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 2005  dicembre 09 Venerdì calendario

Il «rebate» inglese di Gabriele Cerri - 9 dicembre 2005 Il Primo Ministro britannico Tony Blair sta per concludere il mandato semestrale con cui gli è stata attribuita la Presidenza europea, proprio nel momento in cui l’Unione si sta interrogando su quale indirizzo dare alle sue istituzioni

Il «rebate» inglese di Gabriele Cerri - 9 dicembre 2005 Il Primo Ministro britannico Tony Blair sta per concludere il mandato semestrale con cui gli è stata attribuita la Presidenza europea, proprio nel momento in cui l’Unione si sta interrogando su quale indirizzo dare alle sue istituzioni. Dopo estenuanti e tormentate trattative fatte di veti incrociati e accordi saltati, la Presidenza britannica sembra non essere riuscita ad imporre la sua linea riformista ed improntata a rendere il sistema economico europeo maggiormente competitivo. Da un lato la proposta di Blair, ribadita fin dal discorso di insediamento al Parlamento di Bruxelles, di consolidare un’area in cui libero mercato e tutele sociali convivano in un ambito sostenibile e competitivo con il resto del mondo, dall’altro la soluzione propugnata dalla Francia di proseguire nella difesa di un sistema elefantiaco, burocratico e che investe i propri fondi in modo improduttivo. L’apice dello scontro tra le due filosofie è stato raggiunto con il confronto tra la proposta inglese di reperire i finanziamenti da una revisione del sistema di sovvenzioni agricole, ritoccando il bilancio approvato lo scorso anno - che copre il periodo 2007-2013 - e quella francese, che propone invece di annullare il rimboso (rebate) inglese. Molti non sono a conoscenza del motivo per cui è stato istituito questo rimborso, ma la cosa certa è che l’oggetto del contendere è uno smacco che, già ai tempi, i francesi furono costretti ad accettare di fronte alle giuste argomentazioni dell’allora Primo Ministro conservatore. Tutto ebbe inizio al Consiglio europeo di Stoccarda del 1983 dove, già a quei tempi, avrebbe dovuto essere affrontato lo spinoso problema della reperibilità delle risorse per coprire il bilancio e il problema della loro allocazione; un idea comune alla maggior parte delle nazioni partecipanti, ed in particolar modo una convinzione del Regno Unito, era l’eccessiva disponibilità finaziaria da destinare al settore agricolo. Su proposta dello stesso Consiglio il vertice fu rimandato rispetto alla data originaria prevista dal calendario europeo per attendere le elezioni che si sarebbero svolte quell’anno in Gran Bretagna, nella speranza che un governo appena eletto fosse maggiormente accomodante di uno in piena campagna elettorale, o confidando nella possibilità che il responso sarebbe stato differente da quello che i cittadini inglesi avevano affidato alla storia. Il Consiglio si incentrò su due temi: i contributi netti per l’anno in corso e, per il lungo periodo, una rivisitazione delle finanze comunitarie. La trattativa fu difficile fin dalle prime battute in quanto, senza provvedimenti tempestivi, la comunità avrebbe rischiato la bancarotta e, scartata un ipotesi di ridimensionamento, la discussione si concentrò sull’eventualità o meno di aumentare il contributo percentuale sull’Iva, fissato all’ 1%, ma a quel punto la Germania si oppose, essendo la maggiore contribuente. Non essendoci le basi per il raggiungimento di un accordo, la decisione venne rinviata di sei mesi e vene affidata la discussione delle proposte per redimere la questione ai Ministri degli Esteri e delle Finanze, che in seguito avrebbero riferito le loro conclusioni; in compenso la Gran Bretagna ottenne un rimborso temporaneo di 2/3 del suo contributo netto, non conguagliato per il fatto di non essere avvantaggiata dal sistema di spesa agricolo. La Francia si oppose. Nel novembre di quell’anno M. Thatcher si recò a Bonn per un vertice anglo-tedesco, durante il quale la leader conservatrice ed il cancelliere Kohl decisero che avrebbero sottolineato al successivo Consiglio comunitario la necessità di destinare maggiori risorse per l’industria e l’elettronica - quest’ultima in particolare cara ai tedeschi - la necessità di un contenimento delle spese ed di un bilancio comunitario