Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 17/11/2012, 17 novembre 2012
BOLOGNA, LA NAVETTA DEGLI INDAGATI [I
pm: in 11 nei guai per favorire il colosso Ccc di Legacoop] –
Non era stato tagliato il cordone ombelicale tra il Pd e le coop ? Lo aveva sostenuto Pierluigi Bersani, ascrivendosi il merito di non avere riguardi per nessuno e nemmeno per le coop, lo avevano ripetuto i cooperatori, vantandosi della conquistata autonomia dalla politica. Invece ecco che due pm, Giuseppe Di Giorgio e Antonella Scandellari, ipotizzano il reato di abuso d’ufficio a carico dello stato maggiore degli amministratori pidiessini bolognesi e di turbativa d’asta per i tecnici e i dirigenti coop.
Sotto accusa in undici, di cui dieci hanno ricevuto l’avviso di garanzia, a cominciare dall’ex-sindaco di Bologna, Flavio Delbono, dall’ex-assessore al bilancio e alle partecipazioni societarie,Villiam Rossi, dal presidente della Provincia, Beatrice Draghetti, dal suo vice, Giacomo Venturi, dall’assessore provinciale Maria Bernardetta Chiusoli, poi funzionari e tecnici, infine l’ex-presidente Atc, la municipalizzata dei trasporti, Francesco Sutti. Iscritto nel registro degli indagati l’undicesimo inquisito, il presidente del Ccc, gigante delle costruzioni di Legacoop, Piero Collina. I pm ritengono che la gara d’appalto per il People Mover sia stata pilotata per fare vincere il Ccc. Insomma, la politica intrecciata col business delle infrastrutture attraverso le coop amiche.
L’inchiesta è agli inizi e la lente degli inquirenti cerca di capire il perché del tortuoso iter realizzato per appaltare il People Mover, cioè un collegamento in gran parte sopraelevato tra l’aeroporto e la città. Un affare da 90 milioni di euro. Il Ccc vince la gara nel 2009 poi però crea una società (Marconi Express) insieme all’Atc, braccio del Comune nei trasporti, proprio per progettare e avviare i cantieri dell’opera. Una commistione tra pubblico e privato tutta da chiarire e di cui si lamentarono gli esclusi dall’appalto, che si andava configurando in modo diverso da quanto previsto dal bando di gara.
Non solo. Il passaggio più delicato (e contestato) riguarda il fatto che l’appalto prevedeva che la spesa fosse ripartita tra il vincitore (col project financing: 60 milioni) e la Regione (30 milioni). Invece quando Ccc (vincitore della gara) e Atc decidono di sposarsi e di dare vita a Marconi Express scrivono nei patti parasociali che entro il 2020 tutte le azioni della società passeranno all’Atc, ovvero il rischio d’impresa (determinato dal project financing), di cui avevano ovviamente tenuto conto i concorrenti alla gara d’appalto risultati sconfitti, viene posto sulle spalle del bilancio pubblico (la municipalizzata).
Negli avvisi di garanzia si legge che il disegno degli inquisiti è stato quello «di garantire al Ccc l’aggiudicazione della concessione, con finanziamenti per progettazione e costruzione, senza fargli assumere i rischi connessi alla gestione del servizio».
I rischi sarebbero appunto stati addossati, dopo la gara, all’Atc, il cui azionariato è tutto pubblico: 59.65 % del Comune, 37,15 % della Provincia.
Negli atti giudiziari è scritto anche vi sarebbero stati «atti fraudolenti messi in atto prima, durante e dopo la gara». Ce n’è abbastanza, insomma, per fare tremare i palazzi della politica locale. Tanto che dalle opposizioni si sollecita l’intervento di Bersani «per fare pulizia». Per un paio degli indagati potrebbe bloccarsi la marcia verso il parlamento, a cui si stavano preparando. Inoltre non è l’unica tegola a cadere sulla testa degli amministratori pidiessini: un’altra inchiesta sullo stesso affaire è in corso presso la Corte dei Conti. Per la Provincia di Bologna, destinata a sciogliersi per far posto alla città metropolitana, è un finale amaro, con 4 indagati e l’ombra della combine per il più importante appalto dell’ultimo ventennio.
Il consigliere regionale 5stelle, Giovanni Favia, chiede le dimissioni degli inquisiti «dovrebbero anticipare di qualche mese la chiusura della Provincia, facendosi da parte per smettere di fare male alla città e al territorio», mentre il coordinatore locale dell’Idv, Sandro Mandini, definisce «allarmante il presunto legame tra mondo politico e poteri forti bolognesi, le coop». Da parte sua Daniele Corticelli, che fu braccio destro dell’unico sindaco bolognese di centrodestra, Giorgio Guazzaloca, e che presentò un esposto ai magistrati sulla vicenda, afferma: «C’è rammarico perché quando dicemmo queste cose ricevemmo dalla maggioranza solo arroganza». Interviene anche il comitato No People Mover (che propone da sempre l’ammodernamento di un vecchio percorso ferroviario in disuso al posto della faraonica struttura sopraelevata): «Abbiamo sempre sostenuto che il progetto e il bando fossero stati creati a vantaggio dei costruttori e di gruppi di potere».
Gli interrogatori incominceranno la prossima settimana. «Siamo certi- dicono Beatrice Draghetti e Giacomo Venturi - di potere chiarire e documentare la nostra estraneità rispetto a questa ipotesi di reato». Intanto hanno affidato la loro difesa allo stesso avvocato che qualche giorno fa ha tolto dagli impicci il presidente della Regione, Vasco Errani, assolto dall’accusa di avere favorito l’elargizione di un contributo di un milione di euro a una coop gestita dal fratello. Anche le coop si difendono: «Non c’è nessun illecito - dice Piero Collina - non siamo stati favoriti, lo dimostreremo». Tutti si proclamano innocenti («il mio unico interesse - afferma l’ex-assessore Villiam Rossi - è stato quello di far sì che l’opera fosse realizzata il prima possibile»).
In realtà nessun cantiere è stato finora aperto. Il pubblico fatica a metter mano al portafoglio e la coop senza rassicurazioni non dà il via. Una vicenda all’italiana, che torna a portare alla ribalta della cronaca anche l’ex-sindaco Flavio Delbono, condannato per i viaggi con l’ex-fidanzata a spese della Regione (era vice-presidente di Vasco Errani), allontanato dalla politica (insegna all’università) che ora torna sul banco degli imputati non più per colpa dell’ex-fidanzata ma per colpa delle coop.