventai uno dei leader nazionali degli universitari italiani. Feci l’alleanza con i radicali per impedire a Craxi di diventare presidente dell’Unuri».

Molti dei suoi compagni di lotte studentesche oggi stanno dall’altra parte.
«È sempre successo. A partire da Alcibiade, che era stato coi greci, poi coi macedoni, poi con gli spartani, poi di nuovo coi greci».

Il voltagabbana Alcibiade.
«Cambiare idea non è reato, ma si ha l’onere della prova, bisogna spiegare qual è il percorso intellettuale, morale e politico. In alcuni casi si passa dall’altra parte per dispetto, per una disillusione personale, per i vezzeggiamenti dei nuovi amici. C’è sempre qualche avversario che sa innaffiare e coltivare un "io" ferito».

I casi più clamorosi?
«Io non li ho seguiti molto questi voltagabbana. Che giustificazione ha dato Adornato?».

Sia lui che Renzo Foa dicono che non sono mai stati veri comunisti. Adornato dice che era democratico-radicale.
«Foa ha ragione. Ma Adornato assolutamente no. Lo ricordo ingraiano. La sua spiegazione non è sincera. Il suo movimento, Ad, si collocava a sinistra».

Nel Pci c’era anche Brandirali. Poi è diventato filocinese. Poi Cl, poi Forza Italia.
«L’ho espulso io dal Pci. Era troppo di sinistra. Lo avevo conosciuto durante le grandi lotte dei metalmeccanici, nel ’60, davanti a una fabbrica, alle 6 del mattino. Era un vero capopopolo naturale. Gli chiesi che cosa aveva letto. Rispose: "Tutto Il capitale". Gli dissi: "Non mi raccontare palle". Si mise a ridere».

A lei piace Berlusconi?
«Non è l’uomo dei miei sogni».

Gli riconosce dei pregi?
«Ha avuto una sua bravura. È stato bravo a trovare amicizie molto influenti che gli hanno dato la possibilità di stare sul mercato in modo più protetto di altri. A proposito di liberismo».

Lo ha mai incontrato?
«Certo. Veniva spesso da me a perorare la sua causa».

Che cosa voleva?
«Veniva a spiegarci che le sue televisioni erano importanti, che dava lavoro a tanta gente, che serviva alla democrazia. Con atteggiamento molto ossequioso spiegava che era legato ai socialisti, ma che se noi gli avessimo riservato un occhio di riguardo era disposto anche a trattare con noi».

Che cosa è l’adulazione secondo lei?
«Far credere di considerare una persona più di quel che è. Per trarne benefici, benevolenza o anche solo per vivere in pace».

Si è mai sentito adulato?
«Quando mi sono fatto crescere la barba i miei amici mi hanno detto che stavo molto bene. Mi hanno anche detto che se avessi avuto questo look prima avrei avuto più successo».

C’è adulazione a sinistra?
«L’adulazione non ha confini. Le corti comuniste erano piene di adulatori. Togliatti ne era circondato».

Il professor Barbagallo ha criticato lo staff di D’Alema, poca democrazia, molta adulazione.
«Sinceramente, non lo so. So solo che questo staff quando doveva colpire, colpiva con durezza».

Colpiva anche lei?
«Un anno dopo le mie dimissioni Claudio Velardi andava in giro a dire ai giornalisti: "Parlate ancora con quello lì? Non avete capito che Occhetto è un pazzo?"».

Quando Craxi fece il famoso discorso in Parlamento sul finanziamento illecito dei partiti e chiese di alzarsi in piedi a quelli che come lui sapevano, lei rimase seduto?
«Io mi ero alzato in piedi prima di lui. Quando ci fu il primo caso di un nostro compagno inquisito, andai alla Bolognina per la seconda volta e chiesi scusa agli italiani. E per questo presi anche qualche legnata dal partito. Quando qualcuno del partito dice adesso che abbiamo sbagliato a non alzarci in piedi, io gli ricordo che per poco non mi avevano lapidato quando mi ero alzato in piedi io».

