Lucio Caracciolo, la Repubblica 13/1/2011, 13 gennaio 2011
La Francia di Hollande, che si accinge a lasciare l´Afghanistan dopo un´ingloriosa campagna di fiancheggiamento degli Stati Uniti, scopre il suo mini-Afghanistan: il Mali
La Francia di Hollande, che si accinge a lasciare l´Afghanistan dopo un´ingloriosa campagna di fiancheggiamento degli Stati Uniti, scopre il suo mini-Afghanistan: il Mali. Vasto quanto poverissimo spazio sahariano-saheliano (quattro volte l´Italia, un quarto della nostra popolazione), di fatto privo di autorità statuale, infiltrato da gruppi di terroristi narcotrafficanti, tormentato da ricorrenti carestie e solcato da imponenti migrazioni. Un altro "Stato fallito", trampolino per il terrorismo islamico? Così pensa Hollande, che lo ha già ribattezzato "Africanistan". Da venerdì mattina l´aviazione francese sta martellando jihadisti e altri ribelli del Nord in avanzata verso la pur lontana capitale Bamako, mentre lo sgangherato esercito maliano appare sbandato. Parigi denuncia la prima perdita – un pilota d´elicottero – e avverte che le operazioni, in cui sono impegnati soldati di alcuni paesi africani oltre a forze speciali francesi e agenti delle intelligence occidentali, non saranno brevi. I bombardamenti aerei avrebbero per ora evitato lo sfondamento del fronte a Konna. Ma a Bamako serpeggia il nervosismo, accentuato dalle pessime performance delle Forze armate regolari. Alcune centinaia di militari francesi stanno affluendo nella capitale per metterla in sicurezza. Dall´aprile scorso il Nord si è separato dal resto del paese, sull´impulso dei tuareg in rivolta. Gli "uomini blu" sono stati presto sopraffatti dai jihadisti di al-Qaeda nel Maghreb (Aqim), Ansar al-Din e Mujao. Qualche centinaio di combattenti, bene armati e motivati dai guadagni garantiti dallo spaccio di droga e dai rapimenti di walking money: turisti, cooperatori, spie o giornalisti occidentali – tra cui a oggi sette francesi presi in Mali e in Niger – per i quali alcuni Stati di appartenenza usano pagare, senza ammetterlo, riscatti milionari. Dopo la liquidazione di Gheddafi e lo smembramento della Libia fra le milizie vincitrici, Sahara e Sahel sono in fermento. Stati Uniti ed europei ricollegano l´Africa centro-settentrionale al Grande Medio Oriente e vi applicano gli schemi della guerra al terrorismo. Nello spazio arabo-africano la minaccia jihadista è incarnata da quattro sigle: Aqap (al-Qaida nella Penisola Arabica), al-Shabab (Somalia, dove ieri sono caduti altri due francesi, con l´ostaggio da liberare), Boko Haram (Nigeria) e Aqim (Mali e fascia maghrebina). Si aggiunga la decomposizione della Repubblica Centrafricana, l´ex impero di Bokassa, e si ha un´idea della profondità della destabilizzazione in atto. Prima dell´offensiva jihadista su Konna, Stati Uniti, Francia e altri occidentali speravano di riuscire a mettere in piedi entro l´estate una parte consistente dei tremila effettivi dell´esercito maliano e di affiancarvi qualche migliaio di soldati dell´Ecowas (organizzazione regionale dell´Africa occidentale). Anche i nostri carabinieri avrebbero contribuito all´addestramento dei maliani. Con la copertura aerea, logistica e di intelligence occidentale, tale variegata coalizione avrebbe dovuto lanciare in autunno un´offensiva destinata a riconquistare le tre città del Nord in mano ai ribelli: la mitica Timbuctù, al confine meridionale del deserto, Gao e Kidal. Il tutto sotto l´ombrello della risoluzione 2071, approvata all´unanimità il 12 ottobre scorso dal Consiglio di Sicurezza dell´Onu, che legittima l´intervento militare in Mali. Con Romano Prodi nelle vesti di inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, impegnato da mesi a tessere una tela di Penelope insieme alle diplomazie africane e occidentali, nel tentativo di sedare la crisi, dividere il fronte jihadista e impedire il collasso di ciò che resta del Mali, già "democrazia modello" regionale. L´emergenza ha spinto Parigi a intervenire subito da sola (o quasi). In gioco è il suo rango storico nel "dominio riservato" coloniale, tra Maghreb, Sahara e Sahel. Ma anche l´accesso a risorse energetiche di cui l´ex impero africano è ben fornito (uranio, gas, petrolio) e nel cui sfruttamento sono impegnati i colossi dell´industria francese, Areva in testa. Infine, il rischio è che le filiere terroristiche infiltrino la consistente comunità maliana in Francia e accendano le micce jihadiste celate nelle periferie di Parigi, Marsiglia e altre città dell´Esagono. Per questo ieri Hollande ha messo in stato di allerta l´apparato antiterrorismo in tutto il territorio metropolitano, a sventare le rappresaglie minacciate da Ansar al-Din. L´anno prossimo sgombreremo il teatro afghano – non del tutto. Ma la guerra globale al terrorismo continua. Su altri tragici palcoscenici. Più vicini a noi europei. Dunque molto più pericolosi.