Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera 13/1/2011, 13 gennaio 2011
Arrivano dalle pianure cinesi dello Jinxiang, attraversano l’intera Russia, transitano nei mercati norvegesi di Oslo e prendono la via del contrabbando, attraverso la frontiera con la Svezia e, dunque, con l’Unione Europea
Arrivano dalle pianure cinesi dello Jinxiang, attraversano l’intera Russia, transitano nei mercati norvegesi di Oslo e prendono la via del contrabbando, attraverso la frontiera con la Svezia e, dunque, con l’Unione Europea. Non sono uomini e non sono sigarette. No: stiamo parlando di aglio fresco. Già, l’ortaggio più terapeutico della Terra sta diventando un ambito prodotto di traffici clandestini. La ragione? Sempre la stessa, cioè quella delle «bionde»: dazi, prezzi, guadagni. Viene acquistato ai bassissimi prezzi cinesi e introdotto evitando i salatissimi dazi europei: 9,6%. Nelle casse dei contrabbandieri finiscono somme ingentissime. Come i 10 milioni di euro che stavano per aggiudicarsi i due contrabbandieri britannici arrestati dalle autorità svedesi. Secondo il pubblico ministero di Stoccolma, Thomas Ahistrand, «stiamo parlando di un grande giro di denaro: le spedizioni di aglio interessate sono numerose». Gli inquirenti avrebbero cioè interrotto uno dei traffici più redditizi degli ultimi anni, preso seriamente in considerazione dall’Ufficio Anti frode europeo che sulla rotta Cina-Europa ha iniziato a indagare nel 2010, dopo aver scoperto un tir con un carico di 28 tonnellate di aglio illegale. La punta di un iceberg, considerato che il business è stato stimato intorno alle 1.200 tonnellate «nascoste» in 18 mesi. Un’attività clandestina fiorente e colorita. Prima dei due inglesi nella rete degli inquirenti è finito uno dei più grossi importatori londinesi, il 57 enne Marugasan Natarajan, condannato per aver beffato il fisco su 7 mila tonnellate di aglio non dichiarato. O meglio, dichiarato sì ma come zenzero fresco, merce esentasse. Tradotto in moneta significa un risparmio fiscale di 2,5 milioni di euro. Mille tonnellate sono state invece contestate al suo «collega» irlandese di Rathcoole, contea di Dublino, il quale aveva etichettato l’ortaggio come mele. I modus operandi spaziano dalla frode sulla denominazione a quella sull’origine, facendo figurare come terre di produzione aree che godono di benefici rispetto ai dazi europei, tipo Turchia, Egitto, Giordania, Marocco, America del Centro e del Sud. Il passaggio a Nord è una delle rotte più battute ed è dovuto al fatto che la Norvegia, non essendo uno Stato membro dell’Ue, non impone alcun dazio. Il resto lo fa l’accordo di Schengen vigente fra Norvegia e Svezia, grazie al quale i controlli alla frontiera fra i due Stati sono facilmente aggirabili. Naturalmente ne fa le spese anche l’Italia, terzo produttore europeo dopo Francia e Spagna con circa 30 mila tonnellate di raccolto all’anno. Il responsabile dell’Ufficio economico di Confagricoltura, Franco Postorino, non ha dubbi: «Questi traffici clandestini comportano costi su vari fronti: produttivo, sociale, sanitario, economico. Viene meno la garanzia di qualità e vengono meno gli introiti delle tasse. La soluzione è una sola: maggiori controlli e minori paesi gruviera». Andrea Pasqualetto