J.M. Ledgard, D la Repubblica 17/11/2012, 17 novembre 2012
LA MIA ECO METROPOLI
[Norman Foster]
In taxi, a notte fonda, in pieno deserto. Sono di ritorno da Masdar City, letteralmente "la città sorgente", la prima città concepita a emissioni zero, firmata da Norman Foster e in costruzione a Abu Dhabi. Ci siamo persi su una strada secondaria dell’isola di Yas, dietro il "Ferrari World", circuito automobilistico e parco a tema. Il tassista, un siriano, chiede indicazioni per l’albergo. Esco dalla macchina. Si sente solo il fruscio del vento del deserto e il verso dei trampolieri da una laguna vicina. L’odore è d’asfalto. Vicino all’orizzonte il cielo è rischiarato dalle lingue di fuoco dei pozzi petroliferi. In lontananza il centro di Abu Dhabi è una macchia triangolare. Immagino l’architetto dei grattacieli di Londra e New York, del Millennium bridge e dell’aeroporto di Pechino dare forma a questo posto desolato, col suo accento di Manchester, amichevole, preciso. Foster crede che costruiremo città sempre più alte, più vicine, più sicure, più tranquille, più pulite, più eleganti. Vorrei credergli, ma poi penso all’Africa e a quello che succede là.
A Londra, lo studio Forster & Partners, sulla sponda sud del Tamigi, è austero e animato. Per l’intervista l’architetto siede al tavolo nella parte d’ufficio che da sul ponte Albert. A 77 anni, Foster ha fama di essere un genio ma anche un opportunista abile a sfuggire alle critiche. Non ho affatto questa impressione mentre mi mostra le piantine dettagliate sull’ombreggiamento, l’aria condizionata e la coibentazione di Masdar City. Si prevede che avrà decine di migliaia di abitanti. Fossati ai limiti della città raccoglieranno l’acqua piovana per portarla ai parchi acquatici e a irrigare i campi di calcio. Si potrà attraversarla a piedi da un capo all’altro. La città è sempre stata la vera passione di Foster, per prima quella dove è nato nel 1935 ed è cresciuto in una casa a schiera del quartiere operaio di Stockport. Già da ragazzo aveva colto l’essenza di Manchester: sporca, certo, ma più grande della vita. Sarebbe diventato lo stesso architetto se fosse cresciuto a Bristol o a Canterbury? È andata così: Foster è entrato alla facoltà di architettura di Manchester, poi ha ottenuto una borsa di studio per Yale dove ha conosciuto un altro luminare dell’architettura inglese, Richard Rogers, e il resto è andato da sé. Con l’avvento di Margaret Thatcher e del computer, allo studio di Foster accadde di riflesso ciò che stava accadendo al mondo: l’economia, accelerando, diventava globale, il pianeta rimpiccioliva grazie agli aerei e alla comunicazione mobile. Hong Kong è stata una dei primi capisaldi delle economie emergenti, e la Hongkong e Shanghai Bank completata da Foster nel 1986, ha segnato l’arrivo di un nuovo tipo di grattacielo. Negli anni successivi la Foster & Partners è diventata una macchina capace di costruire edifici di grande qualità, e a volte sensazionali, su tutto il pianeta. Per l’Oriente Foster ha molta ammirazione: "La Cina costruisce un grattacielo al giorno. Stanno edificando una città grande quanto il Galles, per una popolazione di 42 milioni di persone. A parte Taipei e Hong Kong, sedici delle 25 città in più rapida espansione al mondo si trovano in Cina. I cinesi sono straordinari. La loro velocità decisionale e di progettazione è imbarazzante per l’Europa. Noi siamo in un momento negativo, mentre loro mostrano lo stesso spirito dei vittoriani. Hanno il coraggio di tentare".
La nuova sfida, però, per Foster oggi è l’Africa. Prima del 2050 la popolazione africana sarà raddoppiata, due miliardi di persone. La popolazione urbana quadruplicata. Ma nel frattempo difficilmente cresceranno altrettanto le economie, i cambi climatici faranno aumentare vertiginosamente i costi del cibo e inaspriranno la carenza d’acqua, in un continente che ha già perso gran parte delle foreste e ha il sottosuolo più degradato del mondo. Lo incalzo con le domande su un nuovo possibile modello di città africana, necessariamente povera, senza base industriale, ma giovane, vitale, allegra e verde. "È assolutamente essenziale" risponde "raggiungere un equilibrio tra vegetazione, animali, spazio, silenzio, luce e ombra. Apprezziamo l’urbanità solo quando abbiamo l’opportunità di sperimentare il contrario. Se si pensa alla natura selvaggia, ai safari, alla biodiversità, si pensa certamente all’Africa".
Foster resta un fermo sostenitore del potere dei progetti ambiziosi di trasformare le cose e durare nel tempo. Ed è categorico nell’affermare che se le città continueranno a dipendere dalle auto, mentre inevitabilmente i prezzi del petrolio aumentano, non funzionerà. "Probabilmente le città africane sono ghettizzate da un effetto volano, innescato ai tempi dell’energia a basso prezzo". Fa un paragone tra Copenhagen e Detroit. "Hanno più o meno la stessa dimensione e lo stesso clima. Detroit è degradata a prateria urbana, consuma dieci volte più energia di Copenhagen, costruisce sempre più strade e auto, alla fine si è rivelata un modello insostenibile".
