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 2012  novembre 16 Venerdì calendario

VLADIMIR LUXURIA - VOGLIO LE ELEZIONI CON LE QUOTE FUCSIA. E DOPO CAMBIO NOME


ROMA. Nella sua casa dai pavimenti in graniglia e dalle pareti rosa confetto luccicanti di sole, Vladimir Luxuria – all’anagrafe Vladimiro Guadagno da Foggia – vive la sua seconda vita: è single, non ha impegni istituzionali, l’Isola dei Famosi, ancorché gloriosa e indimenticata, è alle spalle; perciò ora pensa solo ai libri (nel 2013 uscirà un nuovo romanzo per Bompiani), al teatro (il 18 novembre sarà in scena al Teatro Lelio di Palermo con Si sdrai per favore), e alla battaglia contro la transfobia e l’omofobia, che la porta spesso in viaggio per il mondo e il 20 novembre la vedrà a Lecce, in occasione del TDoR (Transgender Day of Remembrance), la Giornata internazionale della transfobia.
Se Vladimir non pensa alla politica, la politica non ha cessato di pensare a Vladimir. Poche settimane fa, quando il Senato ha approvato con commenti surreali le «quote rosa» per le candidature nei Comuni, nell’Aula è rimbombato il seguente interrogativo: e se si candida Luxuria, in quale «quota» andrà calcolata?
Coraggio, allora, diamo soddisfazione al senatore Lucio Malan: dove si troverebbe a suo agio?
«Propendo per la quota fucsia. E cioè: né di qua né di là».
In punto di diritto, il problema però sussiste: lei si sente donna, ma all’anagrafe resta un uomo.
«Secondo la legge italiana, se avessi completato la transizione, scegliendo di cambiare i genitali, sarei una donna e rientrerei nelle quote rosa in quanto tale, e non in quanto trans. Il mio caso però è diverso, perché non ho fatto l’operazione definitiva, ma solo interventi secondari, il seno, il naso... Fino al 2007, portavo reggiseni imbottiti e mangiavo fettine di pollo a pranzo e a cena perché qualcuno sosteneva che fossero zeppi di ormoni e facessero sviluppare il seno. Desideravo un corpo nel quale sentirmi finalmente a mio agio. Ma è noto che, al momento decisivo, non me la sono sentita e sono fuggita dalla clinica».
E insomma?
«Insomma, se proprio devo rispondere, mi vedo nella quota rosa: prevale il genere al quale ci si sente maggiormente di appartenere. Nel mio caso, il genere femminile».
Fosse stato così facile, così logico, alla sua elezione in Parlamento, nel 2006, non sarebbe scoppiato il finimondo su quale fosse il bagno di sua pertinenza.
«Ah certo, sarei andata serenamente nella toilette delle donne, cosa che poi comunque ho fatto. Però le quote rosa sono la rappresentazione scenica di un fallimento. In questo caso, poi, si tratta anche di un compromesso offensivo: la legge fissa al 30 per cento la rappresentanza minima di genere nelle liste, significa che non hanno neanche avuto il coraggio di arrivare a 50».
Le quote proprio non le piacciono.
«Mi ricordano la legge 381 del ’91, che obbliga le cooperative sociali a dare spazio almeno per il 30 per cento alle categorie svantaggiate, cioè a ex tossicodipendenti, disabili, ecc. Tra noi transgender ci fu una discussione tormentata, a tratti aspra, sul da farsi. Lei capisce che per un trans ottenere un lavoro non è uno scherzo... Ci domandavamo: è giusto o no rivendicare di essere una categoria svantaggiata? Alla fine, decidemmo di no, partendo dall’assunto che l’essere trans non deve diventare un elemento invalidante, così come non dovrebbe diventarlo l’essere donne».
Lei è stata la prima transgender a entrare in un Parlamento in Europa. Ora che si avvicinano le elezioni, sente il richiamo della foresta?
«Scherza? Mica ho l’ego cotonato. Comunque nessuno mi ha invitato a candidarmi».
Però, sul fronte dei diritti ha ancora cose da dire.
«Ma non in Parlamento. Quella esperienza, insieme all’Isola dei Famosi, ha prodotto un mutamento culturale autentico, che continua a dare i suoi frutti. Una mia amica trans, che faceva il muratore e alla fine ha deciso per l’operazione, oggi ha potuto presentarsi in cantiere annunciando agli altri operai: sono diventata una muratrice, ma so mettere le mani nella calce come prima, per voialtri è un problema?».
Qualche sciagurato ha risposto?
«Pare di no. So anche di un camallo, anzi una camalla, a Genova, che ha fatto la stessa cosa, ora è lì a scaricare casse nel porto, proprio come faceva prima. E di una maestra, a Livorno. Hanno spiegato la situazione, c’è stato un confronto, sono state comprese. Voglio dire che la mia elezione se non altro ha acceso i riflettori sul movimento transgender...». .
.. e su di lei.
«Su di me, per forza. All’inizio mi sentivo come dentro il quadro del Quarto Stato, io col sole in fronte e tutti i gay e i trans schierati dietro. Invece, è stato un fallimento. Non siamo riusciti a fare niente, neanche i Dico, altro che i matrimoni omosessuali».
Non che dopo di lei sia andata meglio. La Francia ha appena approvato i matrimoni gay, la Spagna li ha confermati, così come molti Stati americani...
«E l’Italia non riesce a varare la legge contro l’omofobia. Il mondo va da una parte, noi dall’altra, sembra la deriva dei continenti. Mi consola sapere che questa paralisi indigna non solo i gay e le lesbiche, che già sono il 5 per cento della popolazione, ma anche i loro amici, le loro famiglie, gli intellettuali e tutti gli eterosessuali di buona volontà».
Per curiosità, abita qualcun altro in questa bella casa?
«Macché, mi ritrovo single per volontà del destino. Non è facile, sa, sono una insicura. Se mi piace un uomo bello, mi sembra impossibile che possa piacergli io. Se è brutto, mi affliggo: mi corteggerà perché solo con me ha una speranza...».
Più o meno, i pensieri di molte donne.
«Infatti, almeno su questo sono serena. Soffro, mi incavolo, ma la colpa è delle sfighe che riserva la vita, non certo della mia condizione trans».
Dica la verità, il nome Luxuria ormai le va stretto.
«Appartiene alla mia giovinezza, agli anni da drag queen. Anche Vladimir non va più bene, troppo maschile, troppo Putin... Mi farò chiamare Vladi Lux, e basta».
E Guadagno?
«Quello resta. Il nome della famiglia non si tocca».