Rosaria Talarico, La Stampa 13/1/2011, 13 gennaio 2011
Ce n’è di che fare impazzire anche il più volenteroso dei funzionari. Sono 129 le banche dati censite nella relazione finale della Commissione bicamerale per l’anagrafe tributaria
Ce n’è di che fare impazzire anche il più volenteroso dei funzionari. Sono 129 le banche dati censite nella relazione finale della Commissione bicamerale per l’anagrafe tributaria. Un mare magnum in cui si trova di tutto: dai data base su giochi e lotterie alle mappe catastali. Il punto è che l’amministrazione pubblica non sempre riesce a sfruttare adeguatamente questo tesoro informativo. Si è tanto favoleggiato di Serpico, il cervellone dell’Agenzia delle entrate che incrocia i dati dei contribuenti a caccia degli evasori. Ma il problema dei data base che non parlano la stessa lingua è ben lungi dall’essere risolto. “Nonostante i progressi fin qui compiuti sul piano dell’informatizzazione – si legge nel testo finale – restano ancora alcuni nodi operativi da sciogliere, al fine di poter utilizzare pienamente le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Il contrasto all’evasione/elusione fiscale richiede infatti la massima circolarità delle informazioni fra i diversi enti”. Più facile a dirsi, che a farsi. I problemi derivano non solo dalle diverse architetture informatiche con cui sono costruiti i data base, ma anche dalla mancanza di criteri omogenei nella raccolta e classificazione dei dati. Che sono inutili se non dialogano tra loro. Le informazioni parcheggiate in una banca dati sono inutili se non immesse in circolo. La Commissione a tale proposito auspica “una semplificazione del sistema e dei relativi adempimenti” che porterebbero anche a sensibili economie nella gestione dei dati. Senza considerare che lo snellimento delle procedure di per sé è una garanzia contro chi approfitta in maniera fraudolenta della complessità della burocrazia. Nelle conclusioni la Commissione chiede di valutare «anche a livello legislativo tutte le iniziative che possano rafforzare la collaborazione tra tutte le amministrazioni interessate, anche attraverso un ulteriore rafforzamento delle strutture informatiche e delle interoperabilità tra le banche dati». Questa la sintesi delle 180 pagine della relazione a cui si è arrivati dopo 4 anni di lavoro, acquisizione di documenti, 63 ore di riunioni e un centinaio di audizioni. Il dossier elaborato dalla Commissione presieduta da Maurizio Leo (Pdl) verrà presentato il 16 gennaio. Una delle questioni su cui si sofferma il rapporto è quello del codice fiscale. L’aumento dei codici in circolazione (quasi 120 milioni, tra persone fisiche, soggetti deceduti e partite iva) e degli stranieri che ne fanno richiesta ha portato ad avere alcuni «aspetti critici». Uno di questi è “l’omocodia” (non una malattia, ma la generazione di un medesimo codice fiscale pur in presenza di due soggetti diversi). Un fenomeno che riguarda 28 mila casi, in cui la stringa è la stessa. Insomma il codice alfanumerico di 16 caratteri legato ai dati anagrafici non sarebbe più sufficiente a identificare con certezza una persona. Per questo l’Agenzia delle Entrate insieme alla Sogei stanno studiando una possibile riforma ed hanno identificato «una possibile alternativa di codifica che renderebbe il codice solo parzialmente generato da dati anagrafici». Ma per la Commissione Anagrafe tributaria presupposto di tale soluzione è la coesistenza dell’attuale struttura con l’eventuale futura codifica da adottarsi per i nuovi soggetti da registrare». Sarebbe infatti «improponibile per tutto il sistema, e per gli stessi cittadini, la conversione dei codici attualmente esistenti, conosciuti, utilizzati e incardinati in ogni procedimento pubblico o privato inerente il soggetto, con i nuovi». L’evasione in Italia ammonta a 120 miliardi di euro l’anno. Per combattere l’economia sommersa un altro strumento utile è la limitazione dell’uso del contante. Nella relazione si legge che su questo fronte l’Italia è la Cenerentola d’Europa, con le sue 68 transazioni all’anno pro-capite attraverso carte elettroniche rispetto all’area euro (che conta in media 182 operazioni). Il documento fa i conti anche sulle case e calcola che dagli immobili arrivano 41 miliardi di euro all’anno, quasi la metà dall’Imu. Circa il 97% del gettito da immobili è prodotto da pochi tributi: Imu, Irpef, Iva, imposta di registro, Tarsu o Tia (sostituite da quest’anno dalla Tares), imposta ipotecaria e catastale e imposte sul consumo di energia elettrica.