Le economie emergenti impareranno dal declino dei paesi sviluppati? Finora il coinvolgimento di Foster col mondo povero è stato poco rilevante. Ha fatto qualche schizzo per la ristrutturazione di una scuola in un villaggio in Sierra Leone con Narinder Sagoo, un nuovo socio dello studio. Ha partecipato, sempre con Sagoo e altri collaboratori, a uno studio dettagliato sulla grande bidonville di Bombay, Dharavi. E lì hanno scoperto che alla gente servono spazi orizzontali, non palazzi alti. "Hanno bisogno di fabbricare e spostare merci dentro l’insediamento pieno di baracche. Sul lato opposto dello slum c’è la linea ferroviaria lungo la quale le merci vengono esposte e vendute. Questa comunità può tranquillamente cavarsela in case di due, tre, magari quattro piani. Ma mettere uno strato di abitazioni sopra l’altro non funzionerebbe. Migliorerebbe l’ambiente, ma non consentirebbe di guadagnarsi la vita cucinando il pane o riciclando i rifiuti".
Che lezione trarne? "Anche negli slum africani", arrischia Foster, "c’è bisogno della costruzione industriale di unità abitative che provvedano a servizi igienici, cucine, raccolta energetica, scoli per l’acqua piovana, smaltimenti. Ma serve un approccio progettuale diverso da quello che per risanare e ripulire impone un altro ordine, senza considerare che sotto una realtà, per quanto degradata, ci sono ragioni sociali e risposte organiche ai bisogni di chi ci vive". Foster, che si è fatto da sé grazie ai propri meriti, non è incline al socialismo sentimentale. Tuttavia la causa delle future metropoli africane non necessita di filantropia. Si possono fare soldi anche con gli slum: nei prossimi anni la maggior parte della crescita economica mondiale verrà dai quartieri più poveri di città in paesi poveri. Coca-Cola e Unilever si aspettano di far crescere le loro entrate lì. Nokia aumenterà o diminuirà i propri introiti a seconda che gli abitanti delle bidonville continuino o no a comprare i suoi telefoni di fascia bassa. L’economista di Harvard Edward Glaser dice che le città "sovralimentano" le idee. È ancor più vero per le baraccopoli. "Mi piace molto l’opportunità di lavorare in Africa", dice Foster in tono appassionato. "Tutto ciò di cui ho parlato recentemente a proposito del progetto di un aeroporto sull’estuario del Tamigi - l’uso innovativo dei piloni, cavi di trasmissione, alta velocità, salvaguardia del territorio, risparmio economico - è cento volte più rilevante per il continente africano dove si può creare un’infrastruttura urbana partendo da uno schizzo. Invece di pensare come in passato che uno ha la competenza di piloni, un’altro di ferrovie, un altro ancora di strade, perché non mettere tutto assieme, con gran risparmio ed eleganza? I vittoriani hanno avuto il coraggio di farlo. I treni ad alta velocità viaggiano ancora sulla tratta ferroviaria che Stephenson ha creato per la locomotiva Rocket. Olmsted pensò Central Park in un’epoca in cui la gente allevava capre e i cavalli trainavano carretti. Ora, se riscopriamo il bello di camminare liberandoci dalla dipendenza del petrolio, bisogna progettare considerandolo: l’Africa è questa opportunità".
Il che ci riporta a Masdar. Sono andato lì per capire se c’erano cose che potevano venire utili alle future metropoli africane. Finora l’edificio più alto è il Masdar Institute of Science and Technology, e quello più impressionante la biblioteca dell’istituto, con la facciata a forma di un occhio e un meraviglioso uso del legno di frassino. Gary Owen, architetto dello studio Foster, mi ha accompagnato e pazientemente mostrato le soluzioni per rendere la città vivibile e a emissioni zero: piccole finestre che riflettono la luce naturale sul soffitto, schermi isolanti ai lati degli edifici, corridoi ombreggiati e portici per ridurre al minimo gli sbalzi termici tra esterno e interno delle case, i camini a vento che mandano aria fresca nei cortili, e ovunque un uso raffinato dei motivi islamici. Tutto ciò potrebbe essere applicato anche a un’Africa più modesta. Il paradosso è che Masdar rappresenta anche il tentativo di costruire secondo i più alti standard ambientali usando gli introiti del petrolio. Abu Dhabi stesso è il Regno del denaro, potrà mai essere il modello per un mondo ecosostenibile? Ma Foster insiste che è uno dei suoi progetti più idealistici. "Non è un posto alla moda, ma pensato per la sopravvivenza" aveva detto all’inizio del progetto. Certo, il mezzo principale pensato per girare a Masdar, dopo aver lasciato l’auto fuori dalla città, è un’auto elettrica computerizzata, senza autista: sembra un modo inutilmente costoso, perché non usare invece i risciò? Owen sembra allarmato: "Non ne abbiamo mai parlato". E forse i progettisti preferiranno sempre una navetta elettrica a un risciò, anche se in una città africana i risciò darebbero lavoro. In tutto ciò che Foster crea c’è sempre la cura di far entrare la luce, aumentare la comodità e soprattutto di ridurre gentilmente il peso, quello dell’edificio ma anche quello delle consuete gerarchie del lavoro. Ma se il suo nuovo progetto questa volta abbracciasse la gravità delle baraccopoli africane sovrappopolate, immerse nel fango eppure vitali, se riuscisse a farci entrare luce e acqua pulita, il suo nome diventerebbe famoso anche tra i poveri del mondo.
(© Intelligent Life magazine 2012-The Economist Newspaper Limited. All rights reserved. Traduzione di Simona Silvestris)