Maria Corbi, La Stampa 17/11/2012, 17 novembre 2012
IL FUTURO PARADISO DEL LUSSO? È L’AFRICA DEL BOOM [A
Roma la “Luxury conference” sui mercati emergenti “Così le griffe stanno puntando ai nuovi milionari”] –
La vecchia Europa e la nuova Africa, unite a Roma dalla conferenza del Lusso dove gli esperti assicurano: le nuove opportunità di mercato arriveranno dal continente nero. Africa non solo per malati di nostalgia di terre incontaminate, ma luogo di «caccia» per uomini d’affari che ci vedono lungo, a 10 anni magari, ma che iniziano a puntare dritto verso la meta come anni fa fecero con la Cina. E d’altronde ci sarà un motivo se Suzy Menkes, fashion editor dell’«Herald Tribune», ha scelto questo tema per la Luxury conference che si è tenuta nella capitale, e se sono stati più di 500 i delegati da oltre 30 Paesi. Molti grandi firme di griffe esclusive, come Manholo Blanhik, il creatore di scarpe reso una divinità da «Sex and The City», ma anche Diego Della Valle, Giancarlo Giammetti, Renzo Rosso, Frida Giannini, la creativa di Gucci, Vivienne Westwood, Jean Paul Gaultier, Guillaume de Seynes, managing Director di Hermès International, Kim Jones, direttore Stile Uomo di Louis Vuitton, Donatella Versace. «A qualcuno accostare nella stessa frase le parole Africa e lusso potrà sembrare un controsenso - ha spiegato la Menkes - ma noi vorremmo aprire una finestra sull’Africa, cercando di analizzare da una parte l’influenza dei Paesi del Mediterraneo nel mondo del lusso, dall’altro il potenziale dell’Africa come produttore ma anche come consumatore».
Roma come avamposto ideale per raggiungere l’obiettivo. Per quanto riguarda la produzione sono tutti d’accordo: basta con la carità che ha creato solo dipendenza. «L’Africa non è solo un luogo di guerra e di fame, non è più luogo dove fare solo beneficenza. È diventato business, grazie anche all’impegno di tanti marchi con le comunità locali», ha spiegato Simone Cipriani, direttore di Ethical Fashion Initiative, programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo delle attività commerciali tra le comunità africane più povere. Vivienne Westwood e Stella McCartney, oltre alla italiana Ilaria Venturini Fendi, sono alcune delle stiliste che hanno utilizzato artigiani locali per la produzione di accessori. E adesso, annunciata a Roma, parte la collaborazione tra Renzo Rosso di Diesel e Bono Vox, che insieme alla moglie Ali Hewson, ha creato il marchio Green Edun. La collezione jeans Diesel+Edu sarà interamente realizzata con cotone africano. «Quando ne abbiamo parlato ha scherzato Bono - ho pensato: “O no, un altro progetto di solidarietà”. Invece no, si tratta di business, finalmente».
«Dobbiamo aiutare il mondo a cambiare idea sull’Africa, ma aiutare anche l’Africa stessa. Il mondo può essere salvato con la bellezza», ha spiegato Jochen Zeitz, direttore dello sviluppo sostenibile di Ppr, colosso mondiale del lusso. Zeitz non fa filosofia ma dà numeri: «60 milioni di africani hanno un reddito mensile di 3.000 dollari, possiedono una casa e stanno raggiungendo i livelli dell’India e della Cina per quanto riguarda la crescita».
Se il link tra vecchia Europa e nuova Africa è già una realtà per produzione di beni di alto artigianato, per riuscire a vedere le potenzialità del mercato occorre interpretare quello che sta avvenendo in molti Paesi. Come in Sudafrica e Nigeria, ma anche in Marocco ed Egitto. A Johannesburg sono presenti già da tempo luxury brand come Prada, Gucci, Burberry, Fendi e Louis Vuitton. Missoni ha presentato a Casablanca, ai buyers, la sua collezione moda A/I 2012-13. Mentre la Nigeria, paese dai devastanti contrasti sociali e religiosi, è una delle terre di conquista dei produttori di sogni miliardari. Un paese con l’80% della popolazione che vive con meno di 1,5 euro al giorno e un numero interessante (per gli imprenditori) di super ricchi che comprano auto di lusso come se piovesse, si rimpinzano di champagne (oltre 650 mila bottiglie vendute nel 2011) e vestono (soprattutto gli uomini) marche di abiti esclusivi. Così a Victoria Island, il quartiere chic di Lagos, capitale economica del Paese, da tempo hanno iniziato ad aprire boutique e concessionarie di potenti fuori serie. Difficilechiamare tutto questo «etico». E allora l’impegno si deve spostare, come ha detto Zeitz, dall’egoisimo all’impegno.
Una sfida complessa, quella del mercato del lusso, che è già iniziata. Secondo Suzy Menkes «la promessa del mercato africano, sia in termini di produzione di beni di lusso che di consumo, non è più un miraggio di buon augurio. Oggi è produzione di vere e proprie collezioni di accessori in vendita nelle rispettive boutique».