Lei ha conosciuto i vecchi leader, Napolitano, Natta, Pajetta, Togliatti, Amendola, Ingrao, Berlinguer. Chi le piaceva di più?
«Io facevo le imitazioni, le mie imitazioni erano famosissime. Alla fine del dodicesimo congresso, quando fu eletto Berlinguer, andammo tutti in trattoria, Berlinguer mi chiese di fare le imitazioni di tutti. Ridevano come pazzi. "E la mia non la fai?", mi chiese. Io gli risposi: "Aspetta, sei appena stato eletto". Ma non sono mai riuscito a farla. Era difficile. Sembrava l’imitazione di un sardo qualsiasi. Mi chiamò perfino Noschese una volta per chiedermi consiglio. Niente. Né io né lui siamo mai riusciti a fare l’imitazione di Berlinguer».

Non mi ha detto a chi andava la sua simpatia.
«Con tutti ho avuto a che ridire. Però ho avuto una fortissima simpatia per Pajetta».

Lei come si collocava nel partito?
«Io mi dichiaravo convinto togliattiano. Togliattiano di sinistra. Ma politicamente mi sentivo vicino ad Ingrao. Non ho mai capito perché Ingrao non abbia aiutato la svolta sia pure da sinistra. Se lo avesse fatto avrebbe impedito che la svolta fosse travolta da metodi tendenzialmente craxiani».

Dei dirigenti di oggi che cosa pensa?
«No, su questi non posso».

Un po’ di coraggio.
«Gliene ho già dette di tutti i colori, non è neanche elegante».

Quando la base indicò Veltroni come segretario del partito e il consiglio nazionale scelse D’Alema, lei disse: «Veltroni si è venduto per un piatto di lenticchie».
«Veltroni avrebbe dovuto mantenere fermo lo schieramento alternativo che l’aveva votato e che era forte. E invece cedette a un’idea pattizia interna al gruppo dirigente».

Dall’alto della sua torre d’avorio, gettiamo giù un po’ di gente. Mentana o Mimun?
«Mentana è più bravo, però è più pericoloso».

Uno bravo e pericoloso si salva o si butta?
«In certi casi è meglio uno bravo e pericoloso che uno stupido».

Mimun è stupido?
«No, anzi».

E allora?
«Buttiamo Mentana».

Feltri o Belpietro?
«Feltri».

Perché?
«Perché lo conosco. È meglio buttarlo».

Cofferati o D’Alema?
«Ça va sans dire».

Butta D’Alema?
«La mia risposta è: ça va sans dire».

Fini o Bossi?
«Butto Bossi: così la smette di decidere lui se deve vincere il centro-destra o il centro-sinistra».

La Santanché o la Mussolini?
«La Santanché chi è?».

Lasciamo perdere.
«Salviamo la Mussolini. È una vera popolana napoletana simpatica».

Cossiga o Scalfaro?
«Cossiga bisogna per forza salvarlo, altrimenti fa casino».

Una volta la definì «uno zombie coi baffi».
«Poi mi ha chiesto scusa. Sua figlia lo sgridò. Gli telefonò: "Che cosa penseresti se qualcuno trattasse così male tuo figlio?". Comunque io chiesi il suo impeachment. Uno a uno?».

Pirani o Maltese?
«Salvo Maltese. Anche quando nessuno aveva capito come andavano le cose ha continuato a mantenere una posizione critica sui limiti del centro-sinistra».

Chi non le piace nel suo partito?
«Perché mi fa questa domanda? Faccio fatica a trovare qualcuno che mi piaccia».

Qual è il giornale che legge di più?
«Il Financial Times».

Quello che non riesce a leggere?
«Non lo dico: una volta la Repubblica era splendida. Capiva. Ai tempi della svolta capì quali erano i veri obbiettivi e le prospettive storiche».

Un giornalista che piace?
«È pericoloso indicare un giornalista preferito. Gli altri ti diventano subito nemici. Una volta dissi che era Francesco Merlo. Si sono incazzati tutti. Quando entravo in sala stampa non mi salutavano più. Non lo farò mai più questo errore».