maggiormente solido, caro agli inglesi. Pertanto il Primo Ministro britannico inviò una lettera al presidente greco Papandreu, che avrebbe presieduto il Consiglio di Atene, per chiedere di aprire la discussione con la revisione del budget , cui seguì una risposta nella quale si decise di aprire con l’agricoltura. I partecipanti al Consiglio, riuniti allo Zappeion, iniziarono a discutere secondo i temi previsti dalla scaletta dell’agenda, ma non giunsero ad un accordo sulle richieste di singoli paesi coma la Grecia, che puntava ad ottenere sovvenzioni comunitarie, e l’Irlanda, che avrebbe voluto essere esentata dalle spese comunitarie. La trattativa naufragò per l’opposizione alle richieste inglesi del presidente Mitterand, che fecero emergere chiaramente come in seno ai politici europei ci fossero due differenti visioni dell’Europa: una prima composta dalle patrie che creano un mercato comune basato sulla libera iniziativa, l’altra federale, centralista e burocratica. Si giunse al Consiglio di Bruxelles, apertosi nuovamente con la questione dell’innalzamento del contributo Iva, cui il cancelliere Kohl ed il Primo Ministro Thatcher si opposero; il secondo giorno di incontro cominciò con un discorso di Mitterand e di Kohl sull’abolizione dei controlli doganali, discorsi pieni di europeismo ed euroidealismo, ideali che scomparirono velocemente quando si tornò a discutere di bilancio. Grecia ed Italia si opposero alla concessione del rimborso alla Gran Bretagna ed il Presidente francese li appoggiò; a quel punto Kohl offrì un miliardo di Ecu da inserire nel bilancio, al fine di giungere ad un accordo, ma M. Thatcher intervenne precisando che le sue richieste avevano come fine l’ottenimento di un rimborso maggiormente equo ed un sistema duraturo che non costringesse ad estenuanti trattative annuali, concludendo che se la proposta non fosse mutata, avrebbe posto un rifiuto come risposta. La prospettiva si realizzò con un rifiuto del Regno Unito che giunse ad un nulla di fatto ed ad un naufragio delle trattative, cosa che portò Francia ed Italia, al successivo Consiglio per gli Affari Esteri, a bloccare il rimborso temporaneo precedentemente stabilito per l’anno corrente. Questa presa di posizione portò il Primo Ministro britannico a sospendere i suoi contributi alla Comunità Europea. Al successivo Consiglio Europeo, tenutosi a Fontainbleau, si riaprì la discussione ma non si giunse a un nulla di fatto; si delegò la discussione nuovamente ai Ministri degli Esteri che raggiunsero un accordo basato su un rimborso percentuale, non specificato, sulla base del contributo Iva. Si decise di continuare i negoziati attraverso incontri bilaterali al fine di sbloccare la situazione di empasse, a quel punto irrisolvibile in ambito di riunione collettiva, e si giunse alla determinazione di un rimborso inglese sui contributi versati, fissato nella percentuale del 66%, esclusi i costi di allargamento, oggi conosciuto come rebate o assegno britannico. Questa vicenda a carattere storico politico, molto più intricata e complessa del breve resoconto sopra scritto, dimostra come i problemi di oggi fossero presenti anche ieri e come siano stati semplicemente rimandati per un ventennio: infatti a metà degli anni Ottanta la classe politica era perfettamente conscia della sperequazione di risorse che l’Unione Europea utilizzava per alcuni settori piuttosto che per altri, dove queste risorse aggiuunte avrebbero portato maggior benessere o progresso ai cittadini. L’allora Primo Ministro inglese Thatcher comprese già dove avrebbe portato questo sistema, ma rendendosi conto di essere solo lei a pensarla a quel modo e che le condizioni storiche e politiche non lo avrebbero permesso, preferì limitarsi a tutelare gli interessi britannici ottenendo il rimborso di parte dei fondi erogati all’Unione. Ora un altro ministro d’oltremanica, Tony Blair, cerca di mutare la situazione che si è trascinata tanto a lungo, dove l’ostruzionismo di alcuni paesi e di alcuni gruppi di pressione politica è ancora quello di un tempo. Bisognerà solo vedere se l’attuale inquilino di Downing Street ha lo stesso piglio intransigente che ha contraddistinto Lady Thatcher, riuscendo a far saltare la trattativa con il potere di